In paese dicono che sono un buono a nulla, e pensano che sia peggiorato da quando mia moglie è morta. Mi credono una “mezza sega” e quando m’incontrano lodano lei, mai un sorriso o un complimento rivolto a me. Sono convinti che ogni cosa buona uscita da casa nostra sia merito suo.
Io non so guardare le persone negli occhi, lei con la gente aveva un altro impatto. Col suo sorriso da madonna conquistava anche il diavolo, ma solo fin quando la si conosceva meglio.
La mia vita è stata una lunga lotta con le donne: mia madre che passava metà della giornata a metter cera sul pavimento e io a far acrobazie per non scivolare, il resto lo passava a litigare con mio padre, quando tornava dall’osteria con la voce impastata.
Di lui ho un ricordo vago, ma non posso dimenticare gli strilli di mia madre. E quando finiva con lui, si girava verso di me e, urlando, mi diceva che ero la sua copia.
Poi venne mia moglie: la sua irruenza illuminò la mia vita, ma quella luce durò solo per qualche giorno, poi divenne buio permanente.
Con quel loro imporsi, le mie donne mi hanno tolto ogni desiderio, mi hanno ridotto come uno straccio. Mia madre al cimitero c’è finita da sola, la seconda m’assillava ancora.
Da Dio ho avuto due doti: un viso dolce e un fisico da atleta. La prima l’ho usata per corteggiarla, l’altra per liberamene.
Ho aspettato che si avvicinasse al pozzo, una spinta e la fama d’imbranato mi è servita. Non sono uno sveltone, ma le lezioni avute mi hanno insegnato che non conviene mai confessare. Mai.
È quasi mezzogiorno adesso, il fuoco è già acceso. Ci butto dentro la mia storia, chiudo l’album delle foto e per oggi la puntata è finita.
Sono tranquillo, in galera. A parlare coi morti non ci finisco e questo casolare è fuori mano. Nessuno mi viene a trovare.
Prima che si spenga il fuoco mi preparo un pranzetto e poi vado al cimitero, come sempre; bagno i fiori e piango sulla sua tomba, perché fingere fa parte di questa commedia che chiamano vita.