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Il monastero del canto del vento (3aparte)

Fantasy

Fu proprio il mio amico Tien Wong ad accorrere in mio soccorso con un altro compagno. Tien tese le braccia al massimo pur di raggiungere le mie mani, ma nonostante tutti i suoi sforzi riuscì soltanto a sfiorarmi le dita. Eravamo ancora troppo lontani. Scossi la testa, ringraziandolo mentalmente per la sua generosità, ma lui non si arrese. Allora compì un gesto eroico mettendo a repentaglio anche la sua incolumità pur di salvarmi la vita. Un gesto che avrei ricordato in eterno. Tien chiese al compagno di afferrarlo per le caviglie e si fece calare lungo la parete dell’ orrido a testa in giù. In quel modo riuscì ad afferrarmi per le braccia e ci ritrovammo a scrutarci negli occhi.

« Pazzo!» lo rimproverai, pur provando un immenso sollievo per i miei poveri muscoli e per la mia stessa vita. In quel momento, però, le nostre esistenze erano affidate alla forza, al coraggio e alla resistenza del compagno che, sdraiato sul ciglio, sosteneva il peso di entrambi. Quel giorno, comunque, le stelle erano con noi! Non solo ci difesero dalla pioggia di frecce che ci cadeva intorno, ma diedero anche le energie necessarie al nostro compagno affinché riuscisse a sollevarci entrambi.

Quando finalmente mi ritrovai in salvo, li guardai con il cuore colmo di ammirazione e di gratitudine. Come avevo potuto dubitare?

Il terrore del precipizio mi aveva annebbiato la mente, e fatto sottovalutare la solidarietà dei compagni, il loro sprezzo del pericolo e la prontezza di spirito. Avevano sfidato un nugolo di frecce per aiutarmi e io gliene ero grato.

I dardi piovevano intorno a noi, ma io mi reggevo a stento sulle gambe. Mi ripararono con il loro corpo e mi sostennero mentre correvamo al riparo.

Quando arrivammo mi lasciai cadere a terra, esausto e stressato dalle tante emozioni vissute. I bambini mi circondarono, salutandomi con urla e salti di gioia mentre, l’ imperatrice, socchiuse gli occhi e annuì dolcemente con il capo.

Non disse una parola, ma nei suoi occhi lessi il sollievo e la contentezza.

Volsi ancora uno sguardo ai nemici al di là del burrone. Tra noi e loro c’ era l’ abisso e se non rinunciavano a inseguirci, erano costretti a fare un lungo giro per raggiungerci. Almeno per il momento, eravamo in salvo.

Resisi conto che la loro preda era sfuggita, erano lividi di rabbia. Inveivano e continuavano inutilmente a bersagliare la nostra sponda di frecce. I miei compagni li derisero e per qualche istante, mentre riprendevo fiato, li lasciai fare, quindi ordinai di riprendere il cammino.

La notte, scesa improvvisa, era troppo oscura senza la perlacea luce della luna, coperta da nuvole minacciose ma, in compenso, c’ era una distesa di stelle occhieggianti da lasciare senza fiato.

Trovammo un riparo tra le rocce, perché i bambini mostravano segni di stanchezza e, sinceramente, anche noi eravamo esausti. Dopo essermi assicurato che la famiglia reale avesse abbastanza agio, mi rilassai. Finalmente potevamo riposare tranquilli. Non sussistendo nemmeno più il timore di essere individuati da lontano, accendemmo dei falò per riscaldarci dal vento gelido della notte, e per cuocere un po’ di carne sulla brace. Le nostre riserve di cibo erano poche e furono in molti quelli tra noi adulti a rinunciare alla loro porzione di carne per nutrire i piccoli. Ben presto avremmo dovuto tornare a cacciare.

Intorno al fuoco ringraziai i miei compagni per il loro pronto intervento e in modo particolare Tien Wong: « Rimango in debito con te, amico mio! Hai rischiato la vita per salvare la mia.»

Lui scosse la testa in modo modesto: « Scommetto che avresti fatto altrettanto per me, Hui!»

