Nella vita, per molti, l’unico scopo è raggiungere qualcosa. Cosa di preciso, non importa, ma raggiungere qualsiasi tipo di meta è un sogno. E i sogni sono quelli che più sovente sono chiusi in un cassetto. Ma spesso restano lì, avvolti dal silenzio, senza che mai nessuno se ne accorga, neppure noi stessi. Ad ogni modo, non per questo non li abbiamo. Tutti abbiamo dei sogni. Vivian non aveva tanti sogni, se non uno che l’aveva tenuta compagnia per tutta la sua esistenza. Amava la musica... quella per pianoforte, tanto da sognare ad occhi aperti una celebrità che non avrebbe mai raggiunto. Ma a parte questo i soliti...quelli di ogni essere umano: un lavoro, una famiglia, una bella casa, e tutto per Vivian era arrivato progressivamente senza tanto aspettare. Una vita piuttosto facile la sua. Prima la scuola con ottimi risultati, il diploma, la laurea, poi il lavoro, un fidanzato, un matrimonio. Già, tutto come da copione, quello che è stilato dalla nascita per tutti. Che poi le cose non vanno per il verso giusto, bè...quello fa parte della vita, del destino, di chissà quale diavoleria, insomma lì poi è solo per non rendere monotona l’esistenza di alcuni! La vita di Vivian era monotona nel senso contrario. Lavorava come “supporto magnetico” o pardon...come segretaria in uno studio di un noto avvocato. Riceveva telefonate, inviava email e rispondeva, armeggiava con i computer più sofisticati, ma sempre apparecchi senza vita perché, anche se grazie a loro conosceva il mondo intero, erano pur sempre aggeggi nei quali l’unica cosa che non si potevano far vivere, erano i sogni. Dunque un lavoro monotono. Dopo la laurea e il matrimonio, si era fossilizzata, anche se lentamente, con il trascorrere degli anni, la musica per pianoforte, si era imbattuta ripetutamente nella sua monotonia! Ad occhi chiusi si sentiva spesso padrona della vita avvolta dalle note e dagli applausi della gente. Un sogno che, fin da bambina, aveva sempre scacciato dalla mente, pur amandolo più di se stessa. Non aveva mai osato dirlo ai suoi genitori, né mai sarebbe stata capace di lasciare tutto per andare a studiare lontano quello che, in fondo, la interessava più di tutto. Ma gli anni erano passati, era alla soglia dei cinquanta e lei, il pianoforte e le sue note, le aveva richiuse e sotterrate, già da un pezzo, in un cassetto. Quando scriveva al computer, sfiorava i tasti con una tale leggerezza, che ci mancava poco che emettessero dei suoni. Spesso, durante le ore accanto a quell’attrezzo, aveva sentito nell’aria qualcuno che la osservava. Era solo la sua immaginazione, voltandosi o guardandosi intorno non c’era mai nessuno. Eppure lei, quella presenza, l’avvertiva e non si sentiva più sola, si sentiva felice! Felice della sua vita non lo era. Il marito non era uno stinco di santo e con il tempo, Vivian, aveva smesso di tentare di fargli capire quanto quella passione per il pianoforte era stata così grande e necessaria per lei. Aveva smesso anche di parlargli delle sue paure, di quelle gioie ed emozioni che non provava più e che forse veramente insieme, non le avevano mai provate. Non era stato l’uomo dei suoi sogni: era stato solo un uomo, con il quale aveva deciso di condividere la sua vita. Da qualche tempo, però, non stava bene, problemi di salute al cuore.
Qualche anno prima, aveva avuto una brutta batosta, e il medico si era più volte raccomandato, che qualsiasi forte emozione poteva esserle fatale. Vivian però, era decisa a provarla quell’emozione, a costo della vita, perché continuare nella routine, era come essere già morti!
Era d’inverno, un bel mattino rigido di dicembre, e Vivian sentì il forte desiderio di uscire, un forte bisogno di seguire il suo istinto.
Faceva molto freddo, d’intorno sui cigli della strada, ancora la neve dei giorni precedenti, e sebbene il medico le avesse severamente vietato di stare fuori con quelle condizioni climatiche, Vivian non lo ascoltò, e per la prima volta seguì solo il suo cuore.
