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Storia di paese (Il confronto) 38 Episodio

Fantasy

Rabbrividì dal freddo stringendosi la pesante maglia di lana che aveva indossato sopra la camicia da notte, poi accese il fuoco che presto rese più accogliente la grande cucina.

Infine, dopo aver sbattuto delle uova in una ciotola vi aggiunse della farina e del miele per preparare dei biscotti, era intenta a completare l’ impasto che doveva essere soffice e profumato, quando sentì dei rumori provenienti dal giardino. Sorpresa guardò fuori chiedendosi: ” Ma cu po’ è ssiri a chista ù ora?”

Restò con gli occhi sgranati a guardare fuori dalla finestra, quando vide apparire una sagoma di un uomo che riconobbe subito: ” Già jè arrivatu? Ma jè presto… ancù ora ci voli…”

E sconsolata si sedette senza avere più la forza di lottare contro il destino che inesorabilmente aveva tracciato il suo cammino.

Nel frattempo era scesa anche Assuntina che disse: ” A picciridda ancù ora rù ormi, megghiu accussì… Ma tuni, comu mai già addiritta?”

Rosalia: ” Vulia fari i viscù otta pi vùà tri…”

Poi quasi come se parlasse a se stessa disse:” Ninu jè tornatu…”

Assuntina rispose: ” Uora ntè nnu chista facci scura… E unni s’ attrova? O capanno?”

Rosalia annuì con la testa e gli occhi le si riempirono di lacrime. La zia a quel punto non riuscì più a trattenersi e le disse: ” Rusalia senti a mia, iu nun sunnu fessa u capisci? Si nun u vvoi cchiù maritari, lassulu… Ma pensaci beni… pi to figghia chi crescerà sì enza ‘ n patri… comu a tia.”

Rosalia: ” E cu tu dici chi nun mi vogghiu cchiù maritari? Va beni finisco ri fari chisti viscù otta.”

Assuntina: ” Jè megghiù chi mi staiu queta…”

Detto questo sempre più adirata verso quella nipote cocciuta e insicera verso di lei, uscì per andare nel pollaio.

Vide la porta aperta del capanno, e le parve opportuno andare a salutare Nino. Lo trovò intento a sistemarsi le sue cose, appena la vide, le sorrise dicendole: ” Zia Assuntina chi beddu chi vidu a vuatri… comu stati? E Rusalia cu a picciridda?”

Ad Assuntina, Nino fece una grande pena, ma rispose al suo sorriso senza fargli trapelare la sua angoscia.

“ Beni… beni, finu a quannu ci ghisamu de lu lettu, duvimu arringrazziari u Signuri.”

Poi Nino continuò dicendole: ” Sapiti… nun vidu l’ù ora ri maritari a Rusalia, l’ amuri de la vita mo.”

Assuntina: ” E ci semu quasi…ù ora vaiu…”

E lo lasciò prima che lui si accorgesse del suo disagio nel parlare del matrimonio.

Rosalia si aspettava da un momento all’ altro che Nino venisse a salutarla ma stranamente lui non si fece vedere, anzi lo vide allontanarsi per la strada che portava al paese.

Aveva uno strano presentimento, il suo comportamento non la convinceva, e iniziò a porsi delle domande: Come mai non era venuto a salutarla?

Perché si recava in paese dopo essere appena arrivato alla cascina?

Doveva avere qualcosa di molto importante da fare. Naturalmente nessuno di questi dubbi ebbe risposta, riuscirono solo a tormentarla di più. Quello che Rosalia ignorava che Nino era stato convocato in caserma per degli accertamenti ed era per questo motivo che aveva anticipato il ritorno.

Nel frattempo, mentre Nino si stava recando in caserma, si domandava dentro di sé quale fosse il motivo di tale convocazione. Era certo di non aver commesso nulla di illecito, ma l’ agitazione lo portò ad ignorare che dietro quella convocazione ci potesse essera qualcosa di molto diverso.

Antonino aspettava con impazienza l’ arrivo di Nino in caserma, era stato lui a convocarlo inventando un pretesto. Voleva affrontarlo da uomo ad uomo, mettendo le carte scoperte sul tavolo. La data del matrimonio era imminente e non poteva più attendere senza far nulla che impedisse le nozze. Gli avrebbe detto che stava per commettere un grave errore sposando una donna che non lo amava e che non l’ avrebbe mai amato, diventando così un uomo infelice per tutta la vita. Nino trovò una sentinella alla porta della caserma, che gli chiese cosa volesse e dopo lo accompagnò nell’ ufficio dove l’ aspettava Antonino. Alla sua vista Nino restò perplesso e si ricordò di quel giorno alla fiera dove aveva notato l’ interesse quasi sfacciato del militare verso Rosalia.