Annuii, ma avvertivo l’ emozione crescere nel mio petto e per evitare i lucciconi agli occhi, li abbassai e gli protesi il pugno. Lui fece altrettanto e ci toccammo: « Non lo dimenticherò mai, Tien!»

« Lo so!» concluse, sorridendo.

Dopo aver disposto per precauzione i turni di guardia, mi abbandonai finalmente a un sonno ristoratore.

Monastero Del Canto del Vento

I miei compagni mi avevano permesso di sospendere il racconto di mio padre e delle sue avventure con la famiglia reale solo dopo che ebbi promesso che avrei continuato la sera dopo. Così ci addormentammo, fantasticando sulle imprese dei grandiosi monaci guerrieri. Io, in particolar modo, avevo impressa nella mente la figura di mio padre mentre affrontava le innumerevoli insidie della montagna, e quell’ immagine mi accompagnò anche dopo aver oltrepassato la soglia del regno onirico.

Il mattino dopo il Venerabile Padre mi mandò a chiamare. Mi affrettai a raggiungerlo e mi inchinai nell’ antico saluto, così come ci era stato insegnato e sentivamo doveroso fare noi tutti davanti al sommo capo del monastero. Mi portai la mano aperta sul cuore, quindi sulla fronte e attesi a capo chino che parlasse.

Si trattava di una personalità carismatica, dal passato glorioso, che aveva vissuto un’ esistenza avventurosa, combattuto innumerevoli battaglie con una serie infinita di vittorie. Oltre a essere in soggezione ero talmente emozionato, che sentivo il cuore battere forte nel petto.

« Salute a te, Hui Ling! Ho avuto il privilegio di conoscere tuo padre, e anche quello di combattere al suo fianco» mi salutò il santo uomo, dopo avermi studiato per qualche secondo.

Ora potevo parlare. Cercai di dare alla mia voce un’ intonazione umile, poiché mi trovavo davanti a una persona, la cui aurea mistica suggestionava tutti noi giovani aspiranti monaci. La sua fama incuteva un grande timore reverenziale.

« Mio padre mi ha parlato di te, venerabile padre! Sono onorato di fare la tua conoscenza e di far parte di questo onorevole gruppo!» risposi, rivolgendomi alla sua persona con il temine più appropriato.

Il Gran Maestro non rispose subito, ma per lunghi istanti si limitò a scrutarmi con attenzione. Mentre lui squadrava ogni centimetro del mio corpo, valutandone la solidità e la prestanza, approfittai di quei momenti e studiai il suo volto con altrettanta curiosità. Non so con quale temerarietà lo feci. Forse fu l’ ardore giovanile, che mi spingeva a desiderare di essere come lui e riuscire un giorno a emularne la personalità e le gesta.

Poi, inevitabilmente, i nostri sguardi si incrociarono e io avvertii il mio volto in fiamme. Chinai il capo e percepii che mi stava sondando l’ animo.

« Guardami, Hui!» mi disse, mentre un lieve sorriso gli increspava le labbra.

« Trovo che assomigli molto a tuo padre e ne sono lieto, inoltre, i tuoi insegnanti mi hanno parlato bene di te e dei progressi da te acquisiti ogni giorno di più in questa nobile arte. So che stai raccontando la storia di tuo padre e della famiglia imperiale ai tuoi compagni. Io ero al suo fianco in quei giorni e ne sono testimone. Ricordo con grande orgoglio le traversie vissute da noi tutti durante quella terribile traversata del passo e della discesa dalla montagna. Non serve che ti dica che tuo padre si è comportato eroicamente, salvando la vita a tutti noi. Quando è stato costretto a lasciare il monastero, dopo aver subito la mutilazione, tanti di noi hanno versato lacrime di amarezza.»

Le sue parole mi avevano sorpreso e commosso. Ignoravo il fatto che conoscesse mio padre e che addirittura avessero vissuto insieme quell’ avventura.

« Venerabile padre, forse sarebbe più giusto che raccontaste voi ai miei compagni ciò che accadde in quei giorni!»

