Katherine sapeva di essere una giovane e promettente scrittrice, ma questo non l’aiutava.
A scuola quando le si presentava un tema da svolgere, sapeva immancabilmente come cominciare, come riempire la pagina vuota, come colorare quel bianco lattiginoso con l’inchiostro luminoso delle sue percezioni.
Eppure questa sua attitudine non era ben vista dai suoi coetanei che, un po’ per invidia e un po’ per timore di questo suo stravagante talento, la schivavano come un’appestata, evitando accuratamente persino di farsi passare i compiti per scongiurare un’eventuale possibilità di contagio.
La sua indole remissiva, introversa e taciturna le aveva fatto guadagnare l’appellativo di “Shady Lady”, ma proprio in virtù di queste sue caratteristiche, aveva sviluppato la capacità di interiorizzare tutto ciò che il suo cuore fosse in grado di fagocitare.
Intimamente Katherine si paragonava ad un ruminante che, una volta ingurgitata una mandria di pensieri, non si limitava ad inghiottirli ma, rimuginando, li rigurgitava posticipandone l’assimilazione per meglio digerirli.
La sua bravura non consisteva tanto nella narrazione in sé, quanto nel trasporto con il quale ammantava le sue avvincenti creazioni, rendendole uniche nel loro genere. Sapeva evocare atmosfere surreali ed amalgamarle con sprazzi di oggettiva e tangibile fondatezza, tali da renderle naturalmente credibili; era capace di conferire quell’aura di mistero propria di chi sa cosa serve al lettore per affrancarsi da ciascuna pagina e per renderlo infine schiavo di quella successiva.
Questo era il mondo di Katherine, un mondo fatto di desideri e di illusioni, dove il confine tra il reame della fantasia ed il territorio della concretezza era marcato dal profumo effimero di un sogno, dove lo scorrere del tempo era scandito dal battito ritmato del suo cuore: uno scrigno inviolabile all’interno del quale il segreto della sua pregiata dote era gelosamente custodito.
Nessuno era infatti a conoscenza della sua breve ma intensa esperienza d’amore, capitolata tra le braccia di un’incomprensione, al termine della quale Katherine era diventata esageratamente sensibile alle folate di ventosa irrequietezza ed anche la più pallida osservazione che potesse in qualche modo rammentarle la vicenda, poteva adombrare con il gelo del rimpianto, la primavera del suo cuore.
Ecco dunque svelato l’arcano: laddove i suoi sentimenti si prosciugavano nella carestia di quella gioia solare che solo l’amore sa irradiare, contestualmente la sua prosperosa vena artistica s’accresceva, attingendo sostentamento alla snervata fonte di sgradevoli e sapide emozioni.
Irrefrenabili lacrime malinconiche solcavano il viso contrito di Katherine, facendosi strada sulle righe rigorose del foglio, per straripare in dirompenti laghi di pianto, annacquando la storia d’amore che andava affogando sotto le sue stesse parole.