Kandir grugnì in modo sardonico. Quella creatura, se possedeva il dono dell’ intelletto, doveva credersi astuta, ma certo non aveva consapevolezza del potere del nemico che stava per affrontare.
Il giovane stregone evitò con accortezza di fissare lo Zombrac negli occhi, anche se gli sarebbe piaciuto saggiarne le potenzialità magiche, ma ritenne fosse più saggio non rischiare.
Cercò anche di mantenere una certa distanza dalla creatura, che con la tunica logora e puzzolente emanava un forte fetore, nauseabondo. Di certo quel lezzo era dovuto alle pustole colme di siero lattiginoso sul punto di fuoriuscire. Il suo odorato da Elfo glielo fece avvertire in modo esagerato e lui, per evitare di rimanere sopraffatto dal voltastomaco, diresse i suoi ricordi sui ciuffi di mughetti che costellavano i sentieri del bosco in primavera.
Istantaneamente il fetore si attenuò, fino a svanire del tutto, mentre nelle narici penetrava l’ odore fresco e intenso dei piccoli fiori primaverili risollevandogli lo spirito.
Forse il sollievo trapelò dal suo volto perché la creatura ebbe un gesto di stizza poi, all’ improvviso, iniziò a grattarsi.
Kandir osservò con preoccupazione quelle dita scheletriche sfregare freneticamente alcuni punti del corpo. Per evitare che la brezza gli riportasse il fetore di quella cute malconcia, fu costretto, ancora una volta, a deviare il pensiero e a concentrarlo su quanto di più profumato poteva offrire la natura.
Ciò nonostante, la natura magica della creatura doveva essere grande, non certo paragonabile alla sua, ma abbastanza da prevalere ogni tanto e allora Kandir si accorse che non bastava più concentrare i suoi pensieri altrove, per annullare del tutto quell’ odore.
Come se tutto ciò non bastasse, anche la cavità orale di quella misera creatura offriva uno spettacolo devastante, lasciando intravvedere una chiostra di denti appuntiti ma marci.
Per fortuna, le ombre della notte divennero ancora più fitte e più scure e la luce emanata dalla lampada magica non bastò più a illuminare in modo adeguato i dintorni.
Anche la figura dello Zombrac rischiava di confondersi tra le altre ombre e in quel momento Kandir pensò che, paradossalmente, era una fortuna che quell’ essere emanasse così tanti odori nauseabondi, difatti, il passo che fece in avanti e all’ improvviso, bastò per sollevare una zaffata tale, da allertarlo.
Che stava accadendo? Con l’ avvento del buio i suoi occhi da Elfo gli avrebbero dovuto consentire di vedere ogni minimo movimento compiuto dall’ avversario e invece, per un pelo non era stato sorpreso.
Il giovane si riscosse, muovendo più volte la testa e immediatamente si liberò del torpore malefico che per qualche istante lo aveva stordito.
Era colpa di quel maledetto odore. Lo Zombrac se ne serviva per ottenebrare i sensi dei suoi avversari e Kandir doveva trovare una soluzione valida a quel problema se non voleva rimanerne prigioniero.
Pressato da quella creatura mormorò in fretta una formula e i rami degli alberi intorno fiorirono in pochi istanti. Era consapevole che non fosse una soluzione definitiva, ma si accontentò del risultato. Nell’ aria si espanse il profumo inebriante dei boccioli che prevalse sull’ altro e Kandir poté concentrarsi sull’ avversario.
Lo Zombrac lo stava pressando e lui dovette ricorrere alla forza per respingerlo.
Le sue mani sfiorarono i cenci putrescenti, pregni di pus e liquami corporali, che ricoprivano le misere membra della creatura e Kandir ebbe un sobbalzo di disgusto.
Come poteva combattere in quelle condizioni? Rischiava di infettarsi con il siero virulento che fuoriusciva a fiotti dalle pustole. Una soluzione poteva essere tentare di tenere lontano lo Zombrac e sperare di sopraffarlo con la magia.
