Masiddu alzò lo sguardo incredulo al cielo e facendosi il segno della croce esclamò: ” Maronna Biniditta, cu si a prese? Gli angeli?”
Rosalia con parole amare rispose: ” Quali angeli? I diavoli della terra…”
Poi raccomandò al custode di mantenere il segreto dicendogli che se avesse parlato con qualcuno, avrebbe rischiato di non poter più riabbracciare la sua piccolina. Masiddu ancora scosso, con un gesto si tappò la bocca e disse: ” Iu nun vitti, né sentito nenti, putiti ruormiri supra sietti cuscini.”
Rosalia d’ impeto disse a Nino: ” Amuninni, ù ora fì mmina Lucia mi deve diri chi fini fici meo figghia, si no l’ ammazzo!”
Nino la prese da un braccio ed esortandola le disse: ” Fermati, tu nun a conosci, sutta l’ aspetto bonu si ammuccia ‘ na fì mmina tinta, pronta a tuttu pi piccioli e poi havi agganci cu amici potenti, mi capisci? Dobbiamo muoverci con cautela e tessere ‘ na tela comu ‘ n ragnu.”
Rosalia stremata da così forti emozioni gli rispose: ” E iu comu fazzu a fingere, e attruvari a fù orza ri guardarla ancù ora pi facci, sapendo chiddu chi mi fici?”
Nino le prese il viso spaventato fra le mani, e fissandola negli occhi smarriti le disse: ” Ti devi firari ri me, vedrai chi riusciremo a attruvari to figghia, a costo ri mì ettiri sutta supra tutta a Sicilia.” Per la prima volta da quando si erano conosciuti Rosalia s’ accorse di provare per Nino non solo un sentimento di riconoscimento per il suo aiuto ma un sincero affetto, tuttavia non voleva illuderlo, quello che c’ era fra loro era solo una profonda amicizia ed era convinta che non sarebbe mai potuta diventare qualcos’ altro, come invece sperava Nino. L’ uomo continuò: ” Uora torniamo a casa e facì emu finta ri nenti e rumani vedremo a fari chiddu chi cc’è da fari…”
Per prima cosa avrebbero dovuto inventare una scusa per quella sera, s’ era fatto molto tardi e Lucia voleva sempre avvisata quando non si tornava a casa per cenare, si misero d’ accordo su quello che avrebbero detto alla donna, cioè che erano andati alla chiesa di Sant’ Agata per ordinare una messa in suffragio della piccola e poi si erano trattenuti per la funzione religiosa, il pretesto sembrò reggere, infatti Lucia sebbene fosse infastidita credette alla loro storia. Disse loro: ” Pi chista sira passi ma chi nun si ripeta cchiù, nun sunnu a vostra disposizione.”
Rosalia cercò di controllarsi aveva voglia di prenderla per il collo e farle dire dov’ era la sua bambina ma ripensò alle parole di Nino e si trattenne, nonostante la grande rabbia. Quella notte la trascorse insonne, pensando a quello che avrebbe dovuto fare, decise che per prima cosa doveva rovistare fra le cose di Lucia e soprattutto nella stanza chiusa a chiave, dove era proibito agli ospiti di entrare.
Il pensiero che la sua bambina non fosse morta le dava una forza incredibile, Rosalia era una guerriera e non si sarebbe mai arresa a costo di metterci tutta la vita. Adesso avrebbe dovuto aspettare solo il momento opportuno per poter mettere in atto i suoi propositi, intanto aveva ripreso a lavorare, non doveva assolutamente insospettirla, si era accorta che Lucia la controllava quasi avesse timore di qualcosa. L’ occasione non tardò a presentarsi, Lucia era uscita per fare la spesa dicendole che dopo si sarebbe trattenuta da sua cugina Vincenza, Rosalia appena sentì il portone chiudersi, chiamò Nino e gli disse: “ Jé u momentu giusto, videmu cù osa ammuccia dà rintra…”
La stanza era in perfetto ordine, sulle pareti vecchie foto di antenati, i mobili essenziali e senza un granello di polvere, uno scrittoio antico le dava un tocco di raffinatezza… poi qualcosa attirò la sua attenzione c’ era una tela coperta da un velo nero, la sollevò, ritraeva Lucia sorridente da ragazza, sullo sfondo un piccolo borgo, dalle case di pietra e dai portoni in ferro battuto. Chi aveva dipinto quel quadro, aveva messo in evidenza alcuni particolari, come i riflessi del sole che illuminavano lo sguardo felice di Lucia, l’ artista aveva colto quella luce speciale tipica di una ragazza innamorata. Rosalia ricoprì il ritratto con accortezza, nel frattempo Nino frugava nei cassetti alla ricerca di un qualcosa che li potesse aiutare.
