Ricordo ancora la sera che ti incontrai, come fosse un flash catturato in una foto riposta gelosamente nella tasca di queste interminabili giornate.
Era estate, l’aria tiepida delle stelle carezzava di luce viva i lineamenti di un viso corrugato dentro un’espressione che forse profumava di stupore e di paura.
Tremavano all’improvviso le mani stanche dentro gesti quotidiani, quando scorsi che mi fissavi sicuro e penetrante bussandomi alle spalle.
Fu un istante, incrocio di sguardi fulminei, pronti a scrutare rapidamente senza proferir fraseggi, imprigionati tra le note di un’emozione clandestina mentre il canto delle cicale vestiva il silenzio di una danza così sottile tra di noi, da renderci ballerini protagonisti del nostro palcoscenico.
Fu la pioggia a salvarmi dall’imbarazzo, spezzando quell’incantesimo, sentivo le gocce scivolar tra ciocche di capelli profumati ancor di vaniglia; non avrei voluto abbandonarti tra la folla, ma l’acconciatura ancora fresca, ribolliva tra i capricci del cielo.
Ti sorrisi timidamente e mi allontanai rapidamente, quasi rapita dal vento, mi sentii strattonare chiusa a braccetto da un’amica che velocemente mi portò via.
Mi voltai ancora una volta, ma la tua immagine si volatilizzò nell’aria, tra le stelle filanti del temporale che lentamente iniziava ad incalzare e tu, non c’eri più.
Mai più incrocia quel tuo sguardo intenso come una calamite tra i viandanti della città ma sono ancora qui a sperare che torni quel giorno in cui i nostri occhi si innamoreranno di nuovo.
Quell’episodio mi insegnò che ci sono treni che non passeranno più ma forse è anche vero che se taluni treni non passeranno, sarò stato il destino a volerlo.
L’attimo fuggente, non fugge mai, ma sa aspettare l’occasione, quando e se è quello giusto.