« No, mio caro ragazzo! Penso che sia più giusto che lo faccia tu! Solo una cosa ti domando. D’ ora in poi dovrai farlo nella sala delle udienze, in modo che la storia gloriosa dei monaci guerrieri, venga sentita da tutti gli abitanti del monastero. Te la senti di farlo, figliolo?»

« Ci proverò, maestro!» risposi all’ onorevole decano.

Il saggio uomo mi congedò, ma mi parve di sentire il suo sguardo accompagnarmi benevolmente al di fuori di quella stanza.

Quella sera, subito dopo cena, fummo convocati tutti nella sala delle udienze. Mi fecero salire nel pulpito situato al centro di quella grande sala cerimoniale, e lì con voce rotta dall’ emozione, dapprima tentennante e poi sempre più decisa, ricominciai il mio racconto. Erano presenti molte decine di persone, tutte pronte ad ascoltarmi e per me fu assai difficile concentrarmi.

Montagna Sacra 20 anni prima

“ Avevamo dovuto abbandonare i cavalli al di là del burrone e passata la prima euforia per aver superato il terrificante ostacolo, noi adulti fummo di nuovo presi dall’ ansia nel constatare la reale drammaticità delle nostre condizioni.

Eravamo sperduti in mezzo alle montagne con temperature rigidissime, il tempo che non prometteva nulla di buono e, per finire, senza acqua e senza viveri di scorta.

La mia maggiore preoccupazione erano i bambini. Mi domandavo quanto fossero in grado di resistere in condizioni talmente estreme, da minare anche la resistenza di uomini temprati.

Nonostante l’ inquietudine che cresceva di ora in ora, cercai di scacciare ogni pensiero importuno e impegnarmi ancora di più al fine di limitare al massimo i loro disagi e le sofferenze. Dovevamo ringraziare gli dei tutti quanti se eravamo ancora vivi e solo il fatto di essere ancora tutti insieme e in buona salute doveva bastarci.

Mi addormentai comunque pensando ai problemi che avrei dovuto affrontare l’ indomani, senza presagire che quello che ci attendeva era ancor peggio di quanto era già avvenuto.

Quando vennero a svegliarmi per il mio turno di guardia, aveva appena iniziato a nevicare. Perlomeno, avevamo risolto il problema dell’ acqua, considerato che si poteva sciogliere la neve e bollirla.

Ma ero altresì consapevole che una semplice nevicata a quell’ altezza, in pochi minuti poteva trasformarsi in una tormenta, che avrebbe potuto continuare per giorni e giorni, ininterrotta. Se ciò fosse accaduto, saremmo rimasti isolati e bloccati. Non potevo permetterlo, non con i bambini al seguito e privi di scorte di cibo. Dovevamo assolutamente andare a caccia.

Ognuno di noi era un abile cacciatore. Eravamo stati addestrati al tiro con l’ arco, e a quello della lancia, e con quelle armi, ben poche prede potevano sfuggirci.

Il solo dubbio che condividevo con i miei compagni era: dove trovare le prede a quell’ altezza e con quel tempo?

Nessuno ebbe il coraggio di palesare il problema davanti ai bambini e ognuno di noi tacque, mostrando invece sicurezza.

Ci prese la smania di scendere di quota e ci preparammo a ripartire. Senza più cavalcature, ognuno degli adulti si fece carico di assicurarsi uno dei piccoli sulla schiena, e ci avviammo sul sentiero in discesa.

Mai decisione si rivelò più azzardata!

Come avevo paventato, dopo nemmeno un’ ora arrancavamo in mezzo a una tormenta spaventosa. Non potevamo proseguire e nemmeno tornare indietro. I piccoli ricominciarono a piangere per il freddo.

Il rischio più grande, pensai, era che qualcuno cadesse in un crepaccio. Per questo decisi di fermarci, dovevamo assolutamente trovare un rifugio.

