Erano anni che Gianna non scriveva. Si, ogni tanto la penna la usava, ma solo per scrivere biglietti della spesa oppure, sulla lavagnetta in cucina, un promemoria per ricordare di pagare le bollette di casa. Le parole che usava erano sempre le stesse, molti numeri e poche lettere. Per lei non era un divertimento, ma un grosso peso. I conti non sempre tornavano e i soldi dovevano durare fino alla fine del mese.
Scrivere un racconto, non era per niente semplice. Non l’aveva mai fatto, aveva poco tempo, doveva andare al lavoro e quindi doveva sbrigarsi. Quando guardò l’orologio era già tardi e ancora non aveva iniziato. Il pc era acceso, la pagina ancora vuota, con due dita Gianna batté sulla tastiera le prime parole, le rilesse e a queste ne seguirono altre. Il suo raccontò di viaggio iniziò così:
Ci vuole un motivo per ogni cosa, nulla si fa per nulla, nemmeno alzarsi il mattino e io il motivo per fare un viaggio l’avevo. Quell’anno cadeva il venticinquesimo di matrimonio e per festeggiarlo come si deve ci voleva un viaggetto. Tutti hanno diritto a qualche soddisfazione, i figli erano cresciuti, con mio marito sono riuscita a comperarmi una casa, non è da tutti e in paese qualcuno addirittura ci invidia e se lo fa, vuol dire che i nostri sacrifici a qualcosa sono serviti. Meglio essere invidiati che far compassione, lo diceva sempre mio padre e questo mi rincuora, ancora oggi, ogni volta che leggo questa malattia negli occhi della gente. La meta del viaggio l’ho scelta dopo aver sfogliato diversi depliant recuperati nelle agenzie di viaggi.
Tra tante offerte la più vantaggiosa come rapporto qualità prezzo era l’Egitto. Si, siamo andati in Egitto, per la prima volta io e mio marito siamo saliti sull’aereo, abbiamo fatto la crociera sul Nilo, visitato Il Cairo e le Piramidi; solo a ricordarlo mi luccicano gli occhi. I figli per una settimana li abbiamo lasciati a casa da soli, era giunto il momento di metterli alla prova, dovevano abituarsi a cavarsela anche senza noi.
Dopo aver prenotato “il pacchetto”come lo chiamano le agenzie di viaggi, acquistai anche una guida turistica. “Non è necessaria” mi disse l’impiegata quando gliene parlai, “pensiamo a tutti noi”. Evidentemente non mi conosceva, non sapeva che non sono la tipa che fa le cose a occhi chiusi. Il compito dell’agenzia è di organizzare il viaggio, ma io volevo anche sapere cosa trovavo in quel paese, conoscere qualcosa in più di quella nazione e ripassare le nozioni di storia che dopo la scuola dell’obbligo ho scordato.
Arrivò così il giorno della partenza, dopo tante raccomandazioni ai figli, con mio marito mi avviai verso l’aeroporto. Mentre in sala d’aspetto attendevo che aprissero lo sportello per il check-in, adocchiai una coppia, non erano giovanissimi, sui trentacinque anni lei, forse 40 lui, ma dagli atteggiamenti sembravano in luna di miele, lei si continuava a toccare la fede che brillava al dito. Il viaggio non presentò difficoltà, in poche ore eravamo Al Cairo, non mi sembrava possibile che alle otto di sera del mese di giugno in Egitto fosse così buio. Un pullman ci stava aspettando con a bordo Karim, la nostra guida, che ci accompagnò all’hotel.
Arrivati, faticai a trattenere un urlo di gioia, era lussuoso e una piscina illuminata rendeva il posto magnifico, nella mia vita posti cosi belli li avevo visti solo nei cataloghi.
Dopo aver mangiato e sistemato le valige in camera la stanchezza prese il soppravvento, ma un bel sonno mi rimise in sesto. Il giorno dopo mi sentivo come nuova, piena di energia, pronta a visitare la cittadella e la moschea.
Karim parlava bene l’italiano, se non fosse stato per la sua pelle olivastra l’avrei confuso per uno di noi, si capiva che era abituato a stare con gente straniera, ci sapeva fare e ci spiegava ogni particolare dei luoghi che visitavamo: era il suo lavoro e lo faceva bene. In quel posto mi sentivo lontano da casa e nello stesso tempo a mio agio anche grazie ai nuovi amici, gli sposini Laura e Claudio.
Dell’Egitto avevo sentito parlare molto, le sue bellezza sono decantate da ogni parte, ma alcuni particolari non li puoi capire se non li tocchi con le mani. Sono sempre stata curiosa e la mia voglia di sapere mi ha fatto afferrare cose che Karim non ci ha mai detto, forse gli era stato ordinato di non accennarne, per evitare la curiosità dei turisti. Un segreto lo colsi casualmente, mentre scappavo dal mercato, c’era una calca tale che mi faceva mancare il respiro e non volevo stare male in Egitto, lì non è come in Italia, dove ci lamentiamo ma abbiamo ogni assistenza, là si rischia di lasciarci la pelle.
I mercati non assomigliano ai nostri, mentre li attraversi non puoi guardare nulla se non vuoi trovarti tra le mani cose che nemmeno ti sogni e non parliamo dei prezzi, prima ti chiedono dieci euro poi se sei capace di trattare te lo vendono a un euro.
Quando riuscii a togliermi dal mercato ero davvero soddisfatta di non aver comprato cose che non
volevo, feci un respiro profondo, e ne feci due quando mi trovai davanti a un negozietto ordinato, non mi sembrava più di essere nella città caotica di poco prima. In vetrina c’erano addirittura le corone del rosario, “corone del rosario in Egitto?” Mi dissi dandomi un pizzicotto per vedere se ero sveglia.
Entrai nel negozio, un signore gentile dal banco mi accolse: ”E’italiana?” Mi chiese in francese, risposi “si” precisai la città da cui venivo e tentai un discorso con un francese zoppicante, ma tra gesti e parole siamo riusciti a capirci ed era la sola cosa che importava. Quella corona in vetrina mi aveva lasciato una curiosità incredibile, mi avvicinai alla mensola dove era appoggiata, la presi e la girai fra le mani, era ben fatta e nell’angolino sotto, c’era addirittura il prezzo, quando lo lessi pensai “non è nemmeno cara, se chiedo lo sconto questo me la regala”.
Mi rivolsi al venditore chiedendo: “A quanto me la può vendere?” Con un dito mi indicò il bigliettino del prezzo. Dissi: “Questo è il prezzo di listino, a quanto me la vende?” Forse non avrà capito pensai, provai a ripetere l’ ultima parte della domanda masticando un po’ di francese misto al dialetto milanese che dicono abbia delle similitudini: “A quant le vendre?” L’uomo scrollò la testa, mi guardò come se mi vedesse solo in quel momento, poi disse: “Il mio prezzo è onesto, io sono un cristiano, un cristiano Copto”.
A quelle parole rimasi impietrita, mi scrutai dentro e mi sentii quasi male, anch’io ero cristiana ma per comperare una corona del rosario stavo approfittando di uno che stava peggio di me.
Pagai la corona per intero e rimasi a parlare un po’ con lui, gli chiesi informazioni su come viveva una comunità cristiana in un paese musulmano e seppi in quali condizioni vivevano e con quali limitazioni.
Peccati ne faccio ancora, ma qualcosa è cambiato nel mio comportamento, quel viaggio non mi ha insegnato solo la storia, ma soprattutto la vita.