Kandir sollevò le mani e cantilenò il suo incantesimo appena in tempo. L’ essere disgustoso si staccò dal terreno e lievitò nell’ aria. Con l’ energia cinetica che possedeva e la forza della sua magia, Kandir lo sollevò ancora più in alto e lo sbatté contro la prima quercia vicina.
Si udì un lamento cavernoso e un borbottio collerico.
L’ albero si riscosse come fosse una creatura animata e protestò con tono burbero per quel trattamento scuotendo i rami con violenza, come fossero propaggini prensili, ma lo stregone era troppo impegnato per starne ad ascoltare le vivaci lamentele.
Del resto, l’ anziana quercia, sembrava aver ripreso vita solo quell’ attimo, quindi era ritornata nell’ apatia assoluta.
Lo Zombrac giaceva tramortito dalla gran botta ricevuta, ma Kandir non si fidava e assestò il colpo decisivo soffiando con veemenza contro la creatura risollevandolo in aria e pressandolo in una bolla di ghiaccio. Le misere carni, già martoriate dal marciume del grave eczema, si deteriorano ancora di più fino a squarciarsi e a esplodere in un magma perfetto e disgustoso di sangue nero e di pus.
Lo Zombrac si liquefece sotto lo sguardo inebetito del giovane stregone.
Il cuore gli si contrasse in un moto infinito di pena, ma sospirò e finalmente poté permettersi il lusso di rilassarsi, per cercare di mettere ordine alle sue idee.
Non ebbe il tempo per farlo! Una nuova ondata di sensazioni gelide lo investì, attanagliandolo nuovamente in una morsa glaciale.
Da dove veniva l’ avvertimento? Il giovane scrutò intorno con attenzione e notò altre ombre, che si muovevano guardinghe tra le ombre della notte e decine e decine di occhi luminescenti puntati su di lui.
Il silenzio fino allora assoluto, si popolò di fruscii e di grugniti.
Qualcosa saettò nelle ombre scure formate dagli arbusti tornati scheletrici e lo stregone sorrise. Quella appena intravista era di sicuro una coda di volpe e questo poteva significare solo che il bosco non era del tutto inanimato. Un’ altra ombra e un’ altra mossa fulminea, di una figura un po’ più piccola rispetto a quella di poco prima, forse uno scoiattolo.
Kandir si rilassò, rappacificandosi con se stesso e con i dintorni e aspettandosi di vedere, da un momento all’ altro, la rinascita della natura con il rinverdire degli alberi.
La sua attenzione si concentrò su quello, dimenticando per qualche istante gli abitanti del bosco.
Fu il chiurlare lugubre di una civetta a metterlo in allarme e a evitargli gli artigli dello scoiattolo che, con un balzo improvviso dal tronco di un albero, si era catapultato su lui, tentando di avvinghiarlo al volto.
Kandir si scansò appena in tempo e gli artigli sfiorarono appena la sua pelle, senza procurare danni.
Sconcertato si domandò il motivo dell’ aggressione, ma nuovi ringhi e nuovi grugniti attirarono la sua attenzione. Nell’ oscurità una miriade di occhi fosforescenti baluginò minacciosa sulla sua figura.
Kandir era circondato da creature di varie dimensioni, ostili ed estremamente pericolose.
Perché? Cosa era accaduto? Gli abitanti del bosco, grandi e piccoli, si erano sempre mostrati timidi e docili nei suoi confronti riconoscendo in lui il loro protettore. Chi o cosa li aveva trasformati in belve ghignanti e minacciose?
L’ attacco simultaneo di un mastodontico cinghiale e di un istrice lo costrinsero a difendersi.
Con una giravolta e un salto acrobatico, Kandir volteggiò per aria e atterrò su uno dei rami più bassi dell’ albero vicino traendosi dall’ impaccio. Aveva bisogno di tempo per riflettere su come agire e comportarsi con le creature del bosco. Non voleva assolutamente arrivare a soluzioni estreme.
L’ istrice reagì, correndo svelto sulle corte zampette e raggiungendo il momentaneo rifugio di Kandir. Dal basso scrutò la figura umana per un attimo, quasi prendesse le misure, poi gonfiò il dorso in modo aggressivo raddoppiando la sua mole e bersagliò il ramo con una salva di aculei.