In quella occasione il suo modo di fare lo aveva infastidito, e non poco e ora si domandava che diavolo volesse da lui.

Antonino gli si rivolse con un tono freddo e ufficiale e lo invitò ad accomodarsi. Nino tuttavia esitò, domandandogli: ” Salutamu a vuatri… allura sunnu ca… cù osa vuliti ri mo?”

Il carabiniere: ” Carma… carma assettati… t’ haiu chiamatu pi parrari ri Rusalia… sacciu chi u jornu ri Santa Lucia vi maritati… nun lu fari… jè ‘ n granni erruri…” Nino lo guardava con l’ aria sempre più stupita:” Ma a vuatri cù osa vi ntiressa? Su fatti mia e nun ri vossì a.”

Lui: ” Ccà vi sbagghiati… sunu fatti meu… idda nun vi voli… Voli a mia.”

Nino sentiva il sangue ribollire e un fuoco risalire dalle viscere fino alla testa, cercò di controllarsi perchè sapeva che l’ uomo poteva usare qualsiasi sua reazione impropria per compiere una ritorsione contro di lui approffitando della sua posizione.

Cosicchè usando parole moderate chiese: ” E a vuatri cu va rittu? Rusalia jè a mo fì mmina e si vi siti misu strane idee vi i putiti togliere.”

Il carabiniere continuò: ” Po ì esseri nun mi aviti capito…”

E ritornò a dargli del voi per mantenere un voluto distacco e così mettere in chiaro chi era fra due che comandava.

Nino: ” Siti vuatri chi po ì esseri chi nun cumprè nniti. Idda voli a mia e sarrà mo mugghì eri. E si nun cc’è à utru me ni vaiu.”

Antonino ribattè: ” Si dici chi nun cc’è cchiù surdu ri cu nun voli sì entiri, iu vi haju avvertito.”

Nino non disse più una parola salutò e uscì frettolosamente dalla caserma. Aveva nella testa una grande confusione, le parole del carabiniere gli risuonavano come un tamburo in un momento di guerra. E continuava a ripetersi: ” Jè sulu ‘ n pagliaccio, e iddu chi a voli… Rusalia voli a mia e a nuddu.” Ma d’ altra parte era consapevole che non voleva accettare la cruda verità e cocciutamente continuò per la sua strada.

Arrivò alla cascina all’ ora di pranzo, cercò di calmarsi un po’ prima di presentarsi davanti alle due donne, poi prese coraggio e bussò alla porta. Venne ad aprire proprio Rosalia, la quale lo accolse con affetto nascondendo bene il tumulto che aveva nel cuore. Dopo i saluti si accomodarono a tavola a pregustare le prelibatezze preparate da Assuntina.

Per l’ occasione aveva cucinato ” A’ Picciotta”, era un piatto tipico di Nicosia, paese in provincia di Enna ma diffuso in tutta la Sicilia a base di farina di cicerchie, accompagnata da broccoletti e lardo, pancetta e ciccioli di salsiccia, servita con fette di pane abbrustolito. E nel caso che ne sarebbe avanzata il giorno dopo veniva tagliata a pezzi e mangiata fritta.

Nino non si fece pregare e divorò tutto in breve tempo, facendo i complimenti alla zia, la quale era sempre molto compiaciuta quando le sue pietanze venivano divorate con gusto.

Dopo pranzo Nino chiese a Rosalia se potevano parlare un po’ da soli e così, nonostante il freddo uscirono a fare una passeggiata.

Lui le chiese di sedersi sotto il pergolato di uva ormai vuoto e con i tralci secchi e a bruciapelo le chiese: ” Rusalia si filici?”

Lei non si aspettava una domanda così diretta ma si riprese dalla sorpresa e rispose: ” Ninu cu dumanne? Cì ertu.”

Lui continuò: ” Si cì erta chi mi vvoi maritari?”

Lei: ” Comu mai tutte chiste dumanne? Nun jè chi si tuni po ì esseri a aviri dubbi.”

