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Il giovane Cesidio, contadino-bracciante, si alzò, come di solito, al primo chiarore dell’alba. Affettò alcuni grossi tocchi di ventresca, li mise in mezzo a due grandi fette di pane scuro e, tracannando un bicchiere di vino, fece colazione. Quindi ripose il fiasco nella sacca insieme ad un altro paio di panini consimili, prese il falcetto, e si avviò di buon passo verso il terreno del barone, a qualche chilometro giù nella valle. Era iniziata la mietitura del grano che allora si faceva ancora a mano. Il campo di grano, dalle alte spighe, declinante verso la valle, brillava nella luce del primo mattino come un sole terrestre. Cesidio si mise di buona lena e con metodo a tagliare le spighe alla base seguendo un percorso trasversale a zigzag che lo portava via via verso il basso. Continuò senza mai fermarsi se non per alcuni istanti per sorseggiare dal fiasco un po’ di vino, fino a che il sole fu a perpendicolo nel cielo. A questo punto, trovandosi nei pressi del capanno degli attrezzi, vi si rifugiò per sfuggire alla violenta calura e fece una sosta più lunga per mangiare pane e ventresca continuando a scolarsi il buon vino rosso prodotto con i suoi stessi piedi. Vuoi per il caldo particolarmente afoso, vuoi per la bestiale fatica del falcetto, che per l’abbondante vino ingurgitato, finì per addormentarsi. Quando si svegliò il sole ormai declinava verso il tramonto. Era frastornato, non gli era mai accaduto fino ad allora di dormire tanto durante una giornata di lavoro. Guardò con un senso di colpa verso il campo di grano ancora per metà intatto. Non ce l’avrebbe più fatta a finirlo per quella giornata. Se il barone avesse saputo il motivo di questo ritardo certo non gliene avrebbe pagate due, intendo due lire, una per giornata. Mentre rifletteva percepì con la coda dell’occhio sinistro un movimento nella parte più lontana del campo, là dove le spighe erano ancora intonse. Si girò cercando di acuire la vista nel crepuscolo ormai incombente. Una figura dall’aspetto molto alto e sottile, con un largo cappellaccio sulla testa che ne nascondeva il viso, procedeva con una strana andatura fluttuante lungo la scoscesa del campo, attraverso le spighe senza che però queste, apparentemente, si piegassero. Scrollò la testa e si stropicciò gli occhi più volte per togliersi quel senso di ottenebramento che gli era calato addosso. La figura era sempre là e veleggiava rapida verso il fondovalle. Cesidio rimase impietrito fino a quando non perse di vista l’apparizione, sia per la distanza che per il crepuscolo che avanzava. Solo allora ebbe il coraggio di andare ad ispezionare il luogo dove l’aveva vista transitare. Le spighe erano intatte, nessun segno di passaggio di qualcosa di materiale. Di colpo il paesaggio, così abituale per lui, si trasformò in un luogo misterioso, denso di oscure e minacciose presenze. Corse verso il capanno con quanto più fiato poteva, raccolse la sacca e il falcetto, nell’agitazione si scordò il fiasco, e fuggì via il più lontano possibile. Non disse nulla in giro per non far sapere la ragione per cui non aveva finito di mietere il campo in giornata e guadagnarsi così le sue due lire per due giornate. D’altronde poteva sempre addurre scusanti come l’eccessiva pendenza del terreno che aveva reso il lavoro più difficoltoso del previsto. Questa storia me la raccontò in vecchiaia e la sua voce tremava ancora emozionata alla rievocazione dell’arcana magia di quella lontana estate.
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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Un bel racconto ben scritto, bravo (Lucietta)
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