Il Signor Carlo era un uomo di mezza età, reduce in qualche modo dall’ultima guerra contro l’Austria, sì... quella che portò all’unificazione e alla proclamazione solenne del Regno. Non che avesse rischiato grosso, insomma.... Del resto, in merito a un po’ di danaro derivato da una sua piccola attività nel commercio, egli prestò un comodo servizio presso un vecchio comandante, uno di quelli - pienamente Piemontese e fiero di esserlo - che osservavano le battaglie dalle tende o da qualche riparata altura. Niente da temere! Eppure, nel corso della guerra, Carlo aveva racimolato una bella somma di debiti... debiti di giuoco, intendiamoci bene, di quelli che si fanno con la peggior specie di uomini; e in merito a questa gravissima prodigalità, una volta tornato dai campi di battaglia, dovette fronteggiare la crisi della sua attività. E della sua vita!
La moglie, una donna abbastanza sveglia e informata del mondo tanto da non credergli, comprese fin da subito che quelle somme prese da lui dal patrimonio di famiglia e date ora a questo sergente, ora a quel carabiniere, ora questo, ora a quello non erano affatto dovute alle normali spese militari.... "Normali spese militari?" chiedeva tra sé sbigottita osservando scetticamente il marito. "Ma da quando un soldato paga per andare in guerra?!". No! Il suo caro Carlo stava mentendo, le teneva nascosto qualcosa e, probabilmente, la stava perfino burlando. In fin dei conti, diciamocela, ella era di umili origini, mica come lui che, al contrario, vantava un piccolo titolo nobiliare e una zia ricca... macché, ricchissima. Chi lo avrebbe saputo? Forse egli pensava che, essendo stata una bovara sur di qualche vetta della valle, ella potesse benissimo cascarci... crederci e, ovviamente, sborsare.
"Tu... tu, non mi fai queste cose!" brontolò la moglie dopo cena "Tu non me la racconti mica giusta, sai?.... Che? Credi che io sia una mentecatta?".
"Ma insomma, cara... sono cose che vanno pagate!" rispose lui, asciutto... asciutto, con qualche gocciola di sudore accennata sulla fronte, e con un certo rossore in volto.
"Quali cose?!.... Adesso si paga per correre il rischio di pigliarsi una palla in fronte!.... Bravo... bravo il mio soldato! Un vero cavaliere... che prende in giro la moglie e il suo onore. Bravo!".
"Calmati... ti prego.... Insomma, devi sapere che c’è il medico... il...".
"Il medico un corno!" sbottò la donna "Quale medico del diavolo?!.... Ma se non hai nemmeno un piccolo taglietto e mi sembra che tu sia stato bene... benissimo, a non far niente... lontano da cannoni e carabine!.... Bravo! Infinocchiami pure, tanto poi vengo a scoprire tutto.... Nel frattempo, te lo scordi: io non sborso".
"Ma, cara, Elisabetta cara, se non sborsi, finisco nei guai!".
"Che? Ti hanno sorpreso a fartela con il Tedesco?.... Bravo! Continua così!" ansimò la moglie e dopo un breve silenzio disse: "Allora? Vuoi dire quella sporca verità?".
"Ah ah! Dunque pensi che tuo marito sia un bugiardo?".
"Come se tu non avessi mai raccontato menzogne!.... Andiamo! Fuori la verità... o fra poco arrivano gli schiaffi!".
Carlo rimase un po’ sorpreso di queste parole. Infatti, era la prima volta che la moglie gli stesse rinfacciando delle menzogne... di essere uno sporco bugiardo - e purtroppo per lui, lo era davvero! - così come era la prima volta che lo stesse palesemente minacciando di dargliele di santa ragione. Poverino lui! Tra sé e sé pensava "Dammi pure questi schiaffi... e poi vedi!". Quante volte, del resto, aveva sentito parlare di uomini onesti, onorevoli e rispettabili che sapevano conciar per le feste le proprie mogli al momento giusto... qualcheduno, a quanto pare, usava perfino il bastone. Ma quella sera, osservando la sua donna, aveva quasi soggezione, una marea di rimorsi... la coscienza gli gridava furiosamente "Ella ha ragione! Te li meriteresti i mille schiaffoni che ti potrà dare!"... e se ella gli avesse alzate le mani, egli si sarebbe lasciato farsi picchiare. No! Non c’era altra soluzione: o le si diceva la verità, o si andava da qualche altra parte a questuare danaro.