Avevano rovistato ovunque, restava solo l’ armadio, quando l’ aprirono restarono a bocca aperta nel suo interno c’ erano abiti di scena, colorati e pieni di merletti e paillette, in fondo nascosta bene c’ era una scatola contenente delle vecchie foto che ritraevano sempre Lucia in compagnia di uomini, fra queste ce n’ era una in particolare con su scritto: pi sempri tò Ruggero.
Oltre alle foto vi era un diario, Rosalia iniziò a leggere, c’ erano annotate le date che risalivano a molti anni addietro, sul primo foglio c’ era scritto: Stainnata pi mia jè statu u cchiù bel jornu di la meo vituzza, Ruggero mi havi rittu chi mi ama ma dobbiamo stari accura, guai si u venisse a sapiri miu patri.
Sulle altre pagine si continuava sullo stesso tono, era una grande storia d’ amore ostacolata dalle rispettive famiglie per una vecchia faida, fino a quando accadde qualcosa che cambiò completamente la vita di Lucia, così scriveva: aspetto ‘ n picciriddu, Ruggero jè scappato comu ‘ n cunigghiu, ù ora sunnu sula e disperata, miu patri mi havi cacciato ri casa comu ‘ na mala fimmina e havi proibito a tutti ri aiutarmi, macari mea matri nun havi potuto fari nenti si no cacciava macari idda.
Rosalia leggeva e rivedeva Totuccia sua madre, con la differenza che i suoi non l’ avevano mandata via di casa ma avevano nascosto l’ affronto. Lucia continuava sempre più disperata: haju fami, nuddu mi aiuta, a panza sta crescendo e nun so cchiù unni iri… Poi la svolta… scriveva: Don Calogero mi havi rittu chi mi aiuterà ma haju a fari chiddu chi mi dici…
Leggendo Rosalia capì che per allevare suo figlio, Lucia aveva dovuto prostituirsi nei locali più malfamati della città fino a quando era riuscita dopo aver racimolato un bel po’ di soldi a rifarsi una vita.
Rosalia chiese a Nino: ” Si havi sofferto tantu picchì mi fici chistu?” Nino non sapeva darle una risposta ma per conoscere tutta la storia bisognava leggere tutto il diario. Rosalia continuò nella lettura, ora le pagine si facevano più disperate, ne usciva fuori una Lucia che aveva dovuto fare i conti con la cattiveria delle persone, subendo ogni sorta di nefandezza, uomini che la usavano per il loro effimero piacere per poi disprezzarla. Don Calogero tenne Biagio con sé, considerandolo un figlio e come tale lo istruì per farlo diventare un suo successore nel male affare. Lucia per sopravvivere accettò qualsiasi imposizione di quest’ uomo potente e capace di tutto. Con la sua morte improvvisa, fu ucciso in un regolamento di conti fra bande rivali, lei si sentì finalmente libera di crearsi una nuova esistenza insieme al figlio ma la sua ombra non la lasciò nemmeno un attimo, Biagio era diventato simile a lui.
Nell’ ultimo foglio Lucia scriveva così: avirrì a voluto ‘ na vituzza diversi, faciuta ri niche cosi ma vissuta onestamente, ù ora nun so si potrò ancù ora guardarmi allo specchio sì enza vriù ogna ma ci proverò u stissu a attruvari a carusa chi sognava sulu l’ amore… Rosalia e Nino fecero appena in tempo a richiudere la stanza che arrivò Biagio con la sua solita aria da bullo, esclamò contrariato: ” E chi? Stasira nun si mancia?“
Nino gli rispose: ” To matri jé nisciuta, havi rittu chi ci sunnu gli avanzi do pranzo…”
Biagio ribattè: ” Chi storia jé chista? Quannu mai iu mi accontento ri chiddu chi jè rimasto, quannu torna mi sentirà.”
A quel punto loro si ritirarono nelle proprie stanze, lasciandolo da solo a borbottare. Da quel giorno Rosalia guardava Lucia in modo diverso tant’è che questa le disse: ” Rusalia picchì mi talii accussì para chi tu hai visto ‘ n fantasma…”
Lei rispose: ” Sapete, fì mmina Lucia, cì erti vù oti si pensa ‘ na cù osa supra ‘ na persona e poi si capisce chi si jè sbagliati…”
Lucia domandò insospettita: ” Chi vvoi diri?”
