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Era l’ ennesima discussione in casa! e sempre all’ ora di pranzo! Ormai la roba che mangiavo mi andava di traverso, non ne potevo proprio più di ascoltare mio padre tutti i giorni con la stessa solfa: "Ma cosa aspetti a trovarti un lavoro? Cosa fai tutto il giorno a scrivere, scrivere, con quel maledetto computer? Non hai ancora capito che i tuoi romanzi non li vuole nessuno? Non vedi che hai già trent’ anni e non hai combinato niente nella tua vita? Quanto tempo ancora pensi di vivere sulle nostre spalle?" Ecco, quest’ ultima domanda fu la goccia che fece traboccare il vaso (come si dice in questi casi). Mi alzai dal tavolo facendo rumore mentre tiravo indietro la sedia, sbattendo il tovagliolo sopra il tavolo e dissi: -"Basta! tolgo subito il disturbo!" E mentre dicevo questo mi diressi verso la mia camera e tirai fuori una valigia, incominciando a buttarci dentro le cose indispensabili. Mia madre che mi aveva seguito si mise a piangere, dicendomi di non andar via, che non gli dessi retta perchè mio padre purtroppo era fatto così, ma io mi girai verso di lei, la abbracciai e le dissi di non piangere che papà, dopo tutto, aveva ragione. Era ora che pensassi a mantenermi da solo, e se proprio volevo continuare a scrivere, l’ avrei fatto di notte, o nei momenti liberi, ma non potevo restare, non potevo più sopportare quella situazione. Così, mi trovai fuori in strada con 50€ in tasca, non avevo idea di dove andare, e la prima persona che mi venne in mente fu Roberto, un caro amico, l’ unica persona che credeva in me, che mi diceva sempre che avevo talento e non dovevo smettere di scrivere. Mi presentai da lui con la valigia in mano, Roberto appena mi vide mi fece entrare senza problemi, dicendomi che finchè non avessi trovato un lavoro potevo starmene da lui. La mattina seguente, molto presto, andai a comprarmi il giornale, e mi misi a leggere tutte le offerte di lavoro che potevano adattarsi meglio a quello che sapevo fare, avevo una discreta conoscenza delle lingue e non mi ritenevo uno stupido. Qualcosa avrei trovato! Con una penna evidenziai tutti i lavori che mi sembravano possibili per me; mi feci una bella doccia, mi misi l’ unico vestito che avevo portato e andai fuori pieno di speranza e buoni propositi. Era ormai buio quando tornai a casa dal mio amico, la vita si sa, non è così facile come si pensa. Avrei dovuto "scendere di grado" rassegnandomi a fare a meno della giacca e cravatta... Trovai lavoro in un ristorante come lavapiatti, mica male per incominciare, pensai con autoironia. Il lavoro era tanto e mal pagato, ci rimasi una settimana. Poi fu il turno di uomo delle pulizie in un ospedale. Peggio che andar di notte! Feci il giardiniere, il dog- sitter, il lavavetri, e tanti altri: o pagavano una miseria, oppure a fine giornata sembrava che mi fosse passato un camion addosso. Insomma, dovetti riconoscere che era molto meglio scrivere romanzi! Mi armai di pazienza, e concentrandomi giorno e notte, scrivevo, scrivevo, cancellavo, tornavo indietro, ricominciavo da capo, finchè incominciai a ingranare un romanzo che secondo me, sarebbe piaciuto a qualche editore, era interessante, ironico, e la cosa più importante lo stavo scrivendo senza nessuno sforzo, le idee si moltiplicavano nel mio cervello e le parole uscivano come fiumi in piena. Ero contento! ancora qualche giorno e l’ avrei finito, mi mancava un finale originale, non scontato, ma purtroppo questo, non mi veniva. Quando mi bloccavo con quello che stavo scrivendo, lasciavo tutto e uscivo a camminare, pensavo, camminavo e pensavo, e più di una volta mi si apriva il cervello in una cascata di nuova linfa. Ma questa volta non c’ era niente da fare. Stanco di camminare entrai in un bar, chiesi un caffè e con la tazzina in mano mi guardai intorno. Il bar era quasi vuoto, c’ era solo una coppia che parlava fitto fitto e una ragazza sola che beveva qualcosa in una tazza. Era molto carina, mi domandai cosa ci facesse una ragazza come lei, sola, in un bar, a quell’ ora della notte. Lei si accorse che la stavo guardando, e con uno scatto nervoso si alzò, pagò alla cassa e uscì dal bar. Io feci altrettanto e la raggiunsi fuori. Mi guardò molto seria e mi disse: -"Senta giovanotto, cosa si è messo in mente? La smetta di seguirmi e mi lasci in pace, non ho nessuna intenzione di fare la sua conoscenza!" - "Signorina, mi scusi, ma lei ha attirato la mia attenzione, sia per la sua bellezza sia per il fatto che una ragazza come lei