Marta, giovane e bella signorina di città, guardò con apprensione alla proposta di Léon, il suo compagno che, annoiato dalle solite vacanze in qualche villaggio turistico sperduto nel mondo, proponeva di andare alla ventura nelle campagne dei dintorni che vantavano nei loro pressi, ettari di vigne e appena più in alto, foreste importanti.
Non avrebbe potuto sfoggiare i suoi ultimi acquisti in fatto di abbigliamento.
Niente discoteca, niente ristoranti chic, niente animazione. Non si sarebbero annoiati? Non capiva proprio come, questa idea così bislacca fosse frullata nella mente del suo amato!
Gli voleva bene, lo amava davvero e, per una volta si decise di accontentarlo.
Tirò fuori dall’armadio invernale felpe, scarpe comode e berretti, guardando al lato positivo della situazione. Qualche bella camminata avrebbe sostituito egregiamente la palestra e la pelle senza trucco, si sarebbe rigenerata. Sì, si poteva fare e lei, sarebbe rientrata dalle ferie più in forma che mai. D’altronde un po’ più d’intimità col suo fidanzato non avrebbe potuto far loro che bene.
Giunsero di sera alla pensioncina di un paesino sperduto nei campi, al limitare di quella che sembrava una pineta.
Coperti da un piumone soffice e caldo, chiusero gli occhi sotto i raggi argentei della luna che entrava dalla finestra.
Al mattino furono svegliati dal cinguettio degli uccellini e dal canto di un gallo.
Da quanto non sentivano cantare un gallo?
Se ne stettero tranquilli per un po’ ad ascoltare i rumori della campagna. Davano una sensazione strana, come di ritorno a casa.
Li aspettava una colazione a base di pane burro e marmellata, un buon caffè fatto con la “moka” e frutta di stagione. Mangiarono con gusto mentre il campanile della chiesetta vicina cantava le dieci di mattina.
Fuori respirarono a pieni polmoni l’aria frizzantina profumata di resina e, si avventurarono lungo il sentiero che s’inoltrava nel bosco.
I loro sguardi furono catturati da un tronco molto chiaro, dritto come un fuso che puntava al blu tra le fronde. Lo toccarono:
Era liscio, senza nodi e quasi lentigginoso. Provarono a schiacciare quelle speci di foruncoli. Ne uscì un liquido marrone.
Il tronco fremette e una voce maschile li salutò informandoli che lui era l’abete bianco. Il consiglio della città degli alberi l’aveva eletto guardiano del bosco ed egli cercava di assolvere l’incarico al meglio che poteva. Brava persona il pino bianco. Appena un po’ vanitoso ma con cognizione di causa. Un tronco così dritto e slanciato e così chiaro! Difficile vederlo su qualunque altro albero. Le scorte di resina raccolte sulla sua corteccia, gli servono per mantenersi bello fresco lungo gli anni.
Come guardiano del bosco diede loro qualche dritta per orientarsi in quella selva di gente vegetale. I due giovani seppero di potersi fermare a parlare col pino. Gli andarono incontro con piacere. Lo salutarono e lui raccontò di amare il sole. Dalle sue parole capirono che anche lui, in fatto di vanità non scherzava. Continuava a vantarsi di ospitare tra i suoi rami, il più gran numero di nidi di tutti i dintorni.
Le betulle lì vicino fremevano al venticello autunnale, ridacchiando con le foglie piccole e tonde. Avevano voglia di conoscere gente nuova con cui spettegolare. I due fidanzati si sedettero tra loro, per consumare il panino che si erano portati.
Esse confidarono a Marta che il pino era tutta apparenza, confermando la prima impressione della donna. La informarono che i suoi rami pur sembrando robusti, non l’avrebbero sorretta se si fosse azzardata a salirvi sopra. Le dissero che nemmeno il montanaro ama particolarmente questa pianta. Se la si usa nella stufa, il suo legno sporca la canna fumaria. Se cade a terra, esso è subito assalito dai funghi e non si sa neppure difendere dai tarli e dalle formiche. Le betulle non vogliono aver nulla a che fare con un simile vanesio!
