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Pe'i verdeggianti campi di maggese,
da opposte schiere protese all'arcano,
in onore del loro istesso paese
marciavano gloriosamente piano
i militi de'britannici duci,
che da quando il fato ne gettò il seme,
istanti forrieri di quiete luci
aveano nel baldo cor come speme.
Dunque tutto parea essere tranquillo;
e la pugna sembrava ben lontana:
nessun'arma impugnata, nessun squillo,
nessun eroe, nessuna gesta insana;
e i vessilli, sotto la solar face,
erano decorati dalla pace.
Chi, d'altronde, potea cagionar pugna?...
Chi mai, per una debole corona,
avrebbe affilato la guerriera ugna,
ascondendo una ria mente fellona?...
Non era sicuramente il saggio re
che, mòvendosi a pugnar il suol franco,
e colui che, ahimè, lo tradì nella fè,
comandava un esercito già stanco.
Non era nemmanco il principe oscuro
che senza onore, e senza sincerità,
già fuggito dal suo regale muro,
comandava militi pien di viltà.
Così le schiere si avvicinarono,
e a compir la pace iniziarono.
Il rege scese dunque dal destriero.
Mordredt, fingendo cortesia, lo imitò.
Calmo e sereno stava ogni guerriero,
giacché la sperata pace si mostrò.
Anche i possenti e calmi paladini,
pensando che fosse lungi il periglio,
abbassarono gli acciar lunghi e fini,
da tempo memori di cruor vermiglio.
Alcuni fanti eran poi così quieti
che stettero ad ammirar i bei prati,
e i limpidi cieli che parean lieti,
come specchi a questi calmi soldati.
Ma l'empio Dimonio quivi s'ascose,
e la ria pugna subito propose.
Strisciante dal profondo e cupo Inferno,
una viscida serpe, tutta nera,
a un milite cercò di compir scherno,
desiosa d'una gesta astuta e fiera.
Ignorando così l'insidia ascosta,
il soldato estrasse la spada acuta,
e con mossa sì veloce e sì tosta
troncò la testa della serpe astuta.
Di fulvo sangue si tinse la lama
làddove recise il fiero serpente;
e subito a tutti giunse la fama
di sìfatta gesta dubbia e impudente.
Con detti e rassicuranti e amari,
s'era detto di non usar gli acciari!
Caduto così questo giusto accordo,
per colpa di un'insidia sì infernale,
ogni milite si palesò sordo
davanti al caldo e pacifico strale.
Tutti sguinarono l'arme assetate,
e celeri alla pugna dieder il via.
Mai due schiere fur così potentate
da conferir vita a una pugna sì ria!...
Spiravano i militi e i lor cavalli,
sotto la mole de' malvagi ferri...
Morivano i portentosi vassalli,
e i loro fedelissimi e pii sgherri.
Ma su quel campo, con duelli possenti,
v'erano arditi altri due contendenti.
-Verrà il dì in cui il padre ucciderà il figlio,
poscia che questi lo colpirà a morte.
E il rege, impallidito quale un giglio,
conoscerà Colui ch'ordì la sorte.
Ma l'angla gente non cada in spavento,
poscia che morrà il suo sapiente duce:
in un arcano e futuro momento
riederà forse la sua balda luce.
E nuovamente pugnerà il malvagio,
che pria di morire ancor lo colpirà.
Di sìfatte gesta son io il gran magio:
evoco un ciclo che per sempre sarà-.
Questo disse sur d'un immortal destino
quel buon mago che si nomò Merlino.
Fu così che iniziò lo scontro fatal.
Presa l'elsa fedel con mano salda,
evitò Artù il primiero assalto mortal
dell'inimica malvasia sì balda.
Allor, coll'eloquente e ricco scudo,
subito Mordredt un crudo colpo fugò,
che celere verso il suo capo ignudo
il padre, con trista crudeltà, scagliò.
Poscia s'incrociaron, per molte volte,
i sanguinari e gravi acciari aguzzi,
che da picciol piaghe, per caso tolte,
già si pascevan di porporei spruzzi.
Dovea esser sì lungo un sìfatto duello,
che bene o male dovea render fello!
Ma fattasi presto debole e stanca
la pia mano che tante pugne vinse,
il rege ferito venne ad un'anca,
che subito di fulvo cruor si tinse.
Ammirando il rivale barcollare,
fu così che Mordredt, insano di mente,
folle e infido, si mise ad insultare
il padre che si mostrava dolente.
Ahi, non l'avesse mai e poi mai compiuto!...
Artù, con possanza assai sovrumana,
gli trapassò il petto d'acciar vestuto;
e gli fè rubella la vita umana.
Ma oramai dal fato ei stava tradito;
cadde e svenne con un lamento ardito!
Quando i deboli e pii sensi riprese,
assai sgomentato mirò attorno a sè
due nobili, dal duolo sì palese,
che, rinnovandogli sempiterna fè,
gli annunziarono l'invana vittoria
contra le maligne e crudeli schiere.
Ahimè, oramai a nulla gli giovò la gloria,
annunziata da quelle verba fiere!...
Come assopito, serrò il ciglio frale,
e perdonando ancor la sua regina,
femminina cagione di quel male,
spirò sotto la Clemenza divina.
Sotto l'ombra del Calice desiato,
ammirò Avalon, ostello fatato. |
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