non dovrebbe andare in giro da sola a quest’ ora..." - "Su quest’ ultima considerazione ha pienamente ragione, non si sa mai chi si può avvicinare!" - "Non abbia timore, sono assolutamente innocuo, anzi, mi presento subito: Angelo Ardizzi, aspirante scrittore!" - "Ma davvero? Che casualità! Anch’ io scrivo libri! Mi chiamo Eleonora Landolfi, ma mi firmo con uno pseudonimo: Noraland. -"Vede? parlando si chiariscono le cose...." però diamoci del tu! tra colleghi è più che giusto, non ti pare?" - "Io non sono tua collega! Io ho pubblicato tre libri e ho avuto anche un discreto successo!" - "Io non ho pubblicato niente per il momento, ma sto scrivendo un romanzo che sinceramente mi farà conoscere al pubblico, e allora vedrai..." "Bene, mi fa piacere per te, ora lasciami in pace che sto per arrivare a casa mia" "Ma non potresti lasciarmi almeno il tuo numero di telefono? mi farebbe piacere rivederti...." "Mi dispiace, ma il mio numero telefonico non lo do mai a sconosciuti". E così dicendo sparì dentro a un portone. Certo che aveva un bel caratterino la ragazza, pensai, mentre dirigevo i miei passi nella direzione opposta. "Quella notte non chiusi occhio, mi giravo continuamente nel letto pensando all’ incontro di quella sera, ma mentre pensavo queste cose, ecco che si accese la "lampadina", mi alzai di scatto, e corsi al computer e come un lampo scrissi la sospirata fine del mio romanzo. Ero euforico! Sarei andato dal mio editore che questa volta avrebbe sicuramente apprezzato il mio lavoro. Così feci, lui come sempre, mi disse che se fosse stato accettato, l’ avrebbero passato in stamperia e mi avrebbero avvisato subito. Ma i giorni passavano e io non ricevevo nessuna telefonata, allora presi tutti i miei capitoli, li misi dentro ad una cartella e andai a bussare dall’ editore che appena mi vide mi venne incontro con un sorriso ipocrita, scusandosi con mille parole poco chiare per non aver potuto leggere il mio racconto. In quel momento entrò Eleonora, era felice e nemmeno se ne accorse della mia presenza. L’ editore le andò incontro e complimentandosi con lei disse che il suo nuovo romanzo era già in fase di lavorazione, presto sarebbe uscito alla luce. Senza nascondere la felicità del momento, i due si abbracciarono molto affettuosamente, io direi, troppo affettuosamente... A questo punto raccolsi la mia cartella ancora sulla scrivania dell’ editore, e me ne andai senza dire una parola. Tanto, mica era l’ unico editore della città! E se fosse stato necessario avrei girato tutto il mondo finchè ne fosse interessato qualcun altro. Sentivo dentro di me che questa volta stavo sulla strada giusta, niente e nessuno mi avrebbe fermato. Effettivamente, dopo tante prove e vari rifiuti, un editore si interessò al mio romanzo, mi disse che era molto avvincente, accattivante, moderno e scritto bene. Quella era musica per le mie orecchie e in poco tempo uscì in tutte le librerie della città, e non solo, si vendeva benissimo e dopo nemmeno un mese si dovettero stampare altre 200 copie. In tutte le librerie c’ era la mia foto nelle vetrine con scritto: "QUI, IN VENDITA L’ AVVINCENTE ROMANZO DI ANGELO ARDIZZI" Ricevevo telefonate, firmavo autografi, ero diventato famoso! io famoso! mi veniva da ridere imnmaginando la faccia di quella smorfiosa della Noraland! e di quell’ imbecille di editore che le moriva dietro... Una mattina che dormivo profondamente, sento suonare il campanello in maniera a dir poco allucinante, la persona che stava suonando non staccava il dito da quel coso nemmeno un secondo, io mi alzai infuriato, ma quando aprii la porta vidi mia madre che piangeva, mi disse che mio padre voleva vedermi subito, e che facessi presto perchè stava morendo. Io mi vestii in fretta e con mia madre salimmo in macchina e via a tutta velocità. Papà stava morendo purtroppo. Quando mi vide sorrise con fatica e mi disse: "Perdonami Angelo, ti avevo giudicato male, torna a casa tua, prenditi cura della mamma, mi raccomando e facendo un profondo sospiro, morì." Dopo solo due mesi, la mamma si ammalò gravemente, e se ne andò pure lei. Ecco, ora ero veramente solo, pensai, a cosa mi è servito il danaro? Ero rimasto solo come un cane, e gli amici che avevo, se si avvicinavano a me, era solo per interesse. Come quel giorno che me ne andai da casa, presi una valigia, la riempii con le cose più necessarie, andai fuori e fermai un tassì, e con una voce che non conoscevo dissi: "All’ aeroporto, grazie." f i n e
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