Rosalia cercò di rimediare: ” Nenti, nun ci fate caso sapete u duluri mi havi confuso a mente.”
Con il passare dei giorni l’ angoscia di Rosalia cresceva, non aveva scoperto nulla e il pensiero della figlia era diventato un’ ossessione, fino a quando una mattina che stava pulendo le scale in un palazzo poco distante dal suo, aveva ascoltato due donne che parlavano, una stava dicendo all’ altra: ” Hai visto chi bì edda picciridda jé nata ad Annuzza, era ‘ ncinta e mancu ri vedeva, poi duoppu assai anni ri matrimonio, cu l’ avrebbe rittu, va bé chi i vie do’ Signuri sunnu infinite.”
Rosalia nel sentire questi discorsi lasciò cadere il secchio pieno d’ acqua, le due donne indignate le dissero: ” Ma stati attenta pi na picca nun ci facivati i bagnu.”
Rosalia rispose: ” Perdonatemi nun so comu fussi potuto accadere para chi haju i mani ri pappa molla.”
Le donne se ne andarono e Rosalia si sedette sui gradini bagnati mentre avvertiva un desiderio improvviso, doveva vedere assolutamente la bambina di Annuzza, possibile che la sua bambina fosse così vicina a lei? E donna Lucia aveva rischiato così tanto da venderla ad una famiglia vicino al suo palazzo?
Più ci pensava e più l’ ansia cresceva, doveva togliersi questo dubbio atroce. Controllò tutti gli appartamenti per trovare quello dove c’ era sicuramente appeso un fiocco rosa, purtroppo invano, Annuzza non aveva appeso nessun fiocco. Questo avvalorava di più i sospetti di Rosalia, chi non avrebbe reso partecipe tutto il vicinato per la nascita di un figlio dopo tanti anni? Stava per andarsene quando sentì il pianto insistente di un neonato, non ci pensò due volte e bussò trepidante all’ appartamento da cui proveniva il vagito.
Una voce di donna rispose seccata: ” ‘ N momentu, ù ora apro…” Questa lasciò la porta socchiusa per non fare vedere all’ interno, poi chiese allarmata: ” E vuatri chi voliti?“
Rosalia trovò immediatamente una scusa: ” Sunnu a fì mmina chi lava i scale do’ palazzu vi volevo spiari si aviti bisù ognu pi fari i pulizie, sapete guaragnu picca jé nun jé fà cili iri avanti.”
Annuzza rispose: ” Picchì propriu a mia aviti chiesto?”
Rosalia disse: ” Haju sentito ‘ n picciriddu nicu cianciri e pensavo chi avirrì avu bisù ognu ri aiuto.”
Questa ancora più irritata chiese: ” E cu vi l’ avi rittu? Iu nun tegnu bisù ognu ri nuddu e ù ora andatevene… haju meo figghia da allattare.”
Rosalia disse: ” Vi saluto e vi fazzu i migliori auguri.”
Annuzza chiuse la porta senza ringraziare, lasciando Rosalia perplessa, il comportamento della donna non la convinceva. Da quel momento non ebbe più pace, ossessionata dal pensiero di vedere la piccola. Poi un giorno, mentre stava entrando nel palazzo, incontrò Annuzza che stava uscendo con la bambina, era l’ occasione che stava cercando, le si avvicinò guardando nel passeggino con il cuore impazzito, si ricordò le parole dell’ ostetrica: ” Bì edda comu u suli e i capiddi neri comu i vostri.” Era lei ne era sicura, era la sua Rosalia, con le mani che le tremavano le diede una carezza, e disse ad Annuzza: “ Chi bì edda, complimenti, jé veramente ‘ na bì edda picciridda.”
La donna le ritrasse la mano contrariata dicendo: “ Nun a toccate, nun u sapete chi i picciriddi nun si toccano ponnu pigghiari ‘ n saccu ri malattie…”
Così dicendo si allontanò velocemente borbottando: ” Ma talia chista, cu i havi datu u permesso ri tuccari meo figghia… nun haju cchiù farla avvicinari…”
Rosalia scossa da quell’ incontro era più che mai decisa ad affrontare donna Lucia, non avrebbe mai e poi mai rinunciato a sua figlia anche a costo della sua vita. Tuttavia si chiedeva come poteva fronteggiare tutto da sola, soprattutto lei, una donna considerata una poco di buono… chi sarebbe stato disposto a darle una mano? E soprattutto chi le avrebbe creduto? Inoltre non poteva più coinvolgere Nino, il quale era sempre più innamorato di lei e non lo voleva far soffrire. Nella disperazione più totale le venne in mente una persona considerata da tutti con rispetto e timore, un certo Don Vito, detto il Puparo, infatti si diceva che tutto passava dalle sue mani e che nessuno faceva qualcosa senza la sua approvazione. Sapeva che era una strada pericolosa da intraprendere e forse si sarebbe cacciata in guai più grossi ma si disse: ” U jocu vale a candela.”