Da qualche altra parte! Ma certo! La zia... la vecchia e ricchissima zia!.... Questa signora, tra l’altro, in quel periodo, si trovava nella sua villetta - la sua residenza estiva, diceva lei! - tra il villaggio di O. e quello di D. Bastava aspettare mezza giornata, presentarsi il giorno dopo di meriggio e chiderle la grazia di avere una sommetta... niente di che, solo qualche migliaia di lire per saldare tutti i debiti e liberarsi dei creditori... quegli strozzini! una volta per tutte. Certo! anche a lei non poteva dire la verità. Povera zia se la avesse detta! Cattolica com’era, sarebbe svenuta - o peggio - quando avesse conosciuti i giuochi d’azzardo, le ubriachezze, la mancanza di ogni contegno del miserabile, scemunito nipote... un nipote diggià contestato e contrastato dal fatto del suo sposalizio con una povera bovara. Mica come l’altro... quello che viveva a Milano, un gran signore, un vero politico... il futuro del Regno, un grande uomo che intratteneva relazioni con Manzoni, la Maffei... con Verdi.
Era sera... nel cuore del tramonto. La zia aveva detto a Carlo di tornare di sera... almeno, così egli credeva di ricordarsi perché, alla fine, la vecchia donna era così loquace, così noiosa e pedante che egli non aveva per niente fatto caso alla maggior parte delle parole da lei pronunziate. La classica vecchietta di una famiglia abbastanza prestigiosa, per certi versi abituata a quel mondo oramai spento dove ci si mettevano le parrucche in testa, i nei finti... ci si incipriava il volto.
Da una finestra, quella che dal salotto dava al piccolo giardinetto di montagna, e un po’ al vicino roccioso precipizio, veniva fuori un fioco lume di candela... o di lanterna, il quale prestava diggià a tutto il luogo una parvenza spettrale... cimiteriale, un biglietto di visita con su scritto "Qui abita una vecchia signora prossima alla morte".Carlo oltrepassò il cancello, rimasto aperto dal pomeriggio... strano, no? Di solito la zia lo chiudeva sù bito, ovviamente da sé. Mica si portava dietro i servi nelle sue vacanze! Era così orgogliosa che pensava a fare tutto da sola, e non voleva mai nemmeno il più minimo degli aiuti: doveva dimostrare di essere ancora in vena, no? Non di essere una vecchia, decrepita e consumata signora reduce di un’epoca tramontata e per sempre finita.
In ogni caso, il miserabile nipote andò alla porta e bussò forte, conscio del fatto che la zia era quasi del tutto sorda, tanto che con lei bisognava urlare per farsi sentire. Niente! Bussò ancora più forte, la chiamò anche gridando. Ancora niente... silenzio assoluto! A Carlo salì dunque un’angoscia profonda, oscura, un senso di smarrimento e di paura... quasi una terribile e ben radicata nausea, e iniziò a provare freddo... freddo dappertutto, ovunque... scosse di gelo glaciale alla schiena, alle membra... le gambe gli tremavano... pur non sapendone la cagione, voleva tornare indietro, andare a casa... inginocchiarsi alla moglie e dire tutto, confessare di aver scommesso, giuocato d’azzardo con i peggiori soldatacci di tutti i tempi... chiedere una grazia, un po’ di compassione, e... naturalmente, un po’ di lire. E tutto questo stato d’angoscia irruppe ancora più tempestoso quando egli osservò come la porta fosse rimasta aperta, così... come l’aveva lasciata di meriggio, dopo essersi congedato. Oh Cielo! La zia non chiude più la porta! è così vecchia? Così prossima al suo fato estremo? Che fare?
Carlo spalancò la porta, ed entrò. Immediatamente l’assalì un lieve ma diggià accennato fetore di vecchiaia e di marciume, misto a qualcosa di acre... di aspro, sì... di ferreo, come sangue. Corse velocemente in salotto e qui, si spaventò.
