Il maresciallo dei Carabinieri, ad un mese dall’ omicidio di Saro non era ancora venuto a capo di nulla, aveva interrogato amici, parenti, amante, e vicini di casa, ma nessuno aveva potuto dargli informazioni utili per trovare l’ assassino. L’ uomo misterioso, che in pochi mesi aveva sconvolto la vita di molte persone. I sospetti su Biagio erano caduti quando questi, secondo testimoni attentibili, era stato visto nell’ orario degli omicidi, in un posto diverso dal luogo dei delitti e quindi, era libero di lasciare il paese in qualunque momento. Anche se per adesso, sembrava che non avesse alcuna intenzione di andar via, nonostante avesse ottenuto ciò che voleva.
Nino, intanto cominciava ad essere impaziente, più passava il tempo, più il timore che Rosalia potesse cambiare idea sul matrimonio aumentava. In poco tempo erano successi troppi eventi improvvisi e prorio per questo, tutto poteva ancora cambiare. In effetti la ragazza dopo i due lutti che l’ avevano così duramente provata, non pensava più al matrimonio, la sua attenzione era rivolta solo per la sua bambina e cominciava a convincersi che forse poteva occuparsene da sola senza l’ aiuto di un padre, che poi in realtà nemmeno lo era. Tuttavia, erano pensieri che teneva ben nascosti: sia alla zia, sempre più preoccupata per lei, che a Nino suo futuro marito.
Assuntina ora che aveva saputo tutto ciò che era capitato a Rosalia, la guardava con occhi diversi, aveva sempre pensato che fosse come Totuccia fragile e ingenua, invece aveva dimostrato di avere carattere, coraggio e tenacia e soprattutto in tutto quello che faceva ci metteva il cuore, un cuore puro, lontano da odio, da vendette e risentimenti. Lo aveva dimostrato durante il suo incontro con Biagio, per lei l’ importante che se ne andasse al più presto, senza pretendere l’ eredità di Lucia, che doveva essere cospicua, visto i traffici illeciti che facevano con il figlio.
Forse aveva preso da lei, ma con un indole più dolce e meno spigolosa. Purtroppo Assuntina non aveva avuto una vita facile, quando Totuccia era rimasta incinta aveva dovuto occuparsene lei, visto che i suoi genitori l’ ignoravano come se avesse avuto la peste. Per loro era la figlia che li aveva disonorati, portando a casa un figlio illegittimo, quindi non era degna di attenzioni. Anche se mentre il padre era intransigente e tutto d’ un pezzo, la madre in cuor suo l’ aveva perdonata, ma non poteva dimostrarlo in quanto in casa avrebbe fatto scoppiare una guerra senza esclusioni di colpi. Quindi era costretta a tacere ed ubbidiva come era dovere di moglie, vivere accanto al proprio uomo ma senza mai contraddirlo e accettare tutto quello che le veniva ordinato. Una moglie ombra, senza alcun desiderio e né sogni, una donna pronta a servire il marito padre padrone.
Di conseguenza, Assuntina, aveva fatto da madre a Totuccia ed insieme avevano cresciuto Rosalia come se fosse stata anche la sua bambina. Adesso la guardava con orogoglio e ammirazione, si… avevano fatto proprio un bel lavoro, Rosalia era cresciuta bene, un bocciolo tenero che era sbocciata da una splendida rosa dai colori vivaci.
Intanto era arrivato il mese di giugno, con le sue tinte accese e la campagna sprigionava odori e profumi preparandosi ad una prossima estate calda e afosa. Gli alberi di ciliegi che dapprima erano diventati come una nuvola di bianchi fiori, ora erano diventati stracolmi di succose ciliegie ed era arrivato il momento di raccoglierle per farne della buonissima e dolcissima marmellata. Cosicchè Assuntina e Rosalia di buon mattino si recarono nel frutteto, l’ aria era già calda, nonostante fosse ancora molto presto, ed entrambe erano vestite a lutto testa ai piedi, la piccolina ancora dormiva ma l’ avevano portata con sé in una grande cesta di vimini per poterla tenere sotto’ occhio, il suo sonno era tranquillo, ignara di tutto il gran dolore che aveva intorno.
