Darius scattò prima che il tridente affondasse nella gola della compagna che gli era tanto cara.
La reziaria non si accorse nemmeno del suo arrivo, se non nel momento in cui fu scaraventata lateralmente.
« Vattene se non vuoi che ti infilzi!» la minacciò Darius.
La gladiatrice valutò per un attimo il nuovo avversario poi, l’ espressione truce e soprattutto il gladio che puntava sul suo ventre, la convinsero ad arretrare.
Contemporaneamente Quintus si rivolse all’ imperatore: « Cesare ti prego rivedi il tuo verdetto! Questi ragazzi non meritano la morte!»
« Vita! Vita! Vita!» scandì la folla in piedi pestando i calzari e provocando un rimbombo assordante, quasi a voler sottolineare la massima contrarietà per una estrema sentenza.
Ancora una volta la fragile razionalità dell’ imperatore vacillò. Quel giorno sembrava che fossero tutti contro di lui e non riusciva ad afferrarne i motivi. Il suo sguardo vagò sui volti delle persone più vicine cercando un minimo di comprensione e solidarietà, ma a parte i senatori e i consiglieri, che tacevano, apparendo confusi quanto lui, le minacce che arrivarono dagli spalti lo fecero capitolare.
Cesare calcò un gesto che richiedeva la calma e il silenzio e la gente si acquietò con il fiato sospeso.
Sarebbe saggio fingere qualche secondo di riflessione. Giusto il tempo per smorzare la tensione. gli suggerì una voce dall’ interno e in quel momento tutto divenne più chiaro.
Non ci stava affatto a perdere la faccia e nemmeno era disposto a rinunciare alla sua vendetta.
La marea di persone assiepata sugli spalti era diventata una seria minaccia, oltre al fatto che lui non aveva più il controllo su almeno la metà delle forze armate presenti nello stadio.
« Vita! Vita!» ripresero a scandire intorno a lui e allora Cesare si domandò se non fosse più saggio rivedere la sua decisione.
Il folle emise un respiro profondo, quindi proclamò con tono solenne:
« Ritengo, in questo grave momento, il popolo sovrano in questo stadio. Che vita sia concessa ai due giovani impostori!»
Quelle parole ottennero un evidente sollievo e l’ ennesima acclamazione.
Cesare fu costretto a interrompersi.
Gli spettatori applaudirono entusiasti scandendo il suo nome ma, ancora una volta, l’ imperatore ristabilì il silenzio.
« Tuttavia, se il popolo è sovrano in questo stadio, Cesare è l’ imperatore di Roma e nessuno potrà discutere la sua decisione!»
Un nuovo moto di nervosismo serpeggiò tra gli spalti, ma nessuno osò fiatare.
Sotto la minaccia di una cinta di arcieri e alabardieri schierati dalle guardie pretoriane, gli spettatori rimasero in attesa.
Cesare riprese: « Ebbene io comando che sia quel giovane ad affrontare il mio campione. Naturalmente non si pretende che egli prevalga nello scontro né che sopravviva, ma se dovesse resistere il tempo segnalato dal gong avrà redente le sue colpe e quelle della sua amica. Questa è la mia parola!»
Lo sconcerto fu unanime. Gli sguardi di tutti si focalizzarono sul giovane gladiatore.
Darius, sconcertato dall’ ennesimo e imprevisto risvolto cercò lo sguardo di Quintus e quello di Aurelius.
Il liberto, tenuto sotto la stretta sorveglianza da alcune guardie, strinse con forza i pugni ai suoi fianchi. Erano soprattutto loro, insieme ai centurioni, sotto tiro degli arcieri e né lui né i suoi gladiatori potevano intervenire. L’ uomo scosse la testa e nel suo atteggiamento era evidente la profonda frustrazione.
Il centurione, invece, si strinse nelle spalle.
Aveva fatto tutto il possibile per salvare i due amici, anche mettendo a rischio l’ incolumità di tutta la Centuria. Ora toccava a Darius decidere.
Subodorando l’ ennesima trappola il ragazzo esitò.
Rilevando la lieve indecisione i poeti cantori si alzarono attirando l’ attenzione della folla e, puntando l’ indice su di lui, salmodiarono:
Orsù gladiatore non aver indugio,
in altri non puoi trovar rifugio!
Giunta è l’ ora che tosto tu decida.
Accetti or dunque l’ imperiale sfida?
