Per i due husky fu facile approntare la slitta tenuta al riparo nella grotta. Per le redini e i finimenti che tenevano unita la muta, avevano ideato un sistema d’ imbragatura molto più semplice di quello usato dagli umani.
I loro figlioli, eccitati dalla prospettiva di una nuova avventura sui ghiacci fremevano impazienti; vennero legati a coppie, mentre mamma Tempesta provvedeva a fare le ultime raccomandazioni. Non era la prima volta che i due husky s’ azzardavano con i cuccioli sulla banchisa trainando la slitta. Era nella indole di quella razza da generazioni e loro non potevano fare a meno di rispondere al richiamo della natura.
Tempesta si occupò di far sistemare la foca e il suo orsetto sulla slitta con accanto la volpe, mentre il tricheco si posizionò sul predellino posteriore, il posto occupato in genere dal conducente.
Dopo essersi legato il capo della corda l’ uno con l’ altro, il capo muta diede l’ avviso di partenza e la slitta scivolò in avanti, lasciandosi la stella polare alle spalle e puntando nelle terre più a sud.
All’ inizio filò tutto liscio, senza intoppi e spinti da un grande entusiasmo, alternando tre ore di corsa a una di riposo. I guai cominciarono il terzo giorno, quando videro apparire in lontananza, davanti a loro, un muro di densa foschia.
« Guarda» esclamò Tempesta, con preoccupazione, al compagno che le correva al fianco. La parete grigia partiva dalla linea dell’ orizzonte e arrivava fino al cielo coprendo la visuale sia a oriente, che a occidente.
« Tra pochi minuti ci troveremo immersi nella tormenta, senza possibilità di vedere dove stiamo andando. Dobbiamo trovare un rifugio e fermarci.»
« Non sappiamo quanto potrà durare il maltempo, e corriamo il rischio di restare fermi per giorni.» aggiunse sempre più preoccupata Tempesta.
« Del resto, se non ci fermassimo correremo il rischio di finire in qualche trappola di ghiaccio; da queste parti i crepacci si spalancano all’ improvviso sul mare quando meno te l’ aspetti. È troppo pericoloso, dobbiamo fermarci e aspettare che passi.» ordinò Vento fermando così la muta.
« Ci scaveremo un riparo sotto la coltre più morbida e attenderemo che passi la bufera.» spiegarono i due al resto della comitiva.
Si diedero da fare tutti: i cani e la volpe scavarono con le zampe, e Baruffa diede un grande contributo affondando le sue zanne micidiali nel ghiaccio. Dopo pochi minuti, avevano realizzato una tana che assomigliava tanto a un igloo e che li avrebbe protetti dalla tormenta. Vi si rifugiarono accoccolandosi gli uni sugli altri, in modo da difendersi dai rigori della temperatura.
Gelsomina e Baruffa affondarono il corpicino dell’ orsetto contro la pelliccia folta e morbida dei loro ventri e in pochi minuti Patatanche si riaddormentò, confortato dall’ odore e dal sapore del latte materno.
La neve trasportata da un vento impetuoso turbinò per molte ore attorno al gruppo e, mentre loro dormivano tranquilli, si ritrovarono sommersi da una spessa coltre gelata.
Quando i cuccioli si risvegliarono, iniziarono tra loro un’ allegra battaglia con grosse zampate di neve e rincorse a perdifiato nei dintorni dell’ improvvisato rifugio e mamma Tempesta dovette richiamarli all’ ordine per riattaccarli alla slitta.
« Nebbia, Nuvola, Neve, Ghiaccio, Brina, Aurora, smettetela di azzuffarvi. Rimandiamo ogni gioco a quando saremo tornati e mettetevi in fila per due. Dobbiamo ripartire al più presto.»
I giovani husky ubbidirono controvoglia, ma si rimisero in formazione continuando a stuzzicarsi a vicenda.
Ripartirono verso sud guidati dall’ istinto e dall’ esperienza, ben attenti a ogni variazione sulla banchisa, che potesse apparire sospetta.
Lo scenario monotono e abbagliante della neve fresca che baluginava sotto i raggi del sole, portava a socchiudere le palpebre e forse fu proprio quello il motivo per cui Tempesta non si accorse in tempo di un’ improvvisa insidia a pochi metri dalle sue zampe.