Ma come arrivare a Don Vito? Si diceva che abitava in un luogo segreto, circondato dai suoi fedelissimi guardaspalle e che difficilmente permetteva ad estranei di disturbarlo… Scoraggiata si avviò verso casa, con l’ animo attraversato da mille pensieri e per la prima volta alzò gli occhi al cielo imprecando: “ Rici chi nun vvoi nuddu disperato e allura picchì mi lasci pi chiustu munnu a cianciri e soffrire, nun sunnu puru iu figghia to? “
Era quasi mezzogiorno, il cielo era terso e ciò permetteva di poter osservare i contorni innevati, delle montagne intorno, il freddo così pungente da penetrare nelle ossa, Rosalia rabbrividì e stringendosi lo scialle addosso, disse: ” Maronna, chistu friddu trasa macari nelle cù orna do’ bue…”
Intanto aveva appena imboccato una scorciatoia che faceva sempre per evitare le strade affollate per il Natale, quando le si avvicinò un ragazzino e le chiese: “ Si tu Rusalia? Don Vitu voli vederti…”
Rosalia facendo finta di non conoscere il mandante, rispose: “ Jé… cu jé costui e chi voli da me?”
Lui invece di rispondere, disse: ” Nun fate domande e venite doppu a mia…”
Lei titubante non si mosse quando questi continuò: ” Allura chi aspettate? Don Vitu nun ama a genti chi si voli fari pregare, nun siti vuatri chi aviti problemi da risolvere? E allura spicciatevi.” Rosalia si fece forza e lo seguì, pensando che per la sua età parlava già da adulto e un velo di malinconia le attraversò lo sguardo, considerando che forse non aveva nessuno che gli facesse una carezza e che la vita doveva avergli mostrato i denti troppo presto. Poi gli chiese come si chiamasse e lui rispose: ” Mi chiamu e nun mi chiamu ma pi vuatri sunnu sulu Pinuzzo…”
Pinuzzo camminava svelto, guardandosi intorno con il timore di essere seguiti, intanto Rosalia si chiedeva come mai Don Vito la volesse vedere, possibile che sapesse tutto? Quindi era vero che non si muoveva foglia senza che lui ne venisse a conoscenza. Arrivarono nella parte alta della città, infilandosi in una serie di piccole viuzze strette e maleodoranti per i cumuli di rifiuti davanti alle numerose pescherie della zona, questi erano assaliti dai gatti randagi alla ricerca di cibo. Rosalia si nascose il viso nello scialle, per il grande fetore… al contrario Pinuzzo sembrava non farci caso. Al loro passaggio alcune donne spiavano furtive dalle finestre chiuse e poi s’ allontanavano velocemente per paura di essere viste, Rosalia si sentiva come una preda braccata dai lupi, tuttavia nascondeva la sua paura dietro una finta sicurezza e camminava a testa alta, incurante di quegli sguardi sospettosi e indagatori.
Finalmente arrivarono davanti ad un cortile pieno di scatole di cartone, sembrava più un deposito che l’ entrata di una casa, Pinuzzu le fece strada dicendo: ” Venite e scansativi u scialle dalla tì esta pi segno ri rispì ettu, iddu nun sopporta i facce nascoste.” Rosalia ubbidì come una bambina, intanto sulla porta apparve Antonina detta Ninuzza, rigorosamente vestita di nero, dal viso grinzoso e dai tratti induriti, questa le si rivolse con freddezza tanto da metterla in soggezione: ” Finalmente arrivaste, a Don Vitu nun gli piaci aspettari.”
Così dicendo, l’ accompagnò su per una vecchia scala di legno che scricchiolava ad ogni gradino, ed entrarono in una piccola anticamera, poi la donna le chiese di attendere che avrebbe avvisato il padrone di casa, dopo qualche minuto uscì dicendole: ” Trasi..trasi…” E poi si dileguò.
Lui era lì, seduto accanto ad un caminetto dal fuoco scoppiettante, sembrava più un innocuo vecchietto che l’ uomo potente di cui si parlava, portava sulle spalle una mantellina di lana come usavano le donne ed in bocca una pipa di legno intagliato, aspirò profondamente il tabacco e poi si decise a parlare: “ E accussì tu si Rusalia, a fì mmina ri cui si parla tantu peri peri e ri cui si senti diri cosi strane.”
