Risolvo a questo punto con la soluzione di accompagnare Luigino a casa sua perché certamente è in uno stato confusionale tale da non farlo più controllare, tale da farlo diventare un pericolo per la gente. Penso io al barista, rassicurandolo sull’eventuale, anzi scontato risarcimento, dopo di aver parlato ed esposto l’accaduto ai suoi familiari. Sono abbastanza pratico di queste situazioni in quanto negli anni passati ho potuto impegnarmi nell’attività di volontariato presso un’associazione che si occupava di persone diversamente abili.
… poeti
Fu proprio in quel tempo e in quei frangenti che ebbi il privilegio di conoscere Luigino e la sua famiglia e di curarli secondo le mie mansioni. Tutti i componenti di questa famiglia soffrivano di una rara malattia congenita, denominata “Sindrome Ipocondrica Congiunta” o “SIC”, la quale determinava la loro realtà in un contesto fortemente sognante e li spingeva ogni volta a scrivere ovunque si trovassero e in ogni superficie possibile i pensieri sospesi che vagavano erranti nella loro mente. Un altro nome attribuito a questa tremenda e molto invalidante malattia è l’acronimo dell’inglese “POESIA” che sta per “possibile – ostacolo – etereo – sconfinante – irreparabilmente – anima”. (quest’ultima nomenclatura direi più consona all’ effettiva sintomatologia della malattia).
Purtroppo i sintomi si manifestavano tutti i giorni, molto spesso più volte al giorno, riducendo sensibilmente ed inevitabilmente il loro contatto con la realtà, almeno come la immaginiamo noi, e li induceva nell’assumere, loro malgrado, l’assurdo ruolo di poeti a far compagnia quindi ai vari vati che li hanno preceduti nel corso delle ere, anch’essi affetti dalla stessa immane pandemia invalidante.
Nomi illustri quindi del panorama poetico, senza fare nomi, se no con il solo elenco concluderei la stesura di questo racconto e senz’altro questo meschino ripiego infossato nella minuzia e nella capziosità risulterebbe alquanto sconveniente e noioso. La questione in dibattito fra i luminari della medicina è e sarà sempre trovare l’antidoto, la cura, e perché no finalmente liberare queste povere anime dall’onta discriminante in cui si sono loro malgrado impantanate.
Nel corso del tempo sono state adottate alcune cure direi del tutto sperimentali, non suffragate quindi dall’applicazione empirica, in altre parole non avallate da riscontri oggettivi pratici. Ancora in altre parole più terra - terra si procedeva a tastoni, è ovvio. Si è pensato, per primo, di far sparire ogni tipo di carta scrivibile per impedire lo stendersi dell’inchiostro su di essa. I risultati furono le miriadi di scritte più o meno cubitali che campeggiano su qualche muro nelle città, piuttosto che sull’asfalto delle strade. Tra vernice per occultare tali scempi e mano d’opera impiegata ci si è rimesso. Direi quindi una soluzione estremamente controproducente, tendente assolutamente alla mancanza di senso civico.
Qualche ben pensante, a questo punto, ha pensato bene di interrompere il processo degenerativo alla fonte impedendo che fosse l’inchiostro a posarsi sulla carta appena ripristinata; quindi inchiostro abolito, col risultato che ci fu un incremento del movimento dei flagellati, i quali giunsero a vendere anche a caro prezzo il loro sangue per soddisfare le esigenze dei poeti malati. Il sangue, quindi, sostituì l’inchiostro, soluzione anche quest’ultima da scartare assolutamente per oggettivi riscontri tendenti al macabro tra riti di ogni sorta.