Kandir se lo aspettava e fu altrettanto lesto a formare una barriera protettiva e i dardi sparati dall’ animale, rimbalzando sul magico scudo, si sparsero tutto intorno.
Qualche animaletto nascosto nel buio rimase evidentemente ferito, perché nell’ aria si espansero guaiti e grugniti di dolore.
Lo stregone non ebbe nemmeno il tempo di rammaricarsene perché il cinghiale si sollevò sulle zampe anteriori e iniziò a menare colpi di testa sul tronco facendo traballare il ramo su cui Kandir si era riparato.
Solo il Male Oscuro aveva il potere di trasformare delle creature innocenti in belve assetate di sangue. Mentre osservava con attenzione il comportamento degli animali, Kandir si domandò per quale scopo. La conquista del bosco e dei suoi abitanti o cos’ altro? In un lampo ebbe la risposta! Era lui il vero obiettivo. Qualcuno, forse un emissario o, forse proprio l’ oscura potenza, aveva deciso di catturarlo, se non di ucciderlo.
Il colossale cinghiale sbatteva il testone con tutta la potenza del corpo muscoloso e l’ albero iniziò a sussultare e a tremare.
Kandir avvertì l’ afflizione del maestoso vegetale ed espanse la sua coscienza sfiorando il nucleo di quell’ antica essenza così viva. Percepì subito un tremolio, quasi un sospiro di sollievo e intuì che la lignea creatura gli era grata per il conforto.
Poi lo stregone rivolse la sua attenzione sul cinghiale tentando di sfiorarne la coscienza ma, con l’ esagitato animale, fu come sbattere contro un muro. Una barriera di oscurità ne schermava l’ essenza. Chiunque avesse operato il sortilegio aveva anche permeato quella povera anima di gelo e lui non aveva nessuna possibilità di oltrepassare lo sbarramento, per cercare di mitigarne la ferocia.
Gli altri animali avevano circondato il tronco e lo guardavano con occhi accesi di luce ferina e Kandir era sicuro che, in caso fosse caduto, lo avrebbero certo sbranato, contendendosi poi delle sue carni. Lo stregone rabbrividì dall’ orrore:” Cerca di rimanere ben saldo sulle gambe!” pensò, scacciando la raggelante sensazione.
Tra gli animali radunati ai piedi dell’ albero riconobbe una cerva con il suo cerbiatto, una donnola e una volpe; un ghiro e una marmotta. Animali che, in genere, erano solitari o anche antagonisti tra loro ma che, in quel momento, erano accomunati dalla brama di ucciderlo. Persino gli occhi liquidi e dolci del cerbiatto si erano trasformati in due pozzi di braci ardenti puntati sulla sua persona.
La rabbia contro il negromante che aveva compiuto quell’ obbrobrio, quel peccato contro la natura, lo aggredì, attanagliandogli le viscere in una morsa dolorosa. Cosa poteva fare se non inventarsi un incantesimo? Tuttavia, i dubbi erano molti. Non voleva recare altra sofferenza ai suoi piccoli e ignari amici, ma sarebbe bastata una sola formula per includere quella decina di essenze in un unico sortilegio?
La sua attenzione ritornò sugli animaletti. Inutilmente cercò lo scoiattolo. Era scomparso! Non appena constatata la sparizione, i peli gli si rizzarono sulla pelle percorsa da un gelido brivido. Il suo corpo lo avvertiva di un imminente pericolo.
Kandir fece appena in tempo a voltarsi, evitando per un soffio e, per la seconda volta in pochi minuti, che gli artigli affilatissimi gli si piantassero sul volto. Il piccolo roditore mancò la presa e rovinò pesantemente e con uno stridulo squittio sul terreno rimanendovi immobile.