« Attenta!» urlò Vento, tuttavia era troppo tardi per evitare la profonda spaccatura mimetizzata in parte da un ammasso di neve ghiacciata. La prima a cadere ruzzoloni fu proprio Tempesta.
Vento si rese subito conto della gravità della situazione e si sforzò di rimanere in equilibrio, ma non era affatto facile e oltretutto Nebbia, il cucciolo legato proprio dietro la madre, era stato trascinato nella caduta. In pochi secondi successe il finimondo: la slitta si rovesciò su un lato, facendo cadere tutti gli occupanti.
E mentre Gelsomina pensava a proteggere il suo cucciolo, Baruffa fu lesto a reagire e a scendere insieme a Tabatha accorrendo in aiuto.
Tempesta era rimasta miracolosamente illesa, ma sostenuta nel vuoto ancora dalle briglie, penzolava in modo pauroso, in una profonda spaccatura nel ghiaccio. Nebbia, trascinato nella caduta dalla madre, era rimasto chissà come sul ciglio e fissava la mamma con aria terrorizzata.
I sei cuccioli cominciarono un coro di guaiti, ma Vento afferrò le briglie nella morsa della sua dentatura:
« Aiutatemi a tirare tutti quanti!» urlò al resto del gruppo.
Furono momenti concitati e di alta tensione; si prodigarono con tutta l’ energia che possedevano, ma per fortuna, lentamente, Tempesta venne tirata in salvo.
Ci vollero parecchi minuti prima che gli animi e l’ ansimare affannoso dell’ intera muta, si calmassero.
Fu Tempesta la prima a riprendersi e a cercare di fare reagire il gruppo, sollecitandoli uno alla volta a rialzarsi, assestando leggeri buffetti con il naso e leccatine confortanti.
Ripresero ognuno il proprio posto, i passeggeri si riaccomodarono e al segnale di Vento la slitta ripartì.
Ma dal rumore dei pattini sul ghiaccio e dai continui strattoni violenti, i due capi muta intuirono subito che non sarebbe più stata una passeggiata. Gli avvallamenti formati dalla neve, erano insidiosi e le punte dei pattini vi s’ infilavano a fondo, stentando poi a uscirne. Inoltre, il pack sul quale scivolavano a stento, non risultava più molto stabile; da qualche minuto si stavano verificando strani tremori, e lo strato di ghiaccio sembrava essersi assottigliato di molto e Vento e Tempesta cominciarono a scambiarsi sguardi preoccupati.
Tempesta avvertendo lo sguardo di Gelsomina si volse, mentre Vento diceva:
« Il ghiaccio è diventato molto sottile, ed è diventato pericoloso proseguire. Non abbiamo il tempo di cercare un’ altra strada per evitare l’ ostacolo. Possiamo solo tornare indietro e sperare che il ghiaccio non si spacchi sotto il nostro peso.»
Gelsomina sgranò gli occhioni umidi di pianto: davvero non c’ era più speranza di portare in salvo il suo piccolo?
Tempesta ne raccolse lo sguardo e si sentì stringere il cuore: « Devo pensare anche ai miei cuccioli. Tu mi capisci, vero Gelsomina?»
La foca assentì, in modo mesto.
« Mi spiace…» ebbe appena la forza di aggiungere l’ husky voltandosi per nascondere la commozione.
« Ti consiglio di scendere Baruffa.» suggerì Vento « Meno peso ci sarà sulla slitta e più probabilità avremo di uscirne indenni.»
Il tricheco scese, subito imitato da Gelsomina che gli mise accanto e dall’ altro lato si pose Tabatha.
La foca dovette costringere Patatanche che non ne voleva sapere di stare solo e per rassicurarlo gli camminò a fianco, fino a quando l’ orsetto tranquillizzato, si riaddormentò.
E fu proprio allora che accadde la tragedia.
La banchisa sussultò sotto di loro in un modo che lasciò tutti allibiti e spaventati. Non ebbero più la possibilità di fare nulla, con un sonoro crack, il ghiaccio si spaccò di netto e in modo circolare attorno alla slitta, e in un attimo la piccola comitiva venne divisa in due parti.
Baruffa e Gelsomina si ritrovarono da soli, piuttosto indietro rispetto agli altri e troppo esterrefatti per poter reagire, rimasero a guardare il piccolo iceberg che si era formato, allontanarsi. Gelsomina ebbe un singulto, il mare gli stava portando via il suo cucciolo per sempre.