A Luca, disse solo che sarebbe andata a prendere il giornale, come sempre, anche se l’unica preoccupazione di Luca sarebbe stata quella di dover essere costretto a stare a casa accanto a lei, se si fosse ammalata. Oh...questo Vivian non lo voleva, non gli era mai stata di peso, gli aveva dato sempre tutta la libertà che desiderava, senza mai chiedere niente, neppure quando tornava tardi a casa o non rincasava proprio. Niente domande, non ne faceva, non si parlava più di niente tra loro. Aspettò che Luca uscisse, s’infilò il giaccone, la sciarpa, il cappello e i guanti e si disse che era vestita abbastanza pesante per affrontare il freddo. Aveva una meta precisa. Spesso passando di fretta in via Carini, aveva sentito una musica che proveniva da un vecchio palazzo, da uno di quei balconi, antistante la strada. Quella mattina ci ritornò e appena imboccato il vicolo, quella musica si ripresentò alle sue orecchie. Provava un’emozione lancinante ogni volta che la sentiva e spesso, a causa di quella forte sensazione, si era preoccupata riguardo alla sua salute.
Ma questa volta era decisa ad andare fino in fondo. Percorse di fretta la strada, quasi per paura che qualcuno la riconoscesse, e appena giunta davanti al portone del vecchio palazzo, furtiva s’infilo e salì le scale. Un odore di tanfo saliva per tutta la rampa, si prospettava un aspetto tetro davanti ai suoi occhi. Ma non ebbe paura.
Giunse così al secondo piano dove c’era una porta socchiusa.
Era da lì che proveniva la musica. Bussò, ma senza risposta. Sulla porta nessuna targhetta, titubante spalancò l’uscio ed entrò. Davanti a lei, un lungo corridoio, e in esso, si snodavano diverse stanze. Nell’ultima entrò.
La stanza, dal soffitto altissimo, aveva grandi finestre per tutti e quattro i lati ed erano rivestite da tende di broccato dal colore del grano. Le poltrone in stile barocco e dello stesso colore delle tende, adornavano gli angoli e al centro c’era un uomo che suonava un pianoforte.
Non sembrò accorgersi di lei e Vivian, ormai avvolta da quell’estasi, si avvicinò piano senza fare rumore. Due mani, dalle dita affusolate, scorrevano delicatamente sulla tastiera, due occhi che sembravano assenti, ma che erano parte integrante di quel respiro, fissavano il vuoto. Alto, con l’aspetto di un angelo e dai capelli biondi, suonava una melodia struggente. Ma si era accorto di lei e continuando a suonare, le disse: “ Ciao, sono Franz e ti aspettavo”! Impietrita, Vivian con un filo di voce: “ Cosa? Parlava con me?” E lui:“ E con chi altri se siamo soli”. Vieni, siedimi accanto, è una vita che aspetto questo momento. Tu, non ti sei mai veramente accorta di me, di quanto ti ho seguita, di quanto ti ho cercata, di quanto avrei voluto che mi sentissi parte di te. Ho aspettato, ho aspettato con infinita pazienza, che sentissi che la vera ragione della tua vita, ero io. Io solamente!
Insieme avremmo raggiunto l’incanto dei sensi, insieme avresti vissuto la vita che volevi, che era dentro di te.
Ma tu no, fino a ieri, quando all’improvviso hai capito, che ero con te da sempre”.
Senza parole Vivian fissava Franz...investita da una sovrumana emozione.
E’ vero, aveva sentito per anni vagare quel respiro nell’aria della stanza di quell’anonimo ufficio. “ E lì che ti ho incontrato”! esclamò Vivian “ Ti sentivo fin dentro l’anima, ma non ti vedevo, non riuscivo a leggermi dentro come ora”.
E mentre parlava, le mani carezzavano il suo viso e le labbra sfioravano le sue in un crescendo di musica che li avvolgeva disperatamente.
E le note si alzavano confondendosi nell’aria, le mura percorse da brividi.
Un respiro nel respiro in un silenzio abissale, dove solo la musica diveniva sospiro, penetrava tra le pareti del cuore, mentre le mani continuavano a scivolare leggere, tra sogni e palpiti senza fine.
Poi ancora melodia, stupore, emozione. Uno struggente spasmo investiva la sua anima. Per la prima volta Vivian si sentì viva, viva fino a piangere, viva fino a desiderare di.…….
Poi il silenzio. Solo silenzio.
Un grido tagliò l’aria e i sensi.... e le sue mani ricaddero leggere sui tasti.
Quella casa era disabitata da molto tempo.
Un certo Franz, musicista, di origini austriache, era vissuto lì ma era morto da anni!
Vivian fu ritrovata, in quella casa, dopo lunghi giorni di ricerche.
Era abbracciata al pianoforte e tra le mani stringeva stretto uno spartito. Negli occhi la gioia di vivere, di ricominciare veramente e sulle labbra, ancora umide, un sorriso scivolava leggero.
Prima di uscire da casa, quella mattina di dicembre, Vivian aveva aperto quel cassetto e aveva portato con se il suo sogno, la sua unica ragione di vita, la sua ultima sinfonia.
Se ne era andata con la sua musica, con il suo pianoforte.