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Noi siamo i Portoghesi della vita:
ricchezze avemmo e ci furono tolte;
non avevano meta stabilita,
eppure a noi esse erano rivolte.
Viviamo delle glorie del passato,
che sono amare nel tempo presente;
noi godiamo di ciò che ci fu dato,
scivolando nel buio lentamente.
Forse perché abituati a non pagare,
ci costa cara ogni umiliazione,
ora che noi i servizi dobbiam fare
alle genti di bassa condizione.
Noi siamo i Portoghesi che in un fado
culliamo le passioni piano piano,
e le portiamo avanti fino al grado
d’illuderci che torni Sebastiano.
Del termine alle terre ancorati,
noi possiamo il Brasile immaginare,
noi, quel Brasile dove siamo stati,
che sempre più separa un grande mare. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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«Siamo un po’ tutti, a una certa età, almeno a causa dell’infanzia, della gioventù andatesene, come i Portoghesi che, dopo avere goduto, quasi per caso, di enormi ricchezze e privilegi nel Cinquecento (fino ad arrivare al punto di non pagare certi servizi nello Stato della Chiesa), persero lentamente tutto quello che avevano conquistato, soprattutto dopo la scomparsa del re Sebastiano, sconfitto in battaglia in Africa nel 1578, e il cui corpo non fu mai ritrovato.» |
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