Rosalia cercò di mantenere uno sguardo fiero e rispose senza tradire le sue emozioni, per questa sua capacità di controllarsi, doveva ringraziare sua madre Totuccia, la quale le aveva insegnato a non far mai trapelare agli altri il proprio pensiero: ” Nun so cù osa vi hannu rittu e cù osa volete da me.”
Don Vito continuando senza cambiare espressione disse: ” Viu chi nun si sunnu sbagliati, si ‘ na fì mmina forti e fiera, si dici macari chi ti ficiru ‘ n bruttu torto, nun si toglie mai ‘ na figghia a la matri, jé ‘ n piccatu dell’ anima e cu si jé macchiato ri tale infamia deve fari i conti cu u Signuri e cu gli uomini. Avvicinati… e assettati ca, dobbiamo parrari…”
Rosalia comprese che don Vito sapeva tutto e poteva davvero aiutarla a riprendersi sua figlia ma aveva timore di cosa volesse in cambio. Il “ Puparo” si riaccese nuovamente la pipa, poi chiamò la donna che aveva visto prima, la quale apparve velocemente quasi che fosse rimasta ad origliare dietro la porta, e le disse: “ Ninuzza, porta ‘ n cafè ammantecato pi Rusalia e pi mia unu cu na pocu ri zammù (anice).”
Lei rispose: ” Comu comandate don Vitu…”
Rosalia si sedette di fronte all’ uomo e gli chiese: ” Ditemi cù osa volete sapiri.”
Lui rispose: ” Tuttu chiddu chi aviti scoperto.”
Rosalia gli domandò: ” Picchì mi volete aiutari? Cù osa volete pi cambio, iu nun tegnu sordi.”
L’ uomo sorrise, pensando che gli piaceva la risolutezza di quella ragazza, avrebbe voluto anche lui una figlia come Rosalia e non come quell’ inetto di suo figlio Gerlando, nato maschio ma con la fragilità di una donna. Tuttavia, per fortuna a dargli soddisfazione c’ era Pinuzzu, ufficialmente figlio di Antonina e di suo marito Mariano, ma che in realtà era nato in seguito ad una sua relazione clandestina con la donna.
Le rispose: “ E iu cù osa putì a vuliri da te? Nun sunnu cchiù nico e nun haju bisù ognu ri sordi, si vvoi sapiri picchì ti vogghiu aiutari jè semplice nun mi piaci cu tocca femmine e picciriddi, allura ti si convinta?”
Ad un tratto qualcuno bussò alla porta, Don Vito rispose: ” Ninuzza ti avì a rittu chi nun volevo è ssiri disturbato.”
Un uomo rispose: ” Papà sunnu iu Gerlando, ti haju parrari jé ‘ na cù osa urgente.”
Don Vito sentendo quell’ incapace del figlio si infastidì ancora di più e alzando la voce trasfigurò il viso dalla rabbia, tanto da sembrare un’ altra persona, atteggiamento che stupì molto Rosalia e ordinò: ” Vattene qualegghiè (qualsiasi cosa) jé, po’ aspettare… ù ora sunnu impegnato.”
Invece di andarsene Gerlando aprì la porta e vedendo Rosalia disse: ” Viriu viriu quantu siti impegnato, u lupu perde u pilu ma nun u vizio, ma nun vedete chi po’ è ssiri vostra figghia…”
Don Vito questa volta gli urlò contro: ” Ma cù osa stai dicendo bonu a nenti, vattinni, chi si no mi costringi a mandarti fù ora a calci…”
Gerlando rispose: ” Calmatevi me ni vaiu ma apprima presentatemi chista bì edda carusa…”
A quel punto vedendo quegli animi agitati Rosalia intervenne dicendo: ” Nun cc’è bisù ognu chi mi presenti qualcuno, sunnu Rusalia.”
Gerlando ammirato rispose: ” Vi fazzu i complimenti siti propriu ‘ na bì edda carusa.”
Don Vito spazientito disse: ” Uora vattinni…”
Gerlando fece un inchino ed uscì sbattendo la porta, il padre si rivolse a Rosalia e le disse: ” Allura mi vvoi diri o no?”
Lei gli raccontò quasi tutto ma si guardò bene da fare nomi, poi concluse chiedendo: ” Chi diciti mi putiti aiutari?”
