I ricordi della mia giovinezza, vissuta intensamente nell’atmosfera surreale e un po’ malinconica di Amardolce, sono legati indissolubilmente agli aforismi e racconti, un po’ strampalati a dir il vero. Racconti di guerra e altro inventati di sana pianta e, soprattutto, alle vicissitudini della vita di Domenico: un uomo senza età che riusciva a catturare la mia attenzione di ascoltatore grazie al timbro della sua voce che vibrava nell’aria, come il vento in mezzo ad un canneto.
Dopo la morte della moglie, Mingo, come veniva affettuosamente chiamato al paese, visto che soffriva d’insonnia, passava le lunghe notti d’inverno ad ascoltare canzoni di ogni genere con il suo vecchio giradischi che aveva portato dal Belgio. I vicini di casa sopportavano e facevano finta di niente, anche se in realtà quella musica disturbava la quiete della notte. Ma comprendevano lo stato d’animo dell'uomo, e intuivano che la musica che ascoltava così ad alto volume, era perché praticamente sordo e lo aiutava a vincere la sua solitudine.
Mingo seppe da un nostro comune amico che stavo per sposarmi con una ragazza pugliese.
Non fece domande su quell’evento che avrebbe totalmente modificato il corso della mia vita, forse, fece finta di niente perché secondo le tradizioni, avrebbe dovuto farmi un regalo, cosa che non gli andava a genio, perché “tirchio come un rabbino”.
Nessuno era mai riuscito a scucirgli una lira. Ecco perché nessuno lo invitava alle feste, ai battesimi e ai matrimoni. Era come se avesse un riccio nel portafoglio che gli impedisse di estrarre una banconota o una monetina da una lira. Trovava sempre un motivo per non pagare. In fondo, era il suo unico difetto, perché per il resto era considerato un brav’uomo.
Salutava tutti, rispettava le persone, non bestemmiava, non faceva male a nessuno…
Era soltanto dignitosamente avaro.
Una sera, quando il primo fresco dopo la calda estate, finalmente scese sulle case rinfrescando l’aria afosa, si sedette vicino a me e con interesse mi chiese una cosa che mi sorprese.
“É vero che la tua futura moglie è di Manduria?”
Annuii col capo senza proferire parola.
L’uomo aprì il portafoglio e, dopo averlo letteralmente rivoltato, mi fece vedere una specie di locandina, piegata in quattro, sgualcita e ingiallita.
C’era scritto:
Alla casa di piacere Adriana,
Alla buona Lire 1,10
Doppietta £ 2
Mezza ora £ 4,50
Ora intera £ 6
Acqua e asciugamano di tela compreso
Saponetta normale – centesimi 5
Acqua di Colonia - centesimi 23
Agevolazioni per il giovanotto di primo pelo!
Lo guardai sbigottito. Mingo era sempre stata una persona riservata e raramente parlava delle sue esperienze amorose.
Le sue dita nodose tornarono a frugare nel portafoglio e, quasi per magia, mi porsero una banconota da 50.000 lire.
“L’ultima volta che ci sono andato, non ho pagato la marchetta a Maria. Era nel 1945 ed ero un giovanotto di primo pelo.”
Rimasi così sorpreso che non riuscivo a tenere ferma la banconota nella mano.
“Quanti anni aveva all’epoca, Maria?”, gli dovetti urlare nelle orecchie.
“Era abbastanza giovane. Poteva avere una quarantina d’anni… Non di più! Quando vai a Manduria, la cerchi, chiedi in giro, non dovrebbe essere difficile per te ritrovarla perché abitava vicino alla stazione ”.
Presi il biglietto da 50.000 lire e me lo infilai in tasca.
Dopo il matrimonio, prima di partire per il viaggio di nozze, mia moglie mi ricordò la promessa che avevo fatto a Mingo. Salii a bordo della mia “Fiat Uno Fire” e mi avviai verso il luogo che Mingo mi aveva indicato. Posteggiai davanti alla stazione ed entrai nel chiosco di un fioraio, chiesi notizie della donna e mi riferirono che era morta da alcuni anni. Allora scelsi alcuni fiori recisi esposti, mi avvicinai alla cassa e pagai con la banconota datami da Mingo.
“Depositi il bouquet sulla prima tomba del cimitero di Manduria, dove troverà scritto sulla lapide il nome Maria!”.
Tornai in macchina, accesi il motore e me ne andai con il cuore leggero. Avevo onorato la promessa fatta a un uomo onesto.