Nino: ” Ma chi rici? Iu sugnu cì ertu comu sacciu chi u suli nasci ogni matina.”

Detto questo chiusero l’ argomento e parlarono d’ altro.

Nei giorni successivi Rosalia si recò dalla sarta per gli ultimi ritocchi all’ abito nuziale, dopo qualche giorno, questa la informò che l’ abito era stato ultimato nonostante il breve tempo a sua disposizione e che glielo avrebbe fatto recapitare a casa l’ indomani.

La mattina seguente, Laurina chiamò Gaetana, la figlia maggiore dicendole che doveva consegnare l’ abito a Rosalia e le raccomandò di stare attenta che non le capitasse nulla, inoltre le ricordò che era sempre la figlia di Don Enzo e meritava rispetto nonostante i suoi trascorsi.

Gaetana da ragazza ribelle qual era rispose: ” E chi fussi mai? ‘ Na principessa.”

La madre: ” Zì ttiti e otinni si no mi fai pì erdiri a carma.”

Gaetana sbuffò, come era suo solito quando era in contrasto con lei e tirandosi indietro i suoi lunghi capelli ricci, si guardò allo specchio rimirandosi compiaciuta, era veramente bella, solo che ancora nessuno che gli piacesse, l’ aveva chiesta in moglie per via del suo forte carattere. Agli uomini facevano comodo le donne remissive e con un carattere debole, facili da manovrare e sempre pronte a servirli.

La madre era molto preoccupata per il suo futuro, avrebbe voluto vederla accasata e con figli invece doveva rassegnarsi ad avere una figlia zitella, in quanto aveva da poco superato i venti anni ed era già considerata vecchia.

C’ era stato solo un uomo, che anche se gli avevano consigliato di desistere dal suo proposito, l’ aveva chiesta in moglie ricevendo dalla ragazza un rifiuto categorico. Questa lo aveva allontanato in malo modo, umiliandolo: ” Ma vi siti vaddatu? Siti tignusu (pelato),cu a panza, E sì enza rì enti e peggiu sì enza sordi.”

Gnaziu, così si chiamava in realtà non era proprio un bel ragazzo ma nemmeno come lo aveva descritto lei. A Gaetana piaceva mettere in imbarazzo gli uomini e spesso con la sua lingua tagliente ci riusciva benissimo.

Indossò una lunga mantella di lana e s’ incamminò con l’ abito sulle braccia, per la strada che portava alla cascina. Il peso del vestito la costringeva a fermarsi di tanto in tanto per riposarsi, quando sentì il rumore di un carro che si avvicinava. Pur sapendo che non era bello che una ragazza chiedesse ad uno sconosciuto un passaggio decise che lo avrebbe fatto comunque. Cosicchè si mise sul lato della via aspettando che arrivasse. Al suo cenno di fermarsi, il conducente si arrestò e vedendo una gran bella ragazza, si meravigliò della sua sfrontatezza. Gaetana riconoscendolo provò un leggero imbarazzo e disse: ” Pirdunu si vi haju fermato, ma sunnu pisanti, e haju arrivare cchiù supra, pi collina.”

Don Enzo la guardò affascinato, era veramente una creatura deliziosa e a primo impatto gli sembrò che avesse proprio un bel caratterino, di quelli che piacevano a lui.

Per niente infastidito rispose:” Acchianati, chi ti portu iu.”

Gaetana prese posto accanto al barone lusingata di essere in sua compagnia. Don Enzo le chiese dove stesse andando e quando seppe che stava portando l’ abito di Rosalia alla cascina il suo entusiasmo crebbe.

Disse: ” Accussì tu si a figghia ri Laurina, nun sapia chi avì a ‘ na figghia accussì bedda.”

Gaetana per la prima volta nella sua vita, arrossì al complimento di Don Enzo e si chiuse in un mutismo insolito per lei, essendo molto loquace e con la parlantina sciolta.

Fecero l’ ultimo tratto di strada in silenzio, il barone si era accorto che con il suo modo di fare aveva imbarazzato la giovane e le chiese: ” Mi scusassi si mi sonu lassatu annari, ma ri frunti a tanta bbiddrizza…”

Gaetana sentendo le sue scuse si sentì ancora peggio e accennando un debole sorriso, abbassò lo sguardo per evitare il suo.

