Era una giornata ventosa.
Il vento soffiava dalla Majella innevata sulla cima, pur essendo ancora in autunno, e le sue raffiche spazzolavano furiosamente le cime degli alberi.
Le foglie color ruggine e le pagine dei giornali svolazzavano rumorosamente nell’ aria animata di Amardolce.
Francesco arrivò faticosamente con il suo asino Bello, scaricò un sacco di patate dal basco dell’ animale e, dopo aver trasportato il sacco nella stalla, si sedette sulla sua minuscola sedia di paglia e cominciò a fumare, nonostante le raffiche di vento che gli strigliavano il viso raggrinzito.
Mi avvicinai faticosamente all’ uomo anziano e lo salutai con un cenno della testa.
Cominciò a raccontarmi un fatto che gli era successo durante la Seconda Guerra Mondiale quando uno strano piagnucolio attirò la mia attenzione.
Nonostante il rumore del vento, udii un verso lamentoso che proveniva dal basto dell’ asino. Mi avvicinai all’ asino, che pareva essere particolarmente nervoso a causa del tempo, spostai un sacco di iuta vuoto che ricopriva il basto e intravidi un minuscolo gattino nero che miagolava disperatamente.
«L’ ho trovato in campagna!», mi disse l’ uomo con un tono quasi solenne.
Presi delicatamente il gatto e lo accarezzai.
Era straordinariamente bello, anche se i suoi peli arruffati lo facevano apparire buffo.
«Secondo me, avrebbe bisogno di un po’ di latte», gli dissi con un filo di voce per non suscitare la sua rinomata suscettibilità.
Francesco mi guardò con i suoi occhi trasparenti e proferì: «I gatti sono creature libere. Vivono nelle case delle persone, ma sono a disagio perché preferirebbero vivere a stretto contatto con la natura. A proposito, i gatti scuri sono l’ anima nera degli uomini che hanno preferito addomesticarli piuttosto che rispettarli. Non addomesticherò mai un felino, anche se li adoro».
Azzardai una piccola contestazione.
«Perché lo hai preso se non intendi addomesticarlo?».
L’ anziano mi guardò dritto negli occhi e mi disse: «Vedi il mio portone?».
Mi girai lentamente e guardai il portone della sua casa.
Non notai nulla di strano a parte un mulinello di vento che aveva ammucchiato un po’ di foglie morte attorno alla base dell’ entrata.
«Il gatto può entrare ed uscire giorno e notte attraverso la fessura che ho fatto istallare da Mastro Peppe».
Guardai con più attenzione e notai che aveva fatto installare uno sportello nella parte bassa della porta per consentire al gatto di entrare ed uscire di casa in piena autonomia.
«Non ci hai mai fatto caso, Sergio? In amardolcese, i gatti sono sempre femmine, anche se sono maschi».
Mi resi conto che Francesco aveva ragione.
Francesco fumò l’ ultima sigaretta, sotto lo sguardo disinteressato dell’ asino, ed aggiunse: «Se vuoi che un gatto ti rimanga fedele, gli devi sputare in bocca!».
A dire il vero, rimasi sconvolto dalla sua affermazione, ma non gli dissi nulla, perché era già scomparso dietro al portone della sua casa.
Successivamente, ho fatto una breve indagine sul territorio per appurare la storia dello sputo, ma non ho mai trovato una conferma attendibile alla sua affermazione, per cui devo dedurre che fosse una ingenua fandonia.
Comunque, qualche anno dopo la sua scomparsa, che avvenne nel 2000, il gatto nero a cui aveva dato il nome di «Nerone», rimase nei paraggi della sua abitazione per alcuni anni, entrando e uscendo dalla gattaiola che Francesco gli aveva fatto costruire, perché, come mi disse in quel giorno ventoso, «i gatti sono creature libere».