Immobile al centro dell’ arena, Darius esitava ancora.
Silvester gli aveva parlato del campione di Cesare e lo aveva descritto lui stesso, che già veniva definito un gigante, come l’ Eracle della mitologia greca: mastodontico, forzuto, imbattibile.
E lui come poteva sperare di riuscire a resistere anche solo un minuto agli attacchi del colosso così ben narrato?
Comunque, rifiutare di battersi sarebbe stato giudicato un atto da codardo e significava condannare Licia a una morte certa.
No! Lei deve vivere anche a costo di essere io a rimetterci la vita! concluse.
« Accetto la sfida Cesare!» esclamò sollevando il gladio.
L’ imperatore annuì con aria soddisfatta ma, proprio in quel momento, il gladiatore nubiano irruppe sulla scena.
Silvester si era liberato di una guardia e diretto con passo deciso sotto lo spalto centrale, là dove l’ imperatore dominava l’ arena.
Il gladiatore dalla pelle di ebano pose un ginocchio a terra e chinò la testa.
Sugli spalti il brusio suscitato dal suo arrivo cessò all’ istante.
« Cesare, ti prego, dammi il permesso di affrontare il tuo campione.»
L’ imperatore si sollevò lentamente dallo scranno: « Vuoi forse discutere la mia decisione, schiavo?»
« No, mio signore! Non mi permetterei mai, ma tu sai che sono un gladiatore esperto e un beniamino di questo stadio» disse, cercando l’ appoggio dei suoi sostenitori, che non esitarono a manifestargli la loro ammirazione scandendo il suo soprannome e con un sonoro applauso, che il nubiano mise subito a tacere.
Poi continuò: « Conosco le possibilità di entrambi i contendenti. E sono sicuro che questo giovane non potrebbe resistere più di qualche secondo alla potenza del tuo campione. Mi offro per sostituirlo per un duello all’ ultimo sangue in modo da ripagare i suoi eventuali debiti nei tuoi confronti.»
Cesare tacque. L’ idea di uno scontro tra i due giganti lo allettava ma scartò subito il pensiero. Quel ragazzo aveva mandato a monte le sue mire di passare alla storia e andava punito per questo. Poi avrebbe eliminato ogni altro testimone delle sue trame ai danni di Roma e in quanto all’ attentato ci avrebbe riprovato in tempi più tranquilli.
Cesare sorrise. « Sei uno schiavo generoso e terrò ben a mente questa tua offerta di batterti contro il mio campione. No, per oggi ti ritirerai con gli altri gladiatori. Ho deciso per un altro combattimento e così sarà!»
L’ imperatore liquidò la faccenda con un gesto secco e le trombe squillarono.
A Silvester non rimase altro che ritirarsi di buon grado, ma quando passò accanto ai due amici, prese Licia per un braccio per accompagnarla e sorrise mestamente al ragazzo.
« No, Darius! Ti ucciderà!» Licia ricordava bene la descrizione fatta dal nubiano riguardante il campione del sovrano « Non ti lascio! Rimango con te! Combatteremo insieme.»
Gli occhi velati dell’ innamorata lo commossero. Darius le si avvicinò passando due dita delicate sulle labbra carnose e le sorrise: « No, Licia! Questa è una prova che devo affrontare da solo. Sono quel che sono perché l’ ho voluto io e devo andare incontro al mio destino.»
« No! Rimango con te!» ripeté lei, ormai in preda all’ angoscia.
Allora Darius l’ abbracciò: « Ricordi la profezia? Gli dei sono con me! Non mi accadrà nulla di male e dopo questa prova saremo di ancora insieme, anzi» aggiunse, stringendola un po’ di più e aspirando a pieni polmoni il profumo emanato dalla sua pelle « inizieremo una nuova vita.»
Ora Licia piangeva senza ritegno: « Promettilo! Promettimi che non ti farai ammazzare!»
« Ho dei validi motivi per rimanere in vita e quello più importante sei tu, Licia! Ti amo!» Finalmente, dopo anni, era riuscito a confessarle il suo vero sentimento ed era felice di esserci riuscito.
Gli occhi azzurri di lei si sgranarono sul suo volto e Darius non seppe resistere. Le loro labbra si sfiorarono e il ragazzo assaporò il gusto salato delle lacrime di lei.
« Anche io ti amo e non ti voglio perdere» confessò a sua volta, guardandolo con espressione intenta.
Darius la baciò ancora una volta, poi si staccò a malincuore facendo un cenno d’ intesa al nubiano, che la trascinò via.
Lei si lasciò letteralmente trasportare con il volto sempre rivolto verso l’ innamorato.
Mentre le ante della botola si spalancavano, Quintus fece allontanare i suoi centurioni e l’ arena si svuotò.
Il rudimentale montacarichi salì con una lentezza esasperante mostrando infine alla folla la figura di un imponente guerriero dal corpo ricoperto totalmente da un’ armatura di cuoio spesso, articolata. In una mano guantata imbracciava un’ enorme daga mentre nell’ altra una catena con appeso un mazzafrusto.
Un coro di sorpresa accolse lo sconosciuto.
L’ uomo indossava un elmo che gli nascondeva il viso, eppure per un attimo, attraverso i fori della celata, Darius intercettò uno sguardo assassino.
I passi del gladiatore tonfarono pesantemente sul terreno, prima di fermarsi sotto il palco imperiale. Un braccio poderoso sollevò la daga nel classico saluto all’ imperatore:
« Ave Cesare! Morituri te salutant!»
Quella formula estrema raggelò la platea di spettatori.
L’ imperatore si alzò, rendendo onore al suo campione, mentre quel suo sorriso ambiguo tornava a stirargli le labbra. Il misterioso gladiatore portò la sua attenzione al centro dell’ arena e con il caratteristico e pesante incedere sollevò nuvolette di polvere dal terreno.
Per un istante Darius tremò. Aveva tentato di rassicurare Licia, tuttavia non era affatto sicuro di superare la prova e ogni passo dell’ avversario equivaleva all’ avvicinarsi della sua fine.
Forse, non vedrò il tramonto di questo giorno, ma è certo che combatterò con tutte le mie forze per arrivare al suono del gong. concluse tra sé in un moto di orgoglio.
Darius sollevò il suo gladio e rimase in attesa dell’ altro.
Il suo coraggio suscitò l’ approvazione del pubblico ma, soprattutto quello degli amici fedeli. Sugli spalti si espanse un unanime grido: « Falco! Falco! Falco!»
L’ acclamazione suscitò un moto di collera nel colosso, che s’ irrigidì alzando un braccio in modo minaccioso.
« Io sono Titus, il campione del re!» urlò con fierezza e inveendo contro la gente.
Soggiogata dall’ imponenza e dal tono imperioso la platea smise di acclamare il suo beniamino e il gladiatore, soddisfatto, tornò a occuparsi del suo rivale.
Il primo pericolo che Darius dovette evitare fu il roteare del mazzafrusto che vorticava insidiosamente sulla sua testa. L’ avversario, essendo molto più alto, lo sovrastava di tutta la parte superiore del corpo ma, per fortuna, era anche più pesante e più lento.
Al contrario, Darius si mostrò molto più agile e quell’ arma micidiale tonfò alcune volte a vuoto sul terreno.
Dopo vari tentativi il campione di Cesare decise di disfarsi dell’ inutile palla chiodata scaraventandola distante.
Con un sibilo sinistro l’ arma roteò per aria sorvolando l’ arena e dirigendosi verso il pubblico. Il panico si propagò tra le prime fila di quel settore.
Solo per un soffio la sfera di ferro andò a tonfare all’ interno della pista.
Preoccupato per il lancio Darius ne seguì incautamente la traiettoria e ne pagò subito le conseguenze.
Titus si abbassò afferrandolo per la vita e sollevandolo come se non avesse peso poi, proprio come se stesse utilizzando il mazzafrusto, lo scaraventò per aria.
Darius per qualche istante si ritrovò a volare, ma il violento impatto sulla pista gli mozzò il respiro provocandogli l’ ottundimento dei sensi.
Furono le urla provenienti dal pubblico sommati al rimbombare dei passi in avvicinamento a farlo riscuotere.
« Ricordati di quanto ti ho insegnato, ragazzo!» lo incoraggiò una voce poco distante e la mente di Darius tornò ai giorni dell’ addestramento, quando Silvester gli insegnava le mosse di un’ antica disciplina africana.
« Zampe d’ airone ma calci da elefante! Veloce come gazzella ma cuore da leone!» Il nubiano gli ripeteva spesso quel ritornello mostrandogli dove affondare calci volanti affibbiando pugni violenti e abbinando le mosse a giravolte e capriole velocissime.
« Allontanati se non sei sicuro e colpisci quando non se lo aspetta!» gli suggerì ancora e Darius reagì gettando lontano il gladio e preparandosi al nuovo attacco.
Quel gesto temerario generò scompiglio tra la gente ma, soprattutto, sconcertò il colosso.
« Rinunci a combattere, dunque?» la voce di Titus soffocata dall’ elmo gli giunse cavernosa, ma lui non vi diede peso.
« Tutt’ altro! Ho deciso di combattere a modo mio!»
« Sei uno sprovveduto! In questo modo impiegherò meno tempo a liberarmi di te!»
« Non mi pare che fino adesso sei riuscito a fare grandi cose!» lo provocò Darius e l’ altro reagì, gettandosi a testa bassa contro il suo torace.
Darius lo scansò, sgusciando via con una contorsione del busto e un’ improvvisa giravolta per aria quindi, uno dei suoi calzari chiodati colpì il gigante sull’ elmo spostandoglielo su un lato. Momentaneamente privo di visuale il rivale lottò per rimetterlo a posto e Darius ne approfittò per portare a segno altri colpi. Una gragnuola di calci e pugni violentissimi si abbatterono nei punti bassi e scoperti dall’ armatura e il campione li accusò tutti.
Il pubblico si esaltò e riprese a scandire il soprannome del suo beniamino: « Falco! Falco! Falco!» urlava mentre, al contrario, il volto dell’ imperatore si era fatto serio.
Purtroppo, il vantaggio non durò molto. Titus si riprese e riuscì a bloccarlo per le braccia e a sollevarlo da terra e, ancora una volta, Darius si ritrovò il viso contro la celata dell’ altro.
Negli occhi neri del campione brillava una luce selvaggia mentre le sue mani stritolavano i bicipiti del ragazzo.
« Ora farai un altro bel volo!» gli sibilò sul viso, ma Darius approfittando della sua posizione, tempestò ancora di calci il basso ventre del gladiatore.
Il gigante mollò la presa piegandosi in due e per qualche istante Darius si ritrovò a sovrastarlo.
Lo stadio rimbombava di urla entusiastiche ma lui non le sentiva.
La dea bendata mi assiste! pensò, mentre tentava un nuovo affondo con i calci, ma proprio in quel momento, si sentì afferrare per la caviglia e perse l’ equilibrio. Sarebbe caduto se l’ avversario non lo avesse preso anche per un polso.
Ancora una volta Titus iniziò a mulinarlo vorticosamente intorno al proprio corpo. Darius resistette per alcuni secondi poi perse i sensi e nemmeno si rese conto di essere scagliato lontano.
Per sua fortuna, l’ atterraggio non risultò traumatico come il primo, perlomeno non per lui. Il ventre abbandonante di una matrona romana lo protesse, fungendo da cuscino e limitando i suoi danni ma provocando le proteste e le urla di dolore della sfortunata spettatrice.
Titus si diresse a grandi passi a riprendere la sua vittima levando dall’ incomodo la matrona ormai in preda al terrore.
Darius venne afferrato e, poi sollevato con un solo braccio, venne trasportato come un trofeo al centro dell’ arena. Immobile in quella posizione Titus attese il responso dell’ imperatore, che non si fece attendere.
19
« Popolo di Roma. Oggi ho già mostrato a voi tutti quanto possa essere generoso un imperatore» esordì, puntando il dito verso la ragazza trattenuta ancora a forza dal nubiano. Poi rivolse la sua attenzione verso Darius: « Questo ragazzo si è macchiato di gravi colpe contro l’ impero. È giunta voce a questa corte e al Senato che sia stato lui stesso a cospirare la distruzione della città mediante le fiamme. Ha poi cercato abilmente di attribuire le sue nefandezze a delle persone innocenti e per questo merita la massima punizione. Ora, conoscete tutti la bontà del mio animo e sapete tutti quanto sia restio allo spargimento di sangue», l’ imperatore fece una pausa ad effetto volgendo uno sguardo eloquente ai senatori più fedeli.
« Considerata la giovane età di questo gladiatore non me la sento di addossarmi tutta la responsabilità per un responso fatale.» la voce si alzò di un tono « Allora volgo il mio garbato invito a tutti i senatori e consiglieri presenti di dividere questo onere e di decidere con me. Naturalmente l’ esito finale sarà determinato dalla maggioranza.»
L’ imperatore non smise mai di fissare i suoi dignitari e i destinatari del messaggio abbassarono lo sguardo.
« Ma sono sicuro che tutti voi saprete emettere un giudizio equo» concluse.
Un brusio di malcontento si levò tra qualche togato ostile ai metodi di Cesare, ma lui li zittì con occhiate cariche di significati sinistri.
Alcuni dei senatori si consultarono con un rapido sguardo e fu uno tra i più anziani a prendere la parola: « Perdona Cesare. Alcuni di noi contestano la procedura che ci vorresti imporre. Non è nelle nostre facoltà emettere un giudizio di vita o di morte in questo luogo consacrato allo spettacolo. E se davvero una sentenza ci deve essere, questa spetta solo a te, Augusto.»
Il sovrano divenne scuro in volto e si morse le labbra, indispettito.
« Forse», disse, prendendo tempo « forse hai ragione nobile Clodio. Questa non è davvero la prassi ma, come ben puoi vedere, quello che è accaduto oggi non è affatto cosa normale. Difatti, questi avrebbero dovuto essere soltanto dei giochi a scopo dimostrativo ma, come ben sai, questi ragazzi si sono macchiati di colpe assai gravi nei confronti di Roma e dei suoi cittadini e noi abbiamo il dovere di punire in modo esemplare i colpevoli del misfatto.»
Il senatore chiamato Clodio, consapevole di chi in realtà fosse il colpevole, si schiarì la voce rivolgendosi al popolo: « In questo caso sapete tutti che dovrà essere il Foro a giudicare questi due giovani. Questa è la nostra legge.»
La gente partecipava alla discussione in atto manifestando l’ approvazione ora a uno ora all’ altro e in quel momento diede ragione al senatore.
Cesare s’ innervosì:
« No, popolo di Roma! C’è dell’ altro!» esclamò, puntando di nuovo il dito « Io accuso quei due di alto tradimento nei confronti dell’ imperatore su cui hanno provato a riversare la colpa del loro misfatto accusandolo della più aberrante tra le atrocità: la distruzione di Roma e dei suoi cittadini. E tu sai benissimo Clodio che delle colpe più gravi se ne deve occupare il Senato. Ebbene, non siete forse voi togati i sacerdoti della legislatura romana?»
Clodio fu costretto ad ammettere: « Si Cesare! Hai ragione. È il Senato che se ne deve occupare, ma…»
« Sì! Ma nelle opportune sedi.» intervenne un altro togato.
L’ imperatore lo fulminò: « Non necessariamente. Io rappresento la massima autorità e decido io!»
« Non è la procedura giusta!» contestò con coraggio un altro dissidente e questa volta Cesare s’ infuriò. I suoi occhi si accesero di una luce maligna e con un cenno sollecitò i pretoriani intorno agli spalti d’ onore. Le guardie imperiali circondarono i togati impugnando le daghe.
« Ogni altra contestazione verrà considerata atto di insurrezione e punita con la massima pena.»
I senatori abbassarono lo sguardo e l’ imperatore si rilassò. Il suo tono divenne più mansueto.
« Alzatevi in piedi e stendete il vostro braccio. Mostrate la mano al popolo e, al suono del gong daremo tutti insieme la nostra risposta.»
Le braccia si tesero, alcune più convinte altre meno decise e solo allora l’ imperatore alzò il suo mostrando il pugno chiuso alla platea.
Il gong emise il suono e gli uomini palesarono il loro verdetto.
Cesare sorrise: come previsto la maggioranza aveva decretato la fine del giovane gladiatore.
Titus aveva deposto la sua vittima incosciente al centro dell’ arena bloccandolo a terra e si era poi rivolto verso gli scranni centrali in attesa che la disputa in atto terminasse e che l’ imperatore emettesse la sentenza.
Non si era accorto che Licia era riuscita a liberarsi dalla presa di Silvester o, forse, il nubiano si era impietosito e aveva lasciato che lei accorresse accanto all’ innamorato.
Aurelius, prevedendo il degenerare degli eventi, era riuscito a posizionare una parte dei gladiatori tra la folla e in modo da dominare la scena e, preso atto del fatale responso, aveva emesso un ordine secco.
Subito dopo un sibilo sinistro sferzò l’ aria e il volo compatto di un nugolo di giavellotti si levò alto, risaltando nell’ azzurro del cielo.
Migliaia di occhi seguirono la traiettoria perfetta di quel lancio spettacolare.
Licia strinse Darius al suo petto, in un estremo tentativo di difesa, alzando alto lo scudo sopra la loro testa.
Anche Titus alzò il suo scudo e si abbassò, riparandosi al di sotto.
Il lancio era stato perfetto e nessun giavellotto mancò il suo bersaglio.
Le armi lanciate dai gladiatori, senza più la spinta della forza gravitazionale, cominciarono la loro parabola discendente, come una fitta pioggia d’ aculei. Poi finirono piantate attorno ai due ragazzi in un circolo perfetto, come a formare una palizzata difensiva.
Dalle gradinate si levò un urlo di meraviglia.
Il popolo approvava.
Titus reagì con un verso che sembrò più un ruggito che un urlo di rabbia e tentò di strappare le lance dal terreno. Il gladiatore fu costretto a smettere quando Silvester lo afferrò per le braccia.
« Combatti con me e dimostra al popolo quanto davvero vali!»
Il gigante si volse sorpreso liberando il suo braccio, poi lanciò uno sguardo interrogativo verso il sovrano.
Rimasto basito dall’ evolversi degli eventi, Cesare si morse le labbra, indeciso.
I mormorii dei senatori e della folla gli suggerivano ancora la massima prudenza mentre, la brama di vendetta lo spronava a fare scorrere fiumi di sangue.
Combattuto tra i due istinti rimuginò a lungo ma, infine, vinse la cautela e con un cenno annuì.
I due gladiatori si posero uno di fronte all’ altro e fu Titus a prendere l’ iniziativa.
Silvester lo attese con calma e quando gli fu vicino mise a segno il primo dei suoi calci volanti.
Gli spettatori si entusiasmarono: « Silver! Silver!» ripresero a incitare e l’ acclamazione nei confronti dell’ avversario mandò su tutte le furie il campione del sovrano.
Silvester approfittò della collera dell’ avversario per afferrargli il braccio teso e torcerglielo dietro la schiena. Poi il nubiano gli strinse il collo, non tanto per soffocarlo quanto per renderlo inoffensivo.
Dall’ alto della sua postazione l’ imperatore era rimasto basito. Non ci stava ad assistere alla sconfitta del suo campione e, approfittando della totale indifferenza nei suoi confronti diede ordine al capo degli arcieri di tenersi pronti.
Quintus, che non aveva mai perso di vista il palco imperiale aveva intercettato il silenzioso ordine emesso da Cesare.
Esortò la sua Centuria a muoversi e il rimbombo di centinaia di calzari chiodati, sbattuti sull’ impiantito mise a tacere il rumoreggiare della gente.
La pattuglia militare fece la sua marziale comparsa in formazione compatta, ai bordi della pista.
Una pioggia di dardi piovve dagli spalti e i soldati alzarono gli scudi per difesa.
Il terreno si punteggiò di frecce ma nessun centurione rimase ferito.
I gladiatori nascosti tra il pubblico impedirono agli arcieri di scoccare ulteriormente.
Con un altro ordine secco del comandante il drappello si diresse di corsa a posizionarsi attorno ai due giovani gladiatori. Ogni centurione divelse con forza i rimanenti giavellotti lanciati dai gladiatori poco prima.
Darius, che si era ripreso, sgranò uno sguardo incredulo sul militare, che aveva sempre ritenuto un amico e Licia gli si strinse ancor di più al fianco.
« Quintus… perché?» riuscì a mormorare il ragazzo.
Quintus rimase impassibile.
Le lance dei suoi centurioni puntarono minacciosamente ancora per qualche attimo contro i due giovani, ormai rassegnati alla loro fine.
A un altro ordine del loro comandante, i soldati scagliarono i giavellotti lontano e, mentre questi si piantavano nel terreno, una cinquantina di scudi rettangolari andò a formare la testuggine, tipica difesa degli eserciti romani.
La manovra compiuta alla perfezione a salvaguardia dei due giovani gladiatori, li fece sparire alla vista degli spettatori.
Al centro della pista rimase visibile solo Quintus Lemonia.
Una leggera brezza soffiava smuovendo la criniera rossa dell’ elmo del centurione e gonfiava garbatamente il lungo mantello alle sue spalle. Nel silenzio, sembrava quasi di avvertirne il fruscio. La corazza, illuminata dai raggi di sole, emanava improvvisi luccichii.
Quintus rimase immobile come una statua, senza mai abbassare lo sguardo davanti all’ imperatore che lo stava osservando con curiosità.
I secondi passarono lenti e all’ improvviso altri passi risuonarono nello stadio.
Un plotone di guardie pretoriane arrivò di corsa posizionandosi intorno alla testuggine formata dai centurioni e sollevando i giavellotti in posizione di lancio.
Quintus li avvolse in uno sguardo glaciale. Finché lui era vivo non si sarebbe aperto il minimo spiraglio nella difesa formata dagli scudi.
« Cesare, la mia Centuria è pronta a difendere fino alla morte questi due giovani eroi!» esclamò con fierezza.
L’ attenzione di tutti i presenti si catalizzò sulla tribuna d’ onore.
La voce di Cesare si levò imperiosa: « Davvero la vita di un miserabile schiavo può valere il fiume di sangue che scorrerà in seguito alla congiura contro il vostro imperatore?»
La domanda rimase senza risposta perché proprio in quel momento alte strida si levarono nel cielo. Gli spettatori volsero lo sguardo in alto e lo stupore si trasformò ben presto in terrore.
Tra lo sgomento generale Elia fece la sua maestosa comparsa.
Il Muta- Forma scese lentamente posandosi sull’ arena, poco distante dalla testuggine.
Quintus, Silvester e Aurelius, seppure sconcertati dall’ improvvisa apparizione, afferrarono i giavellotti puntandoli sull’ enorme rapace.
Il Muta- Forma li ignorò mentre il suo sguardo di fuoco si posò sui pretoriani ancora schierati nell’ arena. Qualche guardia tentò un lancio verso di lui ma, forse per la fretta o forse per imprecisione, nessun tiro andò a segno.
Il gigante alato avanzò verso i pretoriani emettendo una serie di strida e facendo balenare per aria i poderosi artigli. L’ aria smossa dall’ apertura alare scompigliò i mantelli e le criniere degli elmi.
Le guardie imperiali iniziarono a indietreggiare.
Sotto lo sguardo sconcertato di tutti i presenti la creatura iniziò la sua trasformazione finendo per assumere la forma umana.
La mutazione creò un panico diffuso e molti tra gli spettatori abbandonarono i loro posti.
Elia si rivolse all’ imperatore: « La vita è sempre sacra Cesare e nemmeno tu puoi arrogarti il diritto di sopprimerla.»
Sentendosi sotto accusa il sovrano impallidì. Il terrore che lo dominava era evidente nella sua rigidità e forse, non aveva nemmeno compreso le parole del Muta- Forma.
Elia se ne rese conto dall’ espressione ormai statica da parecchi secondi e riprese: « Questo giovane è prediletto degli dei e Roma deve a lui la sua salvezza. Cesare dovrai rendere conto per le nefandezze commesse e le pagherai, se non davanti agli uomini davanti agli dei.»
Il pubblico mormorò e l’ imperatore si lasciò andare sul suo scranno.
Elia riportò la sua attenzione sul centurione ancora immobile al centro della pista.
« Abbassa la tua arma, centurione e ordina ai tuoi uomini di alzare gli scudi.»
Ancora soggiogato da quella presenza arcana Quintus abbassò il giavellotto ed emise un ordine: « Via gli scudi!»
I soldati ubbidirono e dalla trincea di metallo emersero le figure di Darius e Licia.
« Venite da me, miei giovani amici e salite prima che l’ imperatore e i suoi arcieri si riprendano dallo stupore.» ordinò, effettuando la mutazione all’ inverso.
Mentre Darius saliva a cavalcioni del rapace Licia ebbe un attimo di esitazione.
« Non era questo che desideravi ragazza?»
Darius le tese un braccio e Licia vi si afferrò e, con agile balzo si mise alle spalle dell’ innamorato, con le braccia ben strette intorno alla sua vita.
Per qualche istante lo sguardo del giovane gladiatore vagò sugli spalti posandosi poi sul centurione, sul nubiano e su Aurelius.
I tre uomini alzarono un braccio e gli sorrisero.
« La profezia si è avverata! Ora sono un uomo libero!»
Elia aprì le ali frullandole per qualche secondo per aria, quindi, sotto lo sguardo inebetito di migliaia di persone decollò.