Léon guardò meglio queste piante. Non ne aveva incontrate molte, tuttavia nei parchi cittadini Qualcuna se ne vedeva ma, non ci aveva mai fatto caso. A lui piacevano le donne umane. Quelle vegetali, non sapeva neppure che esistessero! Considerò che anche se di due speci diverse, esse si assomigliavano tantissimo.
Le betulle in quel momento gli ricordavano certe pettegole umane che lui conosceva. Eleganti e filiformi, circondavano Marta. Vestite di bianco e giallo si muovevano assecondando il vento con movenze femminili. Le estremità dei rami richiamavano la fluidità dei capelli umani acconciati secondo la moda dei dipinti cinesi. La loro corteccia si sfogliava in veli sottilissimi danzando al vento.
Al tocco di Léon, una delle più giovani scoppiò in una risata di gola che lo fece sorridere … Si avvicinò e lei gli fece vedere la linfa: Rossa come sangue. Gli disse che la sua corteccia sembra delicata, in realtà è robusta e impermeabile; essa, per la pianta è come una mamma. Protegge il suo legno che si lascia modellare e lavorare con facilità.
La betulla catturò l’attenzione di Léon per lungo tempo. Lo informò che se avesse avuto bisogno di scaldarsi, il legno di betulla arde con un fuoco vivo e caldo, senza fumo. Che le sue inflorescenze regalano deliziose tisane. Salutandolo gli raccomandò di non dimenticarla mai.
Marta intanto era stata informata sugli altri abitanti del bosco ed espresse il desiderio, di salutare il larice. Le betulle lo stimavano molto e lei era curiosa. Le avevano detto che il larice è un pioniere, ama i terreni vergini da colonizzare. Esso, abituato ad affrontare ambienti estremi, è ribelle e insofferente alle regole ma molto generoso. I suoi aghi lo aiutano, preparando il terreno per altre piante.
Camminarono fino al limitare del bosco in alto. Finalmente lo videro. Era autunno e lui risplendeva nell’imbrunire con la sua chioma rossa e appariscente che si preparava a lasciarlo.
Toccarono la corteccia spessa e rugosa. Essendo questa pianta abituata ad affrontare ogni sorta d’intemperie, è di poche parole. A fatica i due umani riuscirono a strappare qualche informazione. Il suo carattere è tormentato anche nella sua seconda vita. Bisogna amarlo e capirlo, allora lui collabora. Il larice raccontò di avere un legno rosso, se la pianta ha vissuto in posti impervi e poveri d’acqua, è addirittura violaceo. Esso è molto resistente. I pavimenti in larice sono belli e durano nel tempo, anche se non trovano pace tanto facilmente. Pur piallato ed essiccato, questo legno, spesso si contorce e si muove.
È un brontolone e, perfino se si mette nella stufa, non smette di dire la sua. Brucia scoppiettando, lanciando la brace anche a un metro di distanza. Egli, pur avendo una presenza maestosa e armoniosa, non si pavoneggia. É sicuro di sé e non ha bisogno di gettare fumo negli occhi di chi lo guarda. Gli aghi si lasciano accarezzare, donando un piacevole senso di morbidezza che non ti aspetteresti da una pianta simile.
In primavera i rametti tendono al giallo e portano gemme viola. Se uno non sa cos’è il succo d’acero, può masticare queste gemme e nella sua bocca esploderanno il gusto e il profumo della resina toccasana nelle bronchiti.
Il sole volgeva al tramonto. Marta e Léon si avviarono per il ritorno. Erano ormai quasi fuori dall’ombra di questa città vegetale quando il frusciare delle betulle, chiese loro di tornare il giorno appresso. Esse sarebbero state contente di dar loro altre informazioni. Dovevano sapere che In quella città c’erano anche piante cattive e animali e funghi, buoni e cattivi anch’essi. Convivevano tutti, più o meno pacificamente come nelle città umane.
Non fecero i giovani, alcuna fatica a promettere di tornare. Erano stati troppo bene li. Volevano approfondire la conoscenza anche con gli animali. Avevano, infatti, intravisto tra i rami del pino, uno scoiattolo con una gran coda, intento a rosicchiare qualcosa, seduto sull’uscio di casa.
Si salutarono con la promessa di tornare. Le betulle si acquietarono e loro ritrovarono presto le luci del paesino.