Don Vito le chiese: ” Tu stai unni fì mmina Lucia, vì eru? A conosco beni Lucia da quannu era nica, e so tutta a so’ storia e poi havi ‘ n debito cu me e nun si a potuto scurdari, ù ora vattinni chi ti farò sapiri prestu…”
Poi chiamò: ” Pinuzzu… Pinuzzu vè ni ca e accompagna Rusalia nfinu a unni sai tu.”
Il ragazzino ubbidì senza ribattere e l’ accompagnò nello stesso vicolo dove l’ aveva incontrata, la salutò e sparì velocemente.
Rosalia ritornò a casa piena di speranza, quando salendo le scale del palazzo sentì delle urla provenienti dalla casa di donna Lucia, allarmata affrettò il passo, trovò l’ uscio di casa aperto, Biagio era fuori di sé inveiva contro la madre con parole sprezzanti: ” Tu si stata e resterai sempri ‘ na mala fimmina, ù ora si fa comu dicu iu…”
Poi si voltò e si accorse della presenza di Rosalia e si scagliò anche contro di lei: ” Tu si di la stissa pasta, ‘ na picca ri bonu!”
E spingendola di lato se ne andò. Donna Lucia aveva sul viso i segni della violenza del figlio, il labbro spaccato ed il sangue che le usciva dal naso, Rosalia si avvicinò per aiutarla ma la donna si scostò, poi d’ improvviso scoppiò in lacrime ed evitando di guardarla in faccia le disse: ” U Signuri mi jè testimone, iu nun volevo farti do’ mali, sunnu stata costretta a farlo si no, miu figghiu mi avirrissi ucciso, iddu ni jé capace, jé tale a quel farabutto, pace all’ anima so’, ri don Calogero.”
Rosalia trepidante le chiese: ” Ri cù osa stati parrannu fì mmina Lucia? Quali torto mi aviti fattu?”
Lucia sempre più disperata confessò: ” To figghia nun jé morta, sulu jè nata l’ abbiamo data a ‘ na fì mmina chi nun poteva aviri figghi, Biagio l’ avi venduta pi assà i sordi e poi cu a complicità dell’ ostetrica e do’ medico avemu inscenato u funerale. Ma credimi iu nun volevo, so cù osa vuol diri penare.
Rosalia la guardò con disprezzo e le disse: ” Uora ditemi dov’ jè meo figghia si no vi ammazzu iu.”
Lucia rispose: ” Hai raggiuni chi mi odi, ma si vvoi to figghia mi a stà ri a sì entiri Biagio jè pericoloso e sarrissi capace ri farla scumparì ri pi sempri…”
Poi sempre più provata le disse: “ A picciridda sta beni e nun jè lontana.”
A quel punto Rosalia con la voce diventata quasi un grido le chiese: ” Jè a figghia ri Annuzza, vì eru? Jè accussì, ditemi.”
Visto che Lucia non rispondeva le disse: ” Si vuatri aviti paura don Vitu nun ni havi…”
Nel sentire quel nome Lucia sbiancò come un cadavere e le chiese: ” E tu comu u conosci a don Vitu? Chiddu jè u diavolo pi persona… chiddu nun fa nenti pi nenti.”
Rosalia la interruppe con foga dicendo: ” A mia nun jè sembrato e nun voli nenti in cambio…”
Lucia capì che Rosalia aveva già scoperto tutto da parecchi giorni ed era stata talmente brava, da non far trapelare nulla, nemmeno a lei abituata ai sotterfugi ed alle menzogne. Capitolò di fronte a quella ragazza piena di dignità e fermezza e ammise la verità, che la figlia di Annuzza, in realtà era la piccola Rosalia, sua figlia. Rosalia ebbe un capogiro per la forte tensione e dovette appoggiarsi al tavolo per non cadere per terra, poi disse: ” Uora vaiu a la staziù oni r’ i carabbineri…”
Lucia sentendo la sua decisione la implorò di non farlo, dicendole: “ Senti a mia, pi u beni ri to figghia, jé megghiu chi i carabbineri stanno lontani da chista storia, pi natale to figghia sarrà cu tia, tu giuru.”
Nonostante tutto Rosalia sentiva che donna Lucia era sincera, o almeno lo era in quella occasione, così volle darle fiducia e le rispose: “ Va beni mi vogghiu firari ri vuatri, ma attenta si sbagghiate chista vù ota a pagherete cara.”