La maggior parte degli alberi ciliegio non era molto alta, ma quelli più carichi avevano un’ altezza notevole, stavano discutendo come fare per poter raggiungere le cime più alte, quando qualcuno si avvicinò dicendo: “ Vi pozzu aiutari? “ La sua voce era inconfondibile e il cuore di Rosalia fece un salto nel petto quasi a voler uscir fuori. Si meravigliò lei stessa della sua reazione, ma non fu in grado di controllarla. Lui era lì, bello come il sole, con la sua aria dolce e canzonatoria allo stesso tempo…
Rosalia esclamò: “ Bruno? Chi ci fai ca?”
“ Haju saputo chiddu chi succediu, mi dispiace assà i, ti fazzu i mia condoglianze, puru a tia Assuntina.”
Rosalia si riprese dall’ emozione suscitata nel vederlo: ” Grazzi assà i, ma te ni otinni o ti fermi?”
Prima che il giovane potesse rispondere la zia intervenne e aggiunse: “ Nuatri avemu bisuò gnu ri ‘ na manu pri la ricota di li cirasa, si ti fermi, ti pagu beni, e po’ stari o capannu cu Nino.”
Bruno sentendo il nome di Nino restò deluso ma non lo diede a vedere: “ Va beni, picchì pi u momentu nun travagghiu e ‘ n picca ri sordi mi fannu comodo. Visto chi sunnu ca, pozzu accuminciari, chi diciti?”
Assuntina: “ Dà ci sunnu i panari… po’ accuminciari.”
Quando arrivò Nino, e trovò Bruno, gli venne quasi un colpo, la sua mente iniziò a farsi un sacco di domande: che ci faceva lì? Perché era tornato? Come mai raccoglieva le ciliegie insieme all’ amore suo? Il suo viso tirato non ammetteva nessun dubbio, era fortemente contrariato dalla sua presenza, e aveva quasi voglia di cacciarlo via, ma non aveva nessun diritto per farlo. La tenuta era di Assuntina e lei poteva assumere per i lavori chiunque volesse.
Quindi fece buon viso a cattiva sorte e lo salutò come se niente fosse ma subito dopo lanciò la freccia inaspettata: “ Bruno ti vogghiu rari ‘ na bì edda notizzi, iu e Rusalia ci maritamu.”
Bruno sentì il sangue gelargli dentro, la vista si offuscò ed ebbe un forte capogiro tant’è che dovette aggrapparsi ad un ramo per non cadere.
Nino: “ Ehi… Bruno stai accura, nun ci voli nenti picchì succì eda ‘ na sfortuna.”
Bruno con il cuore a pezzi ma con l’ orgoglio che lo contraddistingueva rispose: “ Nun ti scantari, sacciu abbadari a mia.”
E con questa battuta si chiuse la discussione, ognuno continuò a lavorare per conto proprio senza guardarsi.
Rosalia era fra l’ incudine ed il martello, da una parte Bruno verso il quale aveva sempre provato un’ attrazione fin dalla prima volta che lo aveva incontrato nella corriera e dall’ altra parte Nino, il buon amico che l’ aveva sempre sostenuta e aiutata e che molto probabilmente sarebbe diventato l’ uomo della sua vita. Pensò alla madre e disse fra sé: “ Matri mo si po’, dimmi tu chi haju a fari, picchì nun ci capisciu cchiù nenti…”
Per pranzo avevano portato, del pane fatto in casa, delle pagnotte di pasta dura, tipica ricetta Ragusana a forma di S, molto gustosi e di cui Assuntina era una vera maestra nell’ impasto con la semola di grano. Ed insieme al pane della ricotta infornata che è una ricotta che viene fatta infornandola uno o due giorni dalla salatura. Assuntina disse a Bruno: “ Jè picca ma stainnata u facì emu abbastari, stasira vi fazzu a pasta cu u pisci spada, chi mi purtau u pescatore, Caliddu.”