Liberai tre miei compagni dal fardello che portavano sulla schiena mandandoli in esplorazione. Non prima di aver segnalato loro, tramite un pezzo di stoffa rossa attaccata a un ramo, il punto preciso in cui ci eravamo fermati, cosicché avrebbero potuto ritrovarci anche in mezzo alla bufera.

Con gli altri miei compagni mi diedi da fare per costruire un riparo provvisorio, che seppur precario, ci avrebbe aiutato, sin quando gli altri non avessero trovato un rifugio più sicuro.

Legai saldamente le nostre coperte l’ una all’ altra a dei pali di fortuna, e sotto quella tenda improvvisata cominciammo l’ attesa.

Solo due di loro fecero ritorno. Uno era ferito, mentre del terzo non si seppe più nulla.

Perlomeno i due avevano trovato un possibile ricovero in una caverna, dove ci dirigemmo subito.

Legammo di nuovo i principi l’ uno all’ altro per il timore che si smarrissero in mezzo al turbinio della fitta nevicata, e assicurammo ancora una volta i più piccoli sulla nostra schiena, affinché non sprofondassero nella coltre nevosa già alta.

Anche l’ imperatrice avrebbe voluto farsi carico di un piccolo ma io glielo negai. Già si proseguiva a stento sulla neve alta e nella bufera e se glielo avessi concesso si sarebbe trovata presto in grande difficoltà. « No, mia signora. Ci pensiamo noi a portare i bambini.» le dissi, in modo deciso. Lei annuì, anche se le lessi nello sguardo che non era d’ accordo.

Misi Tien ad aprire la marcia, e un altro in retroguardia. Eravamo tutti con i sensi all’ erta, poiché il pericolo che qualcuno cadesse in una voragine era altissimo. Fu allora che avvertii il lugubre richiamo.

In principio, mi parve il sibilo del vento che soffiava impetuoso sferzandoci la pelle con le sue carezze gelide, ma poi tesi le orecchie e questa volta non potei fare a meno di rabbrividire. Non era il freddo! Erano ululati, e anche abbastanza vicini.

Lupi, tanti. Percepii, più che vederla, la manovra di accerchiamento. In quel momento eravamo vicini al rifugio, ma davo per scontato che avremmo dovuto difenderci in mezzo alla tormenta.

Sentivo gli ululati e i ringhi molto vicini, e ordinai di fermare la colonna disponendoci in un cerchio difensivo attorno ai bambini.

Istintivamente, cercai con lo sguardo quello dell’ imperatrice e lo ritrovai, puntato su di me, leggendovi un’ inquietudine senza fine. Strinse a sé i piccoli, avvolgendoli il più possibile nel suo caloroso abbraccio.

I lupi apparvero all’ improvviso, come materializzati dal nulla. I nostri archi erano già tesi con le frecce incoccate e diedi l’ ordine di lanciare.

Tutto quello che accadde dopo lo vissi come al rallentatore. Sotto la prima raffica di frecce, caddero almeno cinque lupi, ma con una sola occhiata mi resi conto che non si trattava di un piccolo branco, bensì di un’ intera orda famelica.

Dopo il primo tiro, nessuno di noi ebbe il tempo di incoccare, per cui sfoderammo le spade.

Ma se noi sguainavamo le temibili spade ricurve, le belve sfoggiavano zanne altrettanto spaventose. E dopo il primo attimo di sbandamento dovuto al nostro tiro micidiale, l’ audacia dei lupi aumentò, facendoli avanzare con cupi brontolii.

Uno dei miei compagni fu aggredito da tre belve contemporaneamente, creando un vuoto nella nostra difesa. Sentii l’ urlo unanime dei principi terrorizzati e quello altrettanto angosciante dell’ imperatrice.

Accecato dalla neve sferzante e dal furore della battaglia, la vidi di sottecchi mentre balzava furiosamente in avanti, ma in quel momento non realizzai cosa stesse facendo. Poi, il mio sguardo cadde davanti a lei e constatai con orrore cosa fosse accaduto. Un lupo era riuscito ad afferrare tra i denti un lembo della tunica di uno dei bambini e stava trascinando via il piccolo terrorizzato, mentre la madre, disperata, tentava in tutti i modi di strapparglielo dalle fauci.

