Negli anni Sessanta e Settanta, per i giovani (e meno giovani) di Arzano il salotto in cui ritrovarsi era, oltre a piazza Cimmino, Porta Capuana a Napoli: per lo studio, o per il lavoro, molti erano quelli e quelle che si servivano quotidianamente dei bus delle " T . P . N . "
Quando, da bambino e da ragazzino, da Pomigliano andavo talvolta con i miei genitori a Napoli con la "Circumvesuviana", conoscevo soltanto Porta Nolana e piazza Garibaldi: da lì prendevamo poi dei mezzi per andare al centro (e talvolta, con mia madre e mia nonna, andavo a via Sant’Anna di Palazzo, dove viveva la sorella maggiore della mia nonna materna, la mia prozia, che era stata la compagna di un musicista del "San Carlo") . Conoscevo solo di nome Porta Capuana, e me la immaginavo come una parte di Napoli remota, misteriosa, quasi esotica...
Appena trasferitomi ad Arzano, appresi che il primo punto di riferimento napoletano degli Arzanesi era invece proprio Porta Capuana, e la frequentai quasi ogni giorno dal 1966 al 1973, dal terzo anno di un Istituto superiore alla laurea.
Noi giovani ci intrattenevamo volentieri sulle banchine della stazione degli autobus, e talvolta perdevamo qualche corsa per aspettare l’arrivo delle nostre belle, anche se chi aveva perso la testa per qualche bella più bella delle altre belle rischiava di rimanere a bocca asciutta, perché la vedeva arrivare a volte già in compagnia, o approfittare di un passaggio gentilmente offerto all’ultimo momento da qualche amico con la macchina (possedere, o anche soltanto riuscire a farsi prestare, una "Cinquecento" era allora un’ottima carta per entusiasmare le ragazze...)
Io poi mi ero specializzato a intuire se qualche ragazza sconosciuta frequentava la Ragioneria o l’Istituto magistrale (le liceali erano poche), e di solito indovinavo: le prime erano più sveglie, più moderne nel vestire, più spiritose, mentre le seconde avevano un aspetto un po’ più antiquato, apparivano più chiuse e monotone (io preferivo senz’altro le prime...)
Talvolta, con qualche amico, mi recavo nella corsia dei bus per Casal di Principe, per fare quattro risate: i Casalesi, piuttosto prepotenti, volevano tutti salire per primi, e si scacciavano l’un l’altro davanti alla portiera della salita del bus, peggiorando così la situazione, perché rimanevano tutti più tempo sulla banchina...
Quando mi decidevo finalmente a salire, con o senza compagnia, su qualche "Arzano", o "Grumo", o "Frattamaggiore", o "Orta", venivo delle volte, come tutti gli altri passeggeri, prima della partenza allietato da un singolare mendicante e da una sua amica: recitavano benissimo, lui in particolare, dei versi che io ritenevo suoi, non avendo ancora mai letto Raffaele Viviani ("Grazie pe’ l’accuglienza: / che dopo una lunga assenza, / all’apparire della mia presenza, / v’avutate ‘e renza / e mi mostrate questa circonferenza" ad esempio, o "Signure belle, comme avite capito, / i’ esco p’’a fraveca ‘e ll’appetito") . Negli anni Ottanta, quando già ero tornato a Pomigliano, comprai un giorno "Il Mattino", che dedicava un’intera pagina alla scomparsa di quell’uomo (c’era la fotografia), un giuglianese di cui non ricordo il nome, che aveva recitato nella compagnia teatrale di Viviani, effettuando anche delle tourné es, soprattutto in Sudamerica.
E forse anche quella sua amica, che entrava in scena quando lui aveva già cambiato bus, era stata un’attrice; diceva a tutti i passeggeri, ripetutamente, " ‘A tengo pur’io, ‘a tengo pur’io! ", fino a quando qualcuno, spazientito, replicava: "Ma ca tieni cchiù tu, ca si’ vecchia! " E lei immediatamente rispondeva: "Ca hai capito, zuzzuso? ‘A vocca pe’ magna’! "