Ma la prontezza di riflessi dei due husky impedì che il dramma si concludesse; Vento e Tempesta si prodigarono per salvare tutti quelli rimasti sul piccolo isolotto ghiacciato.
I cuccioli furono convinti abbastanza facilmente a spiccare un salto di un paio di metri; tutti tranne uno: Aurora. La piccola husky rimase impietrita sul bordo dell’ iceberg, incapace di fare il minimo movimento. Mamma Tempesta fu costretta a mordicchiargli il didietro per convincerla a saltare e, infine ci riuscì.
Aurora prese una lunga rincorsa e incalzata e incoraggiata dagli altri fratelli, saltò, atterrando felicemente dall’ altra parte.
Poi Tempesta si volse verso l’ orsetto, ma vide Tabatha che lo teneva per la collottola. Il piccolo si agitava spaventato e la volpe faticava a tenerlo. Dopo avere preso lo slancio, Tabatha si protese comunque con coraggio e tutti rimasero con il fiato mozzato a guardare il suo corpo affusolato sospeso vuoto.
Non ce la farà mai pensò Vento.
« Non ci riuscirà» pianse disperata Gelsomina.
«È troppo distante!» esclamò allarmato Baruffa.
Infatti, l’ isolotto si era ulteriormente allontanato e il cucciolo si dimostrò troppo pesante per la piccola volpe, la quale mancando l’ appiglio, rovinò nelle acque gelide trascinando Patatanche con sé.
L’ impatto con l’ acqua fu paralizzante e i due sparirono alla vista in pochi istanti.
I primi a riprendersi furono Gelsomina e il tricheco che all’ unisono si tuffarono sotto la banchisa.
Per qualche attimo la foca disperò di ritrovare il suo orsetto, poi ne individuò la piccola figura andare a fondo e, veloce come un lampo, si precipitò a ripescarlo.
Mentre riemergeva con Patatanche frastornato dal gelo, vide Baruffa che riportava a galla la volpe e con delicatezza la posava sull’ isolotto.
E mentre l’ iceberg si allontanava dalla banchisa con il resto della compagnia, ancora una volta, la foca e il tricheco si diedero da fare per cercare di scaldare e di asciugare i due sfortunati.
« Arrivederci!» urlarono Vento e Tempesta da una lunga distanza.
« Arrivederci!» risposero con gratitudine Gelsomina e Baruffa. Poi, in pochissimo tempo, la slitta e la famiglia degli husky scomparvero alla loro vista.
Erano rimasti soli, così com’ erano partiti all’ inizio: Gelsomina e Patatanche, Baruffa e Tabatha.
Da allora in poi, senza cibo e senza possibilità di ripararsi dal gelo, cosa ne sarebbe stato di loro quattro naufraghi alla deriva nel mare Artico?
Il tricheco e la foca erano in grado di procurare abbastanza pesce per sfamare lo sparuto gruppetto, ma Tabatha non essendo abituata a una tale dieta, doveva forzarsi a mangiare quel cibo, mentre per il piccolo Patatanche non c’ erano problemi, prendeva ancora il latte da Gelsomina.
Il vero problema fu che viaggiarono parecchi giorni senza sapere dove stavano andando alla deriva, finché non scese la lunga notte artica e loro lessero nella posizione delle stelle, dove si trovavano in quel momento.
Erano lontani, troppo lontani dalla rotta che li avrebbe portati a sud, anche se si erano allontanati di molto dal luogo dal quale erano partiti. Dovevano far qualcosa, qualsiasi cosa in modo da riportare l’ iceberg sulla giusta rotta. Ma cosa?
Nel frattempo, furono avvistati dall’ alto da uno stormo di gabbiani, quindi fu la volta di una coppia di girifalco e per finire una candida civetta delle nevi. Gli uccelli seguirono con curiosità l’ isolotto alla deriva, poi cabravano e si dileguavano all’ orizzonte.
E fu così che la notizia del piccolo orsetto, della mamma adottiva e del tricheco che si era autoproclamato padrino del cucciolo, si sparse per tutta la banchisa polare, e ben presto, gli animali che raccolsero quella novità, s’ incuriosirono e accorsero per conoscere da vicino Patatanche e la sua strana famiglia.