Dopo questa accesa discussione Rosalia sentiva il bisogno di parlare con qualcuno di cui si poteva fidare, ma l’ unica persona era Nino che purtroppo era ritornato per qualche giorno al suo paese. Così si chiuse nella sua stanza nella più cupa solitudine, con il cuore e la testa in tumulto, ansiosa di poter riabbracciare la sua piccolina. Quella sera si respirava un’ aria strana in casa, donna Lucia si era chiusa in un forzato mutismo, gli altri ospiti a mala pena si rivolgevano la parola, Biagio era sparito dal pomeriggio ed ancora non era ritornato facendo preoccupare la mamma, che dopo tutto amava lo stesso quel figlio ingrato e violento.
Cenarono insieme come al solito ma senza Biagio, quella fu una delle tante sere che si susseguirono, senza la presenza del ragazzo, il quale sembrava essere stato inghiottito dalla terra. Lucia piombò nella più profonda disperazione, si parlò di lupara bianca ma non si seppe mai in realtà quello che accadde al figlio. Invece Rosalia non passava giorno che non domandasse alla donna notizie della sua bambina. Lucia la rassicurava dicendole che presto avrebbe risolto tutto mentre in realtà non sapeva come fare, soprattutto ora che Biagio era scomparso. Inoltre, era sicura che con la sua sparizione c’ entrasse Don Vito e questo non era affatto rasserenante, tant’è che decise di andare a parlare proprio con lui.
La mattina seguente uscì di casa che era ancora buio, per fortuna le strade erano ancora illuminate dalle luci di Natale, Lucia camminava con passo deciso verso l’ abitazione del Puparo. Entrò nel cortile senza alcuna esitazione, lei era abituata ad affrontare situazioni rischiose e non aveva paura di nessuno. Bussò alla porta insistentemente, finalmente Antonina venne ad aprire e riconoscendo Lucia le disse: ” Fì mmina Lucia, comu mai ca a quest’ ora? Haju saputo ri Biagio, mi dispiace assai… ma nun ri seppe nenti? “
Lucia rispose: ” No… Ninuzza, pi chistu sunu ca, haju parrari cu don Vitu.”
Ninuzza le disse: “ Vuatri u sapete megghiu ri me, nun si po’ disturbare a don Vitu sì enza apprima avvertire.”
Allora Lucia disse: “ Glielo putiti diri chi nun me ni vai uri ca sì enza chi ci hai parratu.”
Ninuzza continuò: “ Vi haju rittu chi nun pozzu, fatemi u piacì ri ri andarvene…”
E cercò di chiudere la porta, ma Lucia svelta la bloccò con un piede e gridando disse spingendola: ” Lasciatemi passari si no ca finisce mali.”
Ninuzza a quel punto si mise a chiamare: “ Turiddu… Binuzzu… Venite ca cc’è ‘ na fì mmina chi voli trasiri a fù orza.”
I due uomini accorsero velocemente in aiuto di Antonina, quando sentendo tutto quel baccano Don Vito gridò: ” Ma cos’ jè tuttu chistu casino nun si po’ mancu ruormiri pi chista casa ri pazzi.” Lucia rispose: “ Don Vitu scusatemi ma sunnu iu fì mmina Lucia vi haju parrari…”
Lui ordinò ai suoi fedelissimi: ” Lassatila passari, cù osa mi po’ fari ‘ na fì mmina.”
Quando le fu davanti l’ uomo le si rivolse con sarcasmo: “ Possiamo togliere fì mmina, vì eru? Nuatri ci conosciamo beni, nun jè accussì… Lucia?
Le si avvicinò talmente vicino che sentiva quell’ odore forte di tabacco che la faceva stare male e le ricordava quando le metteva le mani addosso procurandole il voltastomaco. Cercò di non far vedere il forte disagio che provava in sua presenza e rispose: ” Nun sunnu ca pi riurdari i vecchi tempi chi do’ resto vulissa livari cu ‘ na spù onza, ma si vuatri sapete qualcuosa ri miu figghiu Biagio?”
Don Vito sorseggiando lentamente un caffè le chiese: ” E iu picchì dovrei sapiri unni s’ attrova Biagio?”
Lucia lo conosceva bene e sapeva che stava mentendo, infatti quando non diceva la verità, contraeva la mascella, stringendo i denti e così fece in quel momento. Non si perse d’ animo e gli disse: “ Don Vitu, propriu picchì ci conosciamo beni, so chi vuatri siti n’ o mì enzu ri chista laria storia…”
Lui restò in silenzio per alcuni interminabili minuti, poi si accese la pipa ed urlò: ” Ninuzza… Ninuzza jé accussì chi si trattano gli ospiti? Spicciati e porta ‘ n cafè a fì mmina Lucia.”