Quella scena mi ghiacciò il sangue nelle vene. Reagii in un battibaleno, gettandomi con la spada sulla famelica belva. Sferrai un colpo netto e violento con la mia lama e la sentii affondare nelle carni della bestiaccia ringhiosa. La sentii guaire e capii che aveva abbandonato la presa sul piccolo, che trovai abbandonato sulla neve con gli occhi sbarrati dall’ orrore, e con l’ urlo rimasto strozzato nella gola. Perlomeno era incolume.

Lo sollevai velocemente, e senza nemmeno porre il caso alla delicatezza, lo restituii alla madre, scortandoli al centro del cerchio difensivo.

Ricevetti in cambio un mesto cenno del capo e tornai a combattere, trovandomi ancora una volta, spalla a spalla con i miei compagni, ad affrontare zanne e artigli e fauci bavose.

Se fosse stato solo per la mia vita, non mi sarei preoccupato più di tanto, ero stato addestrato ad affrontare ogni tipo di situazione e di pericolo. Era piuttosto il pensiero di lei e dei bambini che in quel momento mi angosciava.

Scrollai la testa da inutili dubbi. Non potevo fare altro che combattere e mi preparai, ergendomi in modo imponente, molto simile a un grande orso furioso. Se avessero prevalso, a quei lupi sarebbe costata molto cara la vittoria. Incitai i miei compagni a fare altrettanto urlando per sovrastare gli ululi del vento e i ringhi del branco.

Sconcertati dal tono e dall’ improvviso cambiamento in atto, le belve esitarono. Vi fu qualche attimo di stasi e ne approfittai per studiare la situazione. Altri lupi si erano aggiunti a quelli già presenti ed erano tanti, da non riuscire nemmeno a contarli.

In quel momento il capobranco emise un lugubre ululato, che preannunciava un nuovo attacco. La pelle mi si accapponò riempiendomi la schiena di brividi.

Eravamo giunti alla resa conti e mancava poco alla fine. Alla nostra fine! Non esisteva possibilità di salvezza, perché loro erano in troppi. Ed evidentemente il branco lo presagiva, pregustando la vittoria e la ormai prossima scorpacciata di carne.

La rabbia e la frustrazione mi accecarono e fui il primo a lanciarmi contro il capobranco, che si protendeva, ringhiando e sbavando proprio davanti a me. Le sue dimensioni e la sua ferocia mi sorpresero. Per un istante ci eravamo squadrati, ed entrambi avevamo compreso di essere noi i capi e che dovevamo sfidarci. Per noi sarebbe stata vita o morte e la vittoria dell’ uno o dell’ altro, avrebbe comportato la resa immediata del suo seguito. Durante i lunghi anni di addestramento al monastero, avevo imparato che, se privato di una guida decisa e coraggiosa, un intero esercito può finire allo sbando. Evidentemente, era una nozione che, per istinto, conosceva bene anche il mio avversario a quattro zampe.

Con uno scatto possente la belva divorò la distanza che ci separava ma, proprio in quel momento, un cupo e profondo boato esplose, come cento tuoni fragorosi nell’ aria.

Quel rumore assordante ci paralizzò sul posto, lasciandoci basiti. Non avevo mai sentito nulla di simile! I lupi volsero il loro sguardo atterrito alla cima della montagna e dopo solo un attimo di esitazione, scattarono fuggendo come tanti demoni e dileguandosi nel marasma della bufera.

continua...


Vivì 11/06/2021 07:34 1 745

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«Racconto pubblicato nel 2012 dalla Garcia edizioni»

Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Cosa sarà mai quel rumore assordante che ha fatto allontanare il branco dei lupi? La curiosità è tanta... anche perché non si è mai parlato in precedenza di armi da fuoco...
Un episodio, come i precedenti, ricco di particolari e di immagini che catturano . Un racconto nel racconto... sempre più avvincente...»
Giacomo Scimonelli

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