Poi fu la volta di un branco di trichechi, ai quali Baruffa raccontò tutte le avventure vissute per arrivare fino a quel punto. I massicci pinnipedi si diedero da fare per cercare di trainare verso sud l’ isolotto di ghiaccio, ma per quanto si sforzassero, i progressi furono minimi.
La strampalata notizia giunse infine alle orecchie di una balenottera azzurra chiamata Megan, famosa in tutto il mare del nord per aver adottato a sua volta un cucciolo di un’ altra specie: Packy, un delfino orfano di madre che stava per morire di fame e che Megan aveva allattato e poi cresciuto con amore.
Megan nel sentire la storia di Gelsomina e Patatanche volle constatare con i suoi occhi i fatti e s’ avviò con Packy verso il luogo dove galleggiava l’ iceberg.
Quando arrivò, il mare era in burrasca e i naufraghi ormai allo stremo delle loro forze. Gelsomina era disperata, il suo piccolo dava segni di sfinimento e correva il rischio di congelamento.
Non ci fu bisogno di spiegazioni, Megan intuita la gravità della situazione, prese a lanciare il suo accorato richiamo, tipico della specie denominato anche come “ Canto delle balene” che si espanse attraverso il fondale oceanico, e al quale rispose una decina di cetacei.
Le gigantesche balene si addossarono il compito di trainare e spingere l’ isolotto e cominciò così una lunga corsa contro il tempo che vide l’ iceberg navigare a tutta velocità verso le terre più calde.
Non fu un’ impresa facile; le megattere dovevano ritornare a galla a intervalli regolari per respirare, tuttavia fecero in modo di alternarsi cosicché l’ isolotto fosse sempre in movimento.
Packy, il cucciolo di delfino ormai cresciuto, seguiva e incitava le balene nella loro disperata rotta verso le coste più a sud.
Gelsomina seguiva le operazioni di salvataggio con infinita emozione; l’ istinto le suggeriva che per i grandi cetacei non era ancora il tempo della migrazione a ritroso e che se tornavano indietro, lo facevano soltanto per salvare l’ orsetto.
Tabatha assisteva con un misto di orgoglio e di ammirazione, mentre il tricheco si era tuffato e spalleggiando le balene bofonchiava:
« Forza… forza creature incredibili. Tirate… spingete… oooo hooop! glu glu glu… oooo hop! Glu glu glu…!»
E beveva e sputava, ma era più d’ impiccio che d’ aiuto, tanto che infine, una megattera gli diede una decisa spinta con il muso e il tricheco fu costretto a tornare sull’ isolotto.
E finalmente quando avvistarono le coste settentrionali del Canada, il lungo viaggio ebbe termine.
Patatanche non aveva fatto altro che dormire, e si era ripreso abbastanza dalle sofferenze patite. Mamma Gelsomina e Baruffa avevano in fatto in modo di tenerlo al caldo e ben nutrito.
La foca sentiva che stava per giungere il momento tanto temuto, quello del distacco dal suo piccolo, ma sentiva anche che stava per fare la cosa più giusta per l’ orsetto, sempre che avessero trovato una mamma ideale.
Megan si avvide della malinconia della foca e si offrì di trasportare mamma e piccolo fino alla riva. E fu così che per il mare si vide una balena che trasportava con mille attenzioni sul dorso una foca, un orsetto e una volpe artica e che per di più era seguita da un delfino giocherellone.
Era arrivata l’ ora per i cetacei di far ritorno nel mare glaciale e quando si salutarono, Gelsomina non riuscì a spiccicare una parola, aveva il pianto che le soffocava in gola. Megan le diede piccoli buffetti, muso contro muso e non vi fu bisogno di aggiungere altro.
Ancora una volta due specie del tutto diverse avevano dato prova di grande solidarietà e altruismo.
Una volta a riva, i quattro amici si volsero a salutare il branco di grandi mammiferi che li aveva aiutati. All’ orizzonte si alzarono grandi spruzzi di acqua sollevati dalle gigantesche code e altissimi soffioni di aria, in segno di saluto all’ orsetto Patatanche e alla mamma Gelsomina.
Da quel momento i tre amici avrebbero dovuto agire in fretta e trovare al più presto una femmina di grizzly.
Tuttavia, la fortuna o il destino si volsero a favore del piccolo Patatanche, poiché proprio nei pressi della spiaggia sulla quale erano approdati, si estendeva una bellissima foresta rigogliosa, e scorreva un fiume molto pescoso e limpido, un habitat ideale per gli orsi bruni.