“Basta con tutti questi scrupoli! - si esortò - Quella bestiolina ha appena tentato di strapparmi gli occhi e se non faccio qualcosa, per le mie remore rischio di farmi ammazzare! “
Lo stregone afferrò con entrambe le mani uno dei rami che si protendevano sulla sua testa poi, sollevandosi sulle punte per darsi più slancio, iniziò a dondolare, a mo’ di pendolo avanti e indietro e sempre più veloce. Solo quando fu certo di aver acquisito la potenza necessaria si librò in aria. Il suo corpo si librò, come quello di un acrobata su trapezio, comprendo la distanza che separava i due alberi.
Dopo un attimo atterrò su un ramo e, prima che suoi aggressori potessero reagire, mise in opera il suo incantesimo:
“Ámræ kádißcá rámürön,
ristynáƒë lãntãr ássámikön!”
Le parole gli erano sgorgate dal cuore nell’ antica lingua elfica e lui se ne meravigliò. Dove, quando e soprattutto con chi aveva imparato quell’ idioma? Non sapeva di conoscere la lingua perché era la prima volta che ne faceva uso, rifletté, tuttavia, era anche la prima volta in vita sua che si era sentito veramente in pericolo.
Rimandò comunque la riflessione a un altro momento e osservò l’esito dell’incantesimo.
“ Acqua e poi ghiaccio e ancor gelo,
stendete propaggini e avvolgete con velo! “,
recitava la formula decantata nella misteriosa e antica lingua che, a quanto pareva aveva funzionato. Gli animali che lo avevano aggrediti erano immobilizzati, avvolti in uno spesso strato di ghiaccio.
Con un agile balzo, Kandir atterrò e si soffermò a studiarne le figure.
« Quando avrò risolto tutti i miei problemi tornerò, miei piccoli amici, e vi prometto che tenterò di tutto per riportarvi in vita!»
Con un nodo alla gola riprese la lampada e tornò alla sua ricerca: « Smeraldine, Aster, dove siete? Aiutatemi a ritrovarvi, amiche mie!»
Un silenzio assordante rispose al suo appello.
Con un rovello fisso nel cuore riprese il suo cammino cercando di capire chi fosse il suo nemico e cos’ altro doveva attendersi. Gli alberi stessi aveva assunto una parvenza aliena. O perlomeno, così sembrava! Si ergevano intorno a lui come giganti di pietra dalle molteplici propaggini scheletriche pronte a ghermirlo.
“Ci mancherebbe anche questo, amici alberi!” borbottò tra sé, proiettando la sua coscienza verso quelle entità dormienti ed emanando loro pensieri positivi e lenitivi. “Continuate a dormire, vi prego! Il mio passo tra di voi sarà lieve e non vi disturberò più di tanto.” promise loro lanciando occhiate preoccupate ai rami protesi.
Ogni tanto avvertiva un sussulto, un tremito o un sospiro e in quei momenti percepiva la profonda sofferenza dei vegetali costretti dal Male Oscuro al letargo invernale, mentre avrebbero dovuto essere un’ esplosione di vita e fioritura.
“Cosa posso fare per mettere fine a questo scempio?” si domandava. Provò anche a formulare un incantesimo che ridesse vita alla vegetazione intorno, ma la natura sembrava pietrificata e non reagiva, in compenso lui sentiva le forze venire meno.
“ Non posso continuare così! Ogni incantesimo mi prosciuga le energie. Devo smettere per mantenermi in forze!”
Il vento si sollevò improvviso portando alle sue orecchie voci cupe, profonde e ancestrali, mentre, i tronchi e i rami iniziarono a trasudare una miriade di stille luminescenti: “Non puoi far nulla, candido stregone!” si lamentò un castagno. “ La nostra linfa si è come inaridita, forse infettata da un’ energia aliena!” sussurrò una quercia con un filo di voce.
“Stiamo morendo!” fu poi il coro unanime.
Il cuore di Kandir si contrasse in modo doloroso: “Gli alberi piangono! La natura sta piangendo!” constatò amaramente.
“Quando avrò ritrovato le mie amiche sarà tra le prime cose di cui mi occuperò!” disse, aumentando la sua andatura.
In quel momento l’ aria si colmò di vibrazioni, come fossero guizzi di elettricità nefasta e il giovane stregone avvertì l’ incombere di un nuovo, imminente pericolo.
continua...