Dall’alto del suo regno la visuale era perfetta: si poteva osservare ogni cosa a 360°, con calma, senza che nessuno lo sollecitasse a fare in fretta, a non perdere tempo, a darsi da fare prima che il tempo scadesse; per essere più precisi, da “fare” non c’era proprio nulla: bastava limitarsi ad osservare ciò che facevano gli altri e premere qualche bottoncino sul quadro dei comandi, ogni tanto, senza impegno o spostare la pedina sulla scacchiera, tra uno sbadiglio e l’altro.
Quando il big bang era scattato e l’universo aveva finalmente cominciato a darsi un certo ordine, a lui era venuta l’idea geniale: avrebbe fatto da controfigura a Dio e avrebbe volentieri accettato di recitare le parti più rischiose, mettendo a repentaglio anche la pelle, se necessario, da bravo stuntman, senza tirarsi mai indietro, a costo di diventare impopolare agli occhi degli esseri umani, ma a patto di acquisire almeno una fetta di potere, (non poteva pretendere tutta la torta, come il Capo!).
E così , nel corso dei millenni, data la sua continua presenza “sul campo” nei momenti più felici o più incresciosi dell’esistenza umana, era diventato per tutti Il Signore, l’Essere Supremo, Dio Padre Onnipotente, ma anche il Budda, Odino, Allah, ecc. E’ vero, c’era anche qualcuno che si ostinava a definirlo con il nome di Fortuna o Sfortuna, senza rendersi conto di tutte le implicazioni filosofico-letterario-epistemologiche che questi nomi portano con sé, e qualcun altro gli attribuiva addirittura l’altisonante nomen di Fato o più modestamente Destino o con sermo umilis Sorte (Buona e Mala Sorte, a seconda delle situazioni!).
Sta di fatto che nessuno era a conoscenza della sua vera identità, del suo ruolo reale e perciò egli poteva scegliere come e quando intervenire nelle faccende del mondo e addirittura decidere “se” intervenire o meno, e le sue azioni erano sempre accettate e giustificate grazie all’equivoco iniziale, cioè essere scambiato per la vera Causa Prima di ogni evento.
I momenti più eccitanti della sua carriera erano stati quelli in cui aveva dovuto adoperarsi di persona, data la mole di impegni molto più seri che il vero Essere Supremo stava risolvendo, e proprio dall’esito sconcertante dei suoi interventi (nient’affatto meditati) potremo, forse, riuscire ad identificarlo e ad attribuirgli finalmente il nome giusto.
Partiamo dalla Storia romana e vedremo che, ad esempio, toccò proprio a lui dare una svolta alla famosa battaglia di Azio, che stava andando per le lunghe. Le cose si svolsero pressappoco in questo modo:
All’inizio la nave di Marco Antonio si trovava con Publicola, quella di Ottaviano con Lurio e la «Antonias», la nave ammiraglia di Cleopatra, con la regina a bordo, era posizionata alle spalle di Ottavio insieme ad altre 26 navi egizie.
Le due flotte si fronteggiavano, vicine ed immobili, senza prendere alcuna iniziativa. Il tempo passava lento, il mare era calmo. All'improvviso, a mezzogiorno, Sosio mosse le sue navi verso sud in direzione dell'isola di Leuca e si scontrò con Lurio dando inizio alla battaglia. I motivi del movimento improvviso di Sosio sono sconosciuti: qualcuno sostiene che era concordato, altri invece ritengono che volesse abbandonare Antonio al proprio destino. Comunque sia l'azione di Sosio incanalò la battaglia secondo i piani di Agrippa: attendere l'avversario e arretrare lentamente in mare aperto per sfruttare gli spazi con le proprie navi, molto più agili da manovrare.
Poiché il nemico non accennava ad aprirsi, Agrippa decise di rischiare e fece muovere bruscamente le navi verso il largo; Publicola cadde nel trabocchetto e lo seguì, allontanando le sue navi sia l'una dall'altra sia dal centro dello schieramento. Ottaviano, per tenere unita la formazione, fu costretto a spostarsi a nord e venne chiuso da Arrunzio. Questo spostamento creò un varco in mezzo che avrebbe potuto essere sfruttato dalle navi di Cleopatra, ma la regina decise inspiegabilmente di utilizzarlo per fuggire. Antonio vide la sua amante in fuga e non si preoccupò più della battaglia ma solo di inseguirla, lasciando flotta ed uomini al loro destino.