Tabatha individuò subito alcune femmine adatte a diventare delle buone madri, bisognava solo convincerne una di adottare Patatanche.
Non sembrava affatto un’ impresa facile, gli orsi erano conosciuti per il carattere solitario e scontroso e in genere non ammettevano intrusioni nella loro quiete familiare.
« E adesso, come facciamo?» domandò Gelsomina preoccupata, mentre osservavano alcune piccole famigliole di grizzly.
« Potremmo lasciarlo in una tana. Qualche femmina di sicuro l’ adotterà!» propose Baruffa.
« Non so!» rispose Tabatha mentre rimuginava sul da farsi. « Secondo me è una mossa azzardata. Dobbiamo prima trovare il modo di fare accettare il cucciolo.»
« E come facciamo?» domandarono all’ unisono la foca e il tricheco.
Tabatha ci rifletté su per parecchio tempo, ma poi le venne un’ idea che sembrava buona.
« Gli orsi sono assai ghiotti di miele e allora cercheremo un favo e ricopriremo il pelo del piccolo di quel liquido dolce e speziato che li attira tanto.»
« E a che scopo?» domandò scioccamente Baruffa.
Tabatha, mentre si avviavano alla ricerca di miele, spiegò pazientemente.
« Otterremo due scopi: il primo è quello di coprire l’ odore di foca che ha impregnato il pelo di Patatanche, il secondo è quello che spero vivamente si verifichi e cioè, che un’ orsa non sappia resistere alla tentazione di assestare delle belle leccate sia al miele che al cucciolo.»
« Ebbene?» insistette Baruffa « Cosa speri di ottenere?»
Gelsomina, che aveva afferrato l’ intento della volpe, scambiò un’ occhiata comprensiva con Tabatha che concluse:
« Se la mia idea funziona, lo scoprirai da te!»
La ricerca del favo colmo di miele non richiese molto tempo e dopo nemmeno un’ ora dal loro arrivo, la volpe metteva in atto il suo piano, spalmando il pelo di Patatanche e riponendolo in una tana scelta in precedenza.
Tabatha era quasi certa che l’ orsa avrebbe preso a leccare il pelo dell’ orsetto e già quel gesto avrebbe iniziato un forte legame tra i due e quando la femmina avesse percepito il gusto dolciastro del miele, non avrebbe più potuto rifiutare il cucciolo.
E poi… Tabatha in cuor suo sperò che funzionasse.
E funzionò davvero anche se furono momenti di alta tensione.
Nel lasciare il suo cucciolo, Gelsomina si sentì strappare il cuore. Patatanche si rifiutava di rimanere solo e ogni volta che la mamma si allontanava, prendeva a seguirla, rischiando di mandare a monte tutti i piani della volpe.
Ci vollero le cattive maniere per convincerlo a rimanere fermo e il piccolo cominciò a lanciare versi di richiamo disperati.
Una femmina d’ orso, sentendo i gemiti dell’ orsetto, si avvicinò seguita dal suo cucciolo della stessa età di Patatanche.
La strategia della volpe si dimostrò vincente, poiché appena percepito l’ odore del miele, mamma orsa prese ad annusare e a leccare il dolce che tanto le piaceva, imitata subito dall’ altro orsetto.
Il piccolo Patatanche ebbe attimi di sconcerto e nello stesso tempo trovò gradevole la lingua dell’ orsa che, come una ruvida spatola, gli lisciava il pelo in ogni verso. Per lui era una carezza continua e si rilassò, mugolando tutto contento.
Dopo il massaggio mamma orsa si distese e il suo cucciolo ne approfittò per attaccarsi e succhiare. Patatanche esitò, quindi si avvicinò con cautela all’ orsa che l’ osservò curiosa, poi con una delicata zampata se lo accostò al petto. L’ orsetto non se lo fece ripetere due volte e si attaccò avidamente alle mammelle colme di latte.
Gelsomina sorrise in modo mesto, ma finalmente il suo cucciolo aveva trovato una mamma che lo avrebbe accudito e fatto crescere in modo naturale e in un ambiente che gli si confaceva.
Tabatha e Baruffa si strinsero a lei confortandola, quindi lentamente si avviarono sulla spiaggia per fare ritorno sui ghiacci perenni.