Infatti, la zia giaceva a terra, sul pavimento, morta da ore... il volto era tumefatto, come se fosse stata presa a pugni, il labbro era rotto e sanguinante... e i lineamenti... gli sguardi, che sguardi! I suoi occhi sembravano infissi in quelli dell’assassino, e parevano lo supplicasse... lo implorasse di aver pietà. Erano occhi aperti, tristi... pieni di pianto, di stupore dinnanzi a tanta violenza. Carlo si lasciò andare, cadde per terra, sulle ginocchia; abbassò il capo, fece un impacciato segno di croce, e piangendo, restò così per molto tempo, forse per ore. Poi, tutto d’un tratto, si alzò e si guardò intorno. Strano! Era tutto come lo aveva lasciato. Tranne che due seggiole, le quali erano state rovesciate, probabilmente dal disgraziato che fece così tanto male... che compì questa azione abominevole e gridante vendetta di fronte a Iddio, ogni cosa era rimasta lì dov’era appena prima che di meriggio il nipote se ne fosse andato via: i mobili... il tavolo; le due tazze di Té sopra di questo... i biscotti. Molto... molto strano, davvero! E Carlo osservò perfino che nella tazza della zia c’era ancora del Té e, spezzato e caduto sul piattino sottostante, c’era un biscotto di cui la metà galleggiava resa in putrida poltiglia nella bevanda. No! il nipote non resse... gli venne una nausea così profonda che, per non star male, cercò nelle sue vesti una fiaschetta di odori e se la mise sù bito al naso. Povero lui!
Inoltre, una marea di pensieri e di ragionamenti gli piombarono addosso, lasciandolo in preda a migliaia e migliaia di macchinazioni e di ipotesi, e annebbiandogli la mente sul da farsi... facendo di lui un uomo inerme, fermo... immobile. Pensava, infatti, che se tutto in quel salotto fosse rimasto davvero così come lui lo aveva visto, se la zia se ne fosse stata a terra, a giacere così tumefatta, e se ci fossero stati sul tavolo quella tazza, quel biscotto e quel putridissimo Té, ciò avrebbe significato per forza che l’assassino, al momento del suo congedo, era in casa, o nel giardino... doveva essere nascosto da qualche parte, pronto a colpire. Forse era un poveraccio... passato di lì per caso: vede un cancello aperto, vede proiettate alla finestra del salotto due ombre che parlano, si nasconde, cerca di origliare... arriva a sapere che lì abita una vecchietta ricchissima... aspetta il momento giusto e poi... sì, ma quale crudeltà! A pugni! Non con un pugnale, non con una pistola... o una carabina... a pugni! A questo punto, Carlo iniziò ad andare a vedere nei cassetti de’ mobili, a frugare sotto le tovaglie, i tovagliuoli... le posate... a vedere se l’assassino aveva appunto portato via del danaro. Lo sanno tutti che le vecchiette nascondono le lire in tal guisa!
"Ma che sto facendo!" esclamò tra sé il miserabile, fermandosi nel frugare "Non è affar mio... non debbo finire ne’ guai.... Che fare, però?".
De’ passi si sentirono provenienti dall’atrio, o almeno, così egli credeva.... Tacque, il suo sangue raggelò.... Udì la porta aprirsi. Diavolo! "Qui c’è ancora qualcheduno". Egli si scuote... corre a un cassetto... sente un rumore che proviene da fuori, nel giardino, come d’uno che stesse fuggendo aprendosi varchi tra rami, fiori e rovi... raggiunge il contenitore di una vecchia pistola, la carica... alza il cane.... C’è un’ombra nel giardino... un’ombra furiosa che da un cespuglio, da una siepe, si alza, si erge contro di lui... lo fissa... lo fissa bieco, è irridente... alza i pugni come minaccia. Carlo spara.
La finestra del salotto, allora, si frantumò in milioni di piccoli pezzi, emanando nell’eco uno spaventoso rumore di vetro rotto e di onnipotente tuono... tuono adirato, proveniente da Iddio... il fulmine della vendetta e della Giustizia. Peccato che là, nel giardino, non vi fosse nessuno! Carlo con cautela andò a osservare dal davanzale... non prima di aver ricaricata l’arma - era, infatti, una pistola del periodo napoleonico, o giù di lì. No! Nessuno. Eppure aveva sentito de’ passi, aveva udita la porta... e poi, aveva vista quell’ombra irridente.... No! Qualcheduno stava facendo il furbo... lo stava portando a impazzire... qualcheduno abile nel farsi credere uno spirito demoniaco, crudele... un fantasima assassino dei poverelli; probabilmente qualche rivale della zia - e ne aveva! - o nemico suo. Ahimé! In un solo attimo, si figurò perfino che fosse uno de’ suoi aguzzini, dei creditori, che lo aveva trovato... aveva sentito e intuito che la zia lo avrebbe aiutato e così, pensò di agire per bene, per metterlo nei guai, per farlo star male... forse per ucciderlo. No! L’idea era stolida e non poteva reggere... e non era nemmeno un incubo.... Lì, tutto era vero.
Ora, però, Carlo notò sur d’una sedia una lettera che, