Ogni fiore non e detto che deve profumare, ogni poesia che si scrive non e detto che deve suscitare buoni sentimenti e profumare di dolce, ogni racconto mai è una invenzione, è sempre un eco di percorsi accantonati, vissuti e messi da parte nella camera oscura del nostro inconscio, certo, questo luogo non è visibile, è un fantasma, un pozzo che non conosce profondità, diciamo che è un contenitore di divieti, brutte emozioni, conflitti, abbandoni, bambole rattoppate, giocattoli buttati, meraviglie sepolte e incantesimi fatali. E’ qua, in questa camera buia che c’ e l’ essenza di ognuno di noi, il vero primo abbandono, il dolore lancinante della prima perdita, la soffocazione della vita reale e genuina. E’ da questa pozzo che spesso esalano odori di poesia, esalazioni di racconti, sentimenti d’ amore, e spesse volte capita anche che esala odore di marcio dell’ uomo, un effluvio di vergogna ed egoismo primordiale, di onnipotenza e di distruzione. Poetare non è scrivere, è essere, come scrivere racconti è narrazione di un sé che si affacciache esala dal buio e respira la vita Dalla fucina ne esce un arma fatta di vissuti sepolti che resuscitano attraverso la scrittura. La poesia non è mai solo una rosa, è anche ben altro,: succo di limone sulla ferita, petali di sentimenti strappati, barche rovesciate, tracce di passaggi, impronta indelebile di dolori subiti, perdite...
Francesca si abbandonava spesso a pescare poesie nel pozzo tra macerie e bambole rotte, voleva sempre portare alla luce la bellezza, la rima perfetta, il giocattolo preferito. Scartava sempre il brutto che pescava, lo ributtava giù chiudendo gli occhi,: Bambole strapazzate, fiori ammuffiti, conosceva poco il pozzo, non sapeva che ogni brutto anatroccolo che ributtava nella camera oscura racchiudeva la sua vera bellezza, certo, bastava solo togliere l’ amo conficcatosi nella bocca del pesce e avrebbe scoperto la bellezza, la Sua, l’ avrebbe scoperta nei versi, nei racconti, nei gesti antichi e sepolti resuscitando la vita, la sua, questo le avrebbe tolto le rughe dal viso, ampliato il sorriso, la luce degli occhi, lo sbattere delle ciglia, i solchi sulle labbra e avrebbe scritto poesia … la Sua vera natura attraverso l’ inchiostro di una biro masticata cento volte e mai abbandonata.
Mi guardai allo specchio,
non ero perfetto.
Indossai vari tipi di pelle per esserlo.
Nessuna cute mi andava a pennello.
Cambiai corpo e sesso.
Mescolai il mio tutto,
cambiai il colore degli occhi
e i pigmenti che coloravano le mie labbra.
Mi trasformai in mille sembianze:
“ Serpente, agnello, lupo e cacciatore.”
Cambiai apprendimento nella terra del razionale.
Seminai nuove specie di pensieri.
Nulla accadde nella valle del sé.
Mi arrabbiai,
indossai ali d’ aquila per andare lontano.
Mi appropriai della sua vista per veder lontano.
Non riuscii a veder un distante di me.
Ritornai dal momento vissuto.
Mi ritrovai a guardarmi allo specchio,
nella mano il pennello della barba;
Il viso era pieno di schiuma,
raschiavo la pelle con la lama del rasoio,
mi cercavo, sapevo, non era tardi conoscermi. |
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