Sia Bruno che Nino la tranquilizzarono dicendo che per loro andava bene anche un piccolo pezzo di pane e poi c’ erano tante di quelle ciliegie, che sarebbero bastate anche solo quelle. La piccola Rosalia, intanto s’ era svegliata e giocava fra l’ erba, cercando di prendere delle formiche, curiosa nel vederne così tante che si muovevano come impazzite alla ricerca di cibo.
Tutto sommato trascorsero una giornata serena, poi con le ceste colme ritornarono a casa. I due uomini andarono nel capanno a lavarsi mentre le due donne si apprestarono a preparare la cena. Assuntina prese la pasta, scegliendo le casarecce, poi il pesce spada, pomodorini, olive nere, capperi, qualche seme di finocchio, prezzemolo, cipolle, aglio, olio d’ oliva e sale. Preparò il sughetto con l’ olio e imbiondì la cipolla grattuggiata, l’ aglio scamiciato, i capperi dissalati, le olive denocciolate e i semi di finocchio. Poi aggiunse i pomodorini tagliati a metà facendoli appassire. Per ultimo il pesce spada tagliato a cubetti, il sale e peperoncino. Fece cuocere per qualche minuto e mise da parte la padella. Lessò le casarecce e le scolò al dente ed infine le saltò nella padella con il pesce spada, così pronte aggiunse una abbondante spruzzata di prezzemolo fresco tritato. Il piatto era pronto, così chiese a Rosalia di chiamare Bruno e Nino.
Nel frattempo nel capanno l’ aria era tesa, i due uomini non si rivolsero quasi la parola, Nino avrebbe voluto dirgli che Rosalia era sua e che lui era di troppo, dall’ altra parte Bruno non riusciva a credere che Rosalia avesse accettato di sposarlo, erano completamente diversi e poi sapeva in cuor suo che lui piaceva molto alla ragazza, alcuni atteggiamenti non sfuggono ad una mente accorta. Comunque una volti pronti, andarono a cena da Assuntina, il profumo si sentiva da fuori, e loro affamati dopo una faticosa giornata di lavoro non vedevano l’ ora di sedersi a tavola.
Come sempre Rosalia aveva apparecchiato con un posto in più, loro se ne accorsero ma fecero finta di nulla. Sicuramente la morte tragica della madre le aveva procurato un trauma. Avevano appena iniziato a cenare quando qualcuno bussò alla porta, Nino andò ad aprire e si trovò il brigadiere Costa con un altro collega.
Costa disse: “ Mi scussassi pi l’ù ora, ma avemu a parrari cu Rusalia, jè ‘ na cuosa ‘ mpurtanti.”
Nino: “ Trasiti… Rusalia veni ccà, ci sunnu li carabbineri.”
Rosalia spaventata si domandò cosa fosse successo ancora di così grave per essere arrivati alla cascina a quell’ ora. Li fece accomodare nella stanza attigua alla cucina e impaziente di sapere chiese: “ Allura chi à utru c’è?”
Costa con l’ aria seria le disse: “ Aviti a fari accura, sapemu chi ‘ ssassinu ci l’ avi cu vuatri e po ì esseri chi pruva ancù ora a fari du mali.”
Rosalia chiese: “ Ma cu po’ è ssiri? Iu nun fazzu mali a nuddu…”
Costa evitò con garbo la domanda anche perché pur essendo a conoscenza di alcuni particolari inquietanti non era ancora in grado di sapere il nome del presunto omicida, aggiunse solo: “ Iu vi haju rittu sulu ri stari pi campana.”
Si salutarono ma a Rosalia venne l’ angoscia che le impedì di continuare a cenare, gli altri le chiesero cosa che le avessero detto di così grave da farla preoccupare a tal punto da non poter più mangiare ma lei non se la sentì di dare altri pensieri, quindi si tenne tutto per sé, inventando una delle sue solite scuse per non dire la verità.