Lei disse: ” Non vi scomodate nun vogghiu nenti, sulu notizie ri miu figghiu.”
Don Vito continuò: “ E iu vi ripeto chi nun so nenti ameno chi… vuatri date ‘ na cù osa a mia e iu a do a vuatri.”
Lucia rispose: “ E iu cù osa pozzu aviri chi vi interessa tantu…”
A quel punto il viso del Puparo si contrasse in una smorfia di rabbia e guardandola dritta negli occhi le disse: “ Vogghiu a picciridda e subito, ci semu capiti? Lucia, nun jè accussì?”
Lucia sapeva bene che era inutile far finta di non capire di cosa stesse parlando, il Puparo era al corrente di tutto quello che succedeva intorno, aveva informatori dappertutto, così non le restò altro che rispondere: “ Nun jè fà cili, a fì mmina chi havi a picciridda nun a voli cchiù rari in arrì eri a la mamma.”
Don Vito disse: “ E Lucia… Lucia nun u sapivi chi i picciriddi nun si toccano, comunque cu a signura ma viriu iu.”
Impaziente lei disse: “ Iu vi haju rittu chiddu chi volevate sapiri, ù ora ditemi ri miu figghiu.”
Lui con freddezza sentenziò: ” O paì si miu cu sbaglia paga, nun jè vì eru fì mmina Lucia?” Lei si tappò la bocca per non urlare poi gli chiese:” Pi amuri do’ celu cù osa gli aviti fattu? Nun jè colpa so’ si jè diventato chiddu chi jè diventato, u piccatu ci l’ avi all’ anima don Calogero…” Nel sentire quel nome, il Puparo si fece il segno della croce e replicò: “ Muta a stari, i morti nun si nominano pi chista casa… chi u Signuri l’ abbia pi gloria.” Poi continuò: “ To’ figghiu più ora sta beni… più ora a patto chi tuttu torni o suo posto, ci semu intesi? E ù ora vattinni chi mi hai stancato cu i toi chiacchere.” Lucia abbassò la testa senza ribattere e si avviò verso l’ uscita, mentre ritornava a casa pensò che la sua vita era stata tutta un grande sbaglio, la sua debolezza l’ aveva portata a cadere nelle grinfie di don Calogero, invece di avere il coraggio di prendere suo figlio e andarsene lontano per rifarsi un ‘ esistenza tranquilla, così le venne in mente Rosalia così fiera e piena di dignità e a quel punto scoppiò in un pianto dirotto. Decise che era arrivato il momento di riscattare la sua infelice vita, doveva fare qualcosa di cui poter finalmente sentirsi fiera, ed era quello di restituire la piccola Rosalia a sua madre subendo tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate.
Invece di tornare a casa, si diresse verso il palazzo dove abitava Annuzza, fece le scale con il respiro smorzato dall’ ansia, tanto che dovette fermarsi a riprendere fiato, poi bussò impaziente alla porta, ma non le venne ad aprire nessuno, ribussò inutilmente più volte, alla fine uscì sul pianerottolo Nuccia, la vicina di casa che le disse: ” Jè inutile chi tuppuliari (bussate) nun ci sta cchiù nuddu, sunnu partiti comu i ladri di notte, e nuddu sa unni sunnu andati.” Nel sentire queste parole Lucia si sentì mancare tanto che Nuccia le chiese: ” Fì mmina Lucia vi sentite mali? Entrate a casa meo chi vi do na pocu d’ acqua.” Lei bianca come un cencio rispose: ” Jè passatu vi ringrazio, ma nun sapete propriu nenti unni sunnu andati?”
Nuccia la guardò con furbizia e sottovoce le disse: “ u nun vi haju rittu nenti, ma si dici chi andarono o paì si di la matri ri idda.”
Lucia conosceva bene la famiglia di Annuzza e sapeva di quale paese stesse parlando Nuccia, un po’ risollevata tornò a casa. Doveva parlare subito con Rosalia, la trovò nella sua stanza che stava accarezzando una copertina di lana fatta da lei per la sua bimba, Lucia si sentì stringere il cuore nel vedere quanto dolore aveva procurato, poi si fece forza e le disse: “ Rusalia, spicciati dobbiamo pà rtiri, Annuzza purtau via to figghia e iu po ì esseri so dov’è.”
Rosalia affranta chiese con voce stridula: ” Unni l’ avi portata, povera picciridda meo, sempri cchiù lontana dalla matri.”
Lucia la incitò: “ Nun perdiamo à utru tempu, annamu…”