Si diede della stupida dicendo fra sè: ” Tana ma ti si nfuscata? (rimbambita), jè sulu ‘ n omu, comu tutti navutri, avi sulu cchiù sordi”.

Ma le sue affermazioni non la fecero sentire meglio anzi non vedeva l’ ora di arrivare.

Il carro varcò il cancello della cascina e attraversò il lungo viale ormai spoglio di fiori e colori. Assuntina in uel momento era fuori, davanti casa per raccogliere dei rametti secchi per accendere il fuoco. Appena li vide chiamò la nipote: ” Rusalia… Rusalia spicciati, vè ni fù ora… cc’è to’ patri nzemi a la figghia ri Laurina.”

Rosalia: ” Arrivu… ‘ n attimo chi corico a nicareddra chi rù ormi.”

Mentre aspettavano a Rosalia, Assuntina li fece accomodare, facendo come sempre gli onori di casa offrendogli del liquore d’ amarena fatto in casa, per lei come per gli altri paesani, l’ ospite era considerato sacro.

Quando Don Enzo chiese: ” Allura jè tuttu pronto? Si vi manca qualcuosa basta chi u rici a mia. A portu iu all’ artaru, sugnu u patri e tutti hanno ri sà piri.”

Rosalia ascoltò le ultime parole del barone e si sentì orogogliosa di essere sua figlia, amava quel padre nonostante tutto e si rese conto di assomigliargli molto.

Assuntina ribattè a Don Enzo: ” Sugnu cì erta chi Rusalia sarrà filici ri aviri a vuatri a so ciancu… e vi ringrazio ma jè tutto a posto.”

Dopo aver consegnato l’ abito i due se ne andarono e quando il barone si propose di accompagnare Gaetana a casa, questa rifiutò dicendo che avrebbe fatto una passeggiata, non voleva assolutamente restare ancora sola con lui. Quell’ uomo non era come tutti gli altri e anche se non era più giovane riusciva a metterla in imbarazzo e a suscitare in lei forti emozioni, mai provate fino ad allora.

Don Enzo restò deluso dal suo rifiuto ma non lo diede a vedere e così si separarono prendendo ognuno la sua strada.

Nel frattempo Rosalia aprì la confezione dell’ abito e restò a bocca aperta, era semplicemente stupendo. Laurina aveva fatto uno splendido lavoro, il corpetto in pizzo e ricamato a mano impreziosito da motivi floreali era un capolavoro. Anche Assuntina fu soddisfatta e chiese alla nipote di provarlo per vedere se andava bene, ma lei rispose che lo avrebbe indossato solo il giorno delle nozze. Detto questo lo portò in camera di Totuccia, poggiandolo sul letto, gli diede un ultimo sguardo e chiuse la porta quasi come se ignorandolo scomparisse per magia.

I giorni passarono veloci e arrivò così il 12 dicembre, l’ aria in casa era tesa, Assuntina si dava da fare per gli ultimi preparativi, voleva che tutto fosse perfetto, per lei non si sposava una nipote ma una figlia. Dopo la cerimonia in chiesa avrebbero fatto il banchetto in casa con i pochi invitati presenti. Si era data da fare tantissimo preparando dolci e torte, e sistemando la casa con l’ edera e fiocchi bianchi adornati da fiori d’ arancio. Rosalia al contrario girava per casa come uno spettro, il viso pallido per le notti insonni e per la tristezza.

Nino era sempre più eccitato e ansioso al pensiero che finalmente avrebbe fatta sua la donna che amava da sempre.

Quel giorno evitarono quasi di vedersi, com’ era consuetudine dalle loro parti. L’ indomani lui l’ avrebbe aspettata in chiesa con un mazzo di fiori d’ arancio e lei sarebbe arrivata dopo insieme al barone più bella che mai.


Anna Rossi 13/01/2022 17:57 1 523

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Antonino non poteva essere più chiaro... ma Nino non poteva accettare questa realtà... Lui amava Rosalia e presto sarebbe diventata sua moglie. Come poteva immaginare la sua vita senza quella donna che aveva inseguito da tempo, corteggiandola ed aiutandola in ogni circostanza.
Nemmeno Rosalia vuole cambiare idea... e davanti le domande della zia non cede. L’infelicità sembra oramai scritta... per Rosalia e per Nino...
Affascinante capitolo che cattura come al solito il lettore...»
Giacomo Scimonelli

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