Nel maniero, intanto Liborio stava percorrendo il lungo corridoio sotterraneo, facendosi luce con un piccolo candelabro, attraversò alcune stanze che sembrano più delle celle, perché chiuse con dei cancelli in ferro battuto. Poi man mano che andava avanti, l’ ambiente cambiava, attaccati sul muro grandi lumi illuminavano un ambiente signorile, abbellito da quadri con cornici d’ oro, raffiguranti scene di caccia e di feste a palazzo, poi entrò in una grande sala dove qualcuno lo stava aspettando. Seduta su un’ imponente poltrona di velluto blu impreziosito da merletti in oro, la vecchia signora alzò lo sguardo dal messale. Liborio s’ ingionocchiò dinnanzi a lei in senso di rispetto e le baciò la mano. Poi con sguardo adorante le disse: “ Matri mo fici tuttu chiddu chi mi aviti cummannatu…” La donna s’ alzò e mantenendo un aspetto austero rispose: “ Beni figghiu mo, ‘ n à utru picca tuttu sarrà abbacatu (finito) e a nustra vinnitta compiuta. “ Poi aggiunse: “ Avimu ri fari festa, pigghia li biccheri e lu marsala…”
Liborio ubbidì, amava sua madre sopra ogni cosa ed era capace di fare tutto quello che gli ordinava per poterla compiacere. La marchesa Carolina, sorseggiò il suo liquore lentamente, gustandone il sapore e godendo insieme al figlio, quel momento così importante. L’ odio che aveva covato in tutti quegli anni finalmente aveva avuto il sopravvento ed era riuscita nei suoi piani criminali.
Carolina era la sorella della baronessa Filomena la mamma del barone Vincenzo e moglie di Don Ugo. Sedotta da quest’ ultimo era rimasta incinta di Liborio, quando lo scandalo scoppiò successe il finimondo, Filomena invece di prendersela con il marito, la cacciò dal maniero di cui era per metà proprietaria e le ordinò di sparire per sempre minacciandola di morte a lei e al bambino che portava in grembo. A Carolina non le restò altro da fare che ubbidire e si allontanò dalla tenuta promettendo a se stessa che sarebbe tornata a riprendersi tutto e a vendicarsi della sorella e di tutti gli altri. Così aveva trovato ospitalità da alcuni suoi parenti ed in seguito si era accasata con un vecchio marchese di Catania.
Liborio era cresciuto all’ ombra di quella madre dal carattere forte ed autoritario e quando questa aveva deciso di ritornare al maniero per attuare la sua vendetta, aveva accettato senza remore ad aiutare la madre nel disegno criminoso. Si era fatto assumere dal vecchio barone che in realtà era suo padre ed era diventato il braccio destro del suo fratellastro don Vincenzo, lui era stato l’ artefice di molti degli avvenimenti che avevano sconvolto la vita del palazzo. Aveva potuto agire indisturbato in quanto nessuno conosceva la sua vera identità.
Nel frattempo aveva preparato con cura l’ alloggio sotterraneo dove avrebbe fatto vivere la madre fino a quando poteva riavere tutto ciò che gli era stato tolto. Dopo la morte violenta del vecchio barone, aveva fatto ritornare sua madre ed era riuscito a nascondere tranquillamente la sua presenza in quanto l’ accesso ai sotterranei era di sua competenza e nessun altro poteva accedervi, l’ ultima volta che qualcuno era sceso lì sotto era stata Munidda per nascondere Totuccia dopo che la baronessa aveva scoperto il tradimento del marito. In seguito più nessuno si era introdotto in quel labirinto scuro e tenebroso, anche perché si diceva che vi aleggiavano i fantasmi di alcuni servitori del barone, che per punizione erano stati confinati in quelle celle fredde e umide infestate dai topi ed erano morti di stento.
Liborio si commiatò dalla madre e ritornò nella sua stanza, ripensò con fredda lucidità a tutto quello che aveva fatto, compiacendosi di essere stato molto bravo, il giorno che era andato con il barone Vincenzo da Ninetta e Saro per dargli l’ avvertimento di lasciare in pace Rosalia, gli era venuta la brillante idea di usare la moglie di Saro per iniziare il suo folle piano. Dopo essere andato via con il barone era ritornato da solo aspettando che Saro non ci fosse e aveva affrontato Ninetta, lei vedendolo: ” Ancù ora ca siti? Chi vuliti ù ora?”