Inizialmente gli uomini di Antonio non si accorsero di essere stati abbandonati dal proprio comandante e continuarono a battersi valorosamente ; essi si comportarono come il migliore dei comandanti e il comandante come il più vile dei soldati, ma la battaglia era ormai perduta. I Romani iniziarono ad attaccare le imbarcazioni avversarie una ad una e, trasferendo sulle navi avversarie i soldati mediante il rampone, vi combatterono corpo a corpo, poi ne incendiano le vele, affondandole. Verso sera per Ottaviano fu un gioco da ragazzi chiudere il golfo con la propria flotta ed attendere la resa, che avvenne il giorno dopo.
Quale degli dei ringraziò Ottaviano, quale maledisse Antonio prima di seguire negli Inferi la sua amante? Non lo sapremo mai. Piuttosto è lecito chiedersi: cosa spinse Sosio a compiere la manovra che nessun piano aveva preventivato e che decise l’inizio della battaglia? A dispetto dei critici, molti risponderebbero che fu solo il Caso.
E cosa dire dell’evento che rappresenta l’inizio del percorso che porterà alla caduta definitiva dell’Impero romano d’Occidente e al suo sfaldamento irreversibile, vale a dire la battaglia di Adrianopoli? In quella battaglia, è vero, i Goti sconfissero i Romani d’Oriente e l’imperatore Valente fu ferito , ma non in modo letale. Se fosse guarito e fosse tornato al comando dei suoi eserciti, forse le cose non sarebbero andate come poi andarono. Invece morì bruciato nella fattoria dove era stato portato nottetempo dai suoi soldati per essere curato e a cui i Goti diedero fuoco senza peraltro sapere chi vi fosse nascosto. Con questa sconfitta l’esercito romano rimase senza riserve militari, e i Goti riuscirono a rimanere all’interno dell’impero e a dilagarvi, con le conseguenze che tutti conoscono.
Non nasce spontanea la domanda “Ma proprio in quella fattoria dovevano ricoverare Valente i suoi premurosi soldati?”. Si potrebbe rispondere che fu solo colpa del Caso.
Ma proseguiamo nella nostra indagine, così, tanto per giocare un po’ “a caso” con la storia.
Che Adolph Hitler sia stato uno dei più grandi flagelli della storia di tutti i tempi, nessuno lo negherebbe e neanche si potrebbe negare che, se uno solo dei tanti attentati che vennero orditi contro di lui avesse avuto esito positivo, di sicuro ci sarebbero stati meno danni e sventure per l’intera umanità. Eppure essi fallirono tutti miseramente, e certo non potremmo sostenere che ciò accadde per la volontà di Dio Onnipotente.
Prendiamo ad esempio quello ordito da un cittadino svizzero poco più che ventenne, Maurice Bavaud, fervente cattolico ed ex seminarista che in Hitler aveva riconosciuto il principale pericolo per l'umanità, l'incarnazione di Satana in pieno XX secolo. Il complotto fu messo a punto in totale autonomia e con una buona dose di dilettantismo, ma avrebbe potuto avere comunque esito positivo, se...
Il piano prevedeva che Bavaud, mischiatosi alla folla che assisteva alle celebrazioni della Giornata degli eroi a Monaco nel novembre del 1938, sparasse alcuni colpi di pistola su Hitler. Durante la sfilata, organizzata annualmente per commemorare il fallito putsch della birreria del 1923, il dittatore si sarebbe recato a piedi, tra due ali di folla, a deporre una corona al monumento alla vittime naziste. Tutto sembrava procedere secondo i piani. Bauvaud si era sistemato ai bordi della strada che il Fürher avrebbe percorso , abbastanza vicino, ma anche sufficientemente nascosto. Improvvisamente un gruppetto di fanatici si spostò sulla destra del giovane, sbilanciandolo indietro e alzando dinanzi a lui una selva di braccia tese nel saluto nazista. All'attentatore fu impedito finanche di esplodere un colpo. In pratica l’attentato fallì prima ancora di iniziare.
Qualche giorno dopo Bavaud si spostò a Berchtestgaden, dove intanto la sua vittima si era trasferita, ma anche qui non riuscì a cogliere l'attimo. Fermato imprevedibilmente nel corso di un normale controllo della polizia, gli fu scoperta la pistola e il suoi piani sgangherati vennero alla luce. Incriminato per tentato omicidio, fu ghigliottinato nel 1941.
Ed eccoci alla solita domanda: da chi o da cosa dipese quel duplice fallimento?
Saremmo tentati di rispondere anche questa volta che fu solo il Caso.
Potremmo andare avanti così ancora per molto in questa ricerca storica un po’ bislacca e troveremmo di sicuro tanti altri eventi curiosi su cui fare una riflessione concludendo con la solita domanda e con l’ancor più solita risposta.
Nel frattempo mi sto chiedendo: ma perché ho scelto di scrivere su questo argomento, che in verità non è dei più congeniali al mio spirito creativo?
Lo confesso: è stato solo un Caso.