Pinsquilli e pisquilli... Storiella raccontata
Nessun richiede oramai poesie,
eran succhi di miele da sorseggiare per alleggerir il cuore, come ferite si son rimarginate
rimanendone solo la traccia,
la cicatrice mia non è mai guarita è rimasta aperta dentro una bestia affamata,
erigo un verme che preme fra lo sterno e lo stomaco,
cerca pane per i suoi denti, vuol saziarsi di parole scritte
oggi ha deciso vuol farsi un giro, quel piccolo vermiciattolo, ed io lo accontento
ci fermiamo in una stazione abbandonata,
poi nei sottopassaggio di una metrò e negli argini più
sporchi e burberi dove, droga furti puttane e ladri son come topi da fogna,
ritroviamo là... la poesia dimenticata
son vite raccontate, fuggitivi personaggi da favola inventate,
schiava della bestia e di quel verme dentro me,
mi trascina a cercare ancora,
son solo la sua ombra dietro lui,
meschino buio, ritrovare i sogni perduti
sono incurvati come ramoscelli rinsecchiti sull’ ingenuità perduta,
spaventosamente distante anni luce
son polvere di treni su binari anneriti di carbone,
trapezi di tetti in una piccola tela bucata, ed una barca di carta piegata a dovere va...
oltre l’ immaginario
proteggo i fantasmi, son ceneri di pianti smorzati
da occhi trasparenti e vuoti,
eccole le prime facce un film alla moviola passano davanti,
un ciclista pedala tutto sudato,
ha fretta di arrivare al traguardo,
chissà dovè sta la scritta fine,
una donnina anziana col passo lento e il carrellino, avrà i soldi per far la spesa?
un uomo sul tram con lo sguardi cupo e pensieroso, cosa penserà mai,
alle bollette da pagare e un bimbo sorridente con la mamma,
c’è pur un mendicante che zitto zitto
rimescola i sacchetti dell’ immondizia, come un cane in cerca di cibo
e dei signori scendono da una macchine di lusso,
la lor vita di ricchezze han tappano loro gli occhi,
non guardano più oltre il loro naso, un profumo di buono si annusa nell’ aria,
il panettiere è dalle tre di mattina che impasta e sforna pane
il sacerdote a far messa, ed il netturbino spazza la strada dalle foglie secche,
così si ripete ogni mattina, un terra pieno di sequenze tutti in movimento,
le sali d’ attesa tanti troppi malati e gli ospedali stracolmi,
son caratteri scritti in calce timbrata
sfogliar l’ album a caratteri cubici su una foto nera sbiadita,
leggerne cognomi e nomi di proprietari di quei tanti palazzi fantasmi,
chi saranno mai questi e la lor vita cosa fanno,
non li conosceremo mai, ognuno con la lor pagina di racconto,
perduti nell’ umanità dell’ immenso mare rivengo rapita da una coppietta in fondo al cortile,
son seduti su una panchina sbucciano con mani tremolanti un’ arancia rossa,
vien divisa in due con garbo, odorano di passato quei vecchietti
il figlio lontano, saran sposati da secoli, si guardano e si sorridono ancora,
asciugano le lor ossa al sol d’ aprile, sarà un pensiero messo, tutti corrono non si fermano mai,
ma dove corrono, dove vanno, attaccati ai cellulari
per andar dove chissà, come vecchia carta da macero, un oligamo sarà la vita quotidiana
ci sfugge di mano in un foglio di giornale metton le bucce e vanno via
nel pan di zenzero son rimasti ad ascoltare un’ unica lor musica,
la calma con l’ amore aspettano uniti il loro vivere ancora, tradendone candore la vita
ci fa dimenticare con la sua troppa voracità
Un uccello dormiente non lo sentirai mai fischiettare all’ alba,
in una boscaglia di fumo anneriranno le immagine sfogate
non suonerà mai un pianoforte senza i suoi tasti e senza ali
la colomba non spiccherà più il volo e resterà a terra per morire
il silenzio del mattino non avrà la sua aurora
un saluto
un sorriso
una parola
una gentilezza
prego grazie
ciao buon giorno sarà preghiera per chi l’ accoglie
e lo fa tutti
ne abbiamo bisogno
il verme ormai è stanco e la bestia tace
vuol dormire un pò e buona notte ai suonatori