Lui l’ aveva guardata con uno sguardo raggelante: “ Vinni pi avvisare vuatri, chi Saru ancù ora si vadda cu Rusalia e vuatri siti a cornuta ri u paisi…”
Lei non si aspettava che venisse derisa dai paesani e la sua rabbia nei confronti del marito divenne un odio incontrollabile.
Ninetta: ” E cu vuliti ri me?”
Liborio: ” Iu vi pozzu aiutari, nzoccu vinni fati ri ‘ n maritu chi fa rì riri tuttu u paì si… va tolgo iu a spina ri a cianciu… ma vogghiu sordi…”
Ninetta offuscata dalla proposta di Liborio e dalla gelosia che la stava uccidendo decise in quel momento di porre fine alla vita di Saro, così d’ accordo con l’ uomo divenne la mandante dell’ omicidio del marito. D’ altra parte Liborio uccidendo Saro iniziava a colpire le persone che stavano più a cuore a Don Vincenzo, infatti il marito di Ninetta era il padre della piccola di Rosalia, quindi di sua nipote.
Inoltre, usando Ninetta poteva agire indisturbato ed al di sopra di ogni sospetto, dopo l’ assassinio di Saro, visto che la sua mente ormai vacillava, ritornò a contattarla, ma questa volta convincendola con facilità ad eliminare anche Totuccia e per vendicarsi di Rosalia, facendola morire di dolore. Così compì l’ atroce delitto, anche se gli costò tantissimo in quanto lui era stato sempre innamorato segretamente della donna e soffrendo terribilmente quando la vedeva in compagnia del fratellastro.
Totuccia non lo aveva mai guardato con interesse ma solo come un buon amico, ed ora era giunto il momento di fargliela pagare per non essersi nemmeno accorto dell’ amore che provava nei suoi confronti.
Ma la sera che Ninetta gli aveva portato il denaro aveva notato che la donna aveva perso il senno, aveva lo sguardo perso di chi viaggia in un mondo tutto suo e c’ era il rischio che crollando avesse spifferato tutto.
Non poteva più fidarsi di lei, avrebbe dovuto eliminarla ma in un modo che potesse sembrare un incidente. Quella notte si era intrufolato con abilità nella sua casa e il resto è cronaca. Poi con un ultimo gesto di pietà aveva voluto salvare il piccolo lasciandolo al convento di Santo Spirito.
Tutto procedeva a gonfie vele e nessuno sospettava di lui, comunque doveva continuare ad essere più prudente, un piccolissimo errore poteva compromettere ogni cosa.
Nell’ elenco delle persone da colpire c’ era anche Munidda, la tata, colei che aveva cresciuto il fratellastro e che quindi la considerava una seconda madre.
Aveva aspettato che l’ alba rischiarasse la vallata e poi si era recato al vecchio mulino. La tata era nel granaio a prendere del foraggio per i suoi animali, era entrato alle sue spalle senza fare alcun rumore, ma lei inaspettatamente si era girata ed in quel momento l’ aveva spinta con forza giù dalle scale, lasciandole solo il tempo di dire: “ Tu si u diavulu…”
Però aggrappandosi a lui in un estremo tentativo di non precipitare gli aveva strappato qualcosa dalla cintura.
Vedendola giù per terra esanime, credette che fosse morta all’ istante e quindi si era dileguato velocemente, ma dopo si era accorto che gli aveva strappato il gallone che portava sempre con sé legato alla cintura, era stato un dono del patrigno a cui era molto legato, da ciò la decisione di tornare da Munidda, trovando con sua grande sorpresa a Rosalia, per questo aveva dovuto lasciar perdere la sua ricerca per poi ritornare in seguito. Purtroppo anche la seconda volta la ricerca era stata vana, sembrava che la tata se lo avesse portato con sé. Doveva solo sperare che nessun altro lo trovasse in quanto era facile ricondurlo al proprietario, cioè a lui.