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Nell'impossibilità straziante
di possedere lei che amo tanto,
sta la lontananza orribilante
tra me e l'amoroso incanto.
E questo pensier terrificante
porta il mio core a giacere infranto...
a giacere mesto e lagrimante,
senza più speme, senza più vanto.
Ecco l'Amore Infelice, ahi lasso!
Ecco la Tragedia del viver mio!...
Da questo mondo caduto in basso
m'è negato raggiungere Iddio;
e la Redenzione è già perduta,
come perduta è la dolce Pace.
La colpa è di quella Sorte muta
che da tempo più non mi piace.
Ahi! Infelicità d'una Coscienza!
Ahi! Crudeltà sempre più arcana e ria!
Ahi! Orrenda ombra colma di demenza!
Quando verrà l'ora di volarten via?...
Le porsi la destra. Ma ella ignorò.
Le diedi una rosa. Ma ella fuggì.
Le donai un carme. Ma ella non parlò.
Le chiesi l'Amore. Ma ella azzittì.
La volli cinger d'abbracci soavi.
Ma ella, essendo da ore l'Assoluto,
fuggì da questo mondo di schiavi;
e mi lasciò per sempre perduto.
Qual Destino folle e baldanzoso!
Mille guerre fatte per il Nulla,
e pugnate pel buio tenebroso
lasciato da Iddio, da una fanciulla.
Mi sento malvagio e peccatore.
Mi sento male nel mesto spirto.
Mi sento tremar nel fondo core,
ché fuggon la Rosa, il Nume, il Mirto.
Quando i Crociati, poscia aspre stragi,
strappar Solima ai pii Saraceni,
invece di trovar tutti gli agi
e i sperati momenti sereni,
mirar una vòta e muta tomba
che disse loro- " Iddio sta né Cieli! "-.
Traditori dell'alba Colomba,
ebber soltanto vepri qual veli.
Se' tu allora il sepolcro cadente,
oh mia dolce e nobile Francesca,
dell'Assoluto ch'ognor furente
desia che la mia alma stia fresca.
Troppo peccai! Feci tanti azzardi!
E l'Assoluto dal suo alto Trono,
non volendo aspettare più tardi,
così mi nega il dolce Perdono.
Cercai teco la pia Redenzione.
Cercai per te la Pietà celeste.
Cercai in te un istante di Passione.
Volli fuggir teco le tempeste.
Cercai teco una dolce Speranza.
Cercai per te un Futuro migliore.
Cercai in te la divina Possanza.
Volli goder teco il più pio Amore.
Tacque il tuo core. Tacque il Divino.
La Pietà non mi volle parlare.
Ahi lasso, per colpa del Destino,
io non debbo e non posso amare!...
Tutto è perduto. Giaccio punito...
punito perciò nell'eternità.
Sì pago il fio d'essere ardito...
Lo pago con l'Infelicità.
Eppure tu mi parli e mi stimi.
Se dunque non sono un tuo nemico,
allor sull'orbe dai volti infimi,
dell'Assoluto sono un amico.
E non v'è amico onesto e sincero
che sia per sempre irraggiungibile.
Ma la Speme ormai giace nel nero
d'un core sempre più sensibile;
e preoccupato d'un rio futuro
segnato dall'inquietudine,
dal duolo sempre più forte e duro,
e dalla mesta solitudine.
Oh Francesca! Nel tuo verde ciglio
tuttora intraveggo l'Assoluto.
Ma d'altro ancora mi maraviglio:
nello Spirto divino ed astuto,
veggo brillare la tua Parvenza
ch'è anco una speme nella Coscienza. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
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«Segnalo al pubblico e alla redazione che questo mio componimento, nonostante sia originariamente basato sulla figura della " Coscienza Infelice " (" Fenomenologia dello Spirito ", momento dell'Autocoscienza, è comunque originale in quanto non v'è nulla di simile a quello che scrisse in prosa Georg Wilhelm Friedrich Hegel. La differenza più esplicita sta nel fatto che il filosofo germanico ha dato importanza al concetto di conflitto e non d'Amore.
Componimento dedicato alla mia amica Francesca Bellini.» |
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