Poi finalmente un rimedio venne adottato questa volta dagli stessi colpiti dalla malattia. In che cosa consisteva? Nella prevenzione direi. In che senso? Nel senso che i pensieri prima di essere tramutati in sintomi devastanti e quindi in poesia, dovevano partire già edulcorati, già distorti, già fuori dai canoni. Ed ecco che vennero introdotte mistificazioni come droghe, alcool a profusione, credenze filosofiche ricercate che almeno apparentemente sembravano ottenere i consensi dei malati poeti. Il torpore e l’assuefazione regnavano insieme al distacco impersonale. Alla fine, sotto l’effetto di queste sostanze, vennero composte le opere d’arte più significative dell’intero panorama poetico mondiale di tutti i tempi. Quindi si arrivò all’effettiva pandemia. Si pensava che là dove ci fossero droga e alcool, ci fossero pure poesia e ogni sorta di opera d’arte. Errato! Alla fine rimaneva solo un cumolo di cervelli fritti e corpi emaciati dagli stravizzi e dalle gozzoviglie di ogni sorta di porcheria, purché questo qualcosa ti conducesse da qualche parte, dappertutto, fuorché rimanere infossati nella realtà e soffrire tremendamente del mal di vivere.
La malattia si espanse dappertutto, tutti si sentivano attratti da questa sublime meravigliosa artela poesia. Possiamo dire, e penso che tutti l’abbiano capito, che anche questo presunto rimedio fallì, la malattia galoppò inevitabilmente e sembrava essere inarrestabile. La malinconia regnava indisturbata!
Ma delle volte la vita ancora ci sorprende. A volte la natura stessa pone rimedio. A volte è l’imprevisto a imperare. Da qualche altra parte arriva inaspettata la soluzione, è così!
Venne generato in laboratorio per scopi scientifici un virus dal nome “Consumismo” con l’intenzione di allargare e favorire l’economia mondiale. I suoi impieghi erano quindi stati pensati per tutt’altri fini. Ci fu un giorno, appunto, un imprevisto incidente nel laboratorio con l’inevitabile liberazione di questi micidiali agenti patogeni. La gente si ammalò stavolta di “Benessere consumistico” (malattia altrettanto tremendamente invalidante), col risultato che esso (non oso neanche più nominarlo) inibì col tempo i pensieri e le arti dell’uomo a tal punto che il virus “Poesia”, certamente oramai meno potente, venne tristemente soppiantato e quindi definitivamente debellato. Nel mondo del consumismo e della continua ricerca del divertimento e dell’apparire non c’era più posto per la poesia. La poesia venne uccisa. E’ stata perpetrata un’ingiustizia, è morta la poesia peccato, un “male” alla lunga molto più leggero, che in paragone con il consumismo è come invece una carezza sul viso, piuttosto che un abbraccio caloroso disarmante. La natura crea, la natura si rigenera. L’uomo invece non crea mai e si distrugge sempre, ogni volta!
Ma udite – udite, per fortuna alcune riviste scientifiche hanno scoperto che ancora qualche ceppo isolato di poesia qua e là c’è rimasto. I pochi malati di “poesia” ora si possono ritenere fortunati, perché indiscutibilmente c’è chi di gran lunga chi sta molto peggio di loro. Egoismo perché no, morte tua vita mia!
Inoltre con una sana dieta e un assunzione mirata di medicine omeopatiche si è riscontrato che i malati conducono una qualità di vita del tutto accettabile. Un bel cappuccino al mattino, un buon lavoro soddisfacente, piuttosto che qualcuno che ci ami o che ne so, un salutare riposo o una sana attività fisica, sono tutti rimedi validissimi per convivere sognando fra gli a volte dolorosi ma pur sempre meravigliosi versi della poesia.
Le contaminazioni continuano indisturbate. Alle nuove leve, ai neofiti del poetare, basta che gli si dia un foglio bianco con una penna che loro compongono, mesti in religioso silenzio, alcuni tra i più meravigliosi versi da far rabbrividire per la loro bellezza disarmante. Ho il piacere e il privilegio in questo campo poetico di avere molti amici miei maestri e Luigino è uno di loro!
Possiamo affermare con assoluta certezza che la poesia considerata da molti nel corso dei tempi una autentica pandemia e attaccata, quindi, da più fronti per essere debellata, non per ultimo il consumismo, trova ancora spazio fra quelle persone illuminate che credono che sognare sia, e a ragione, l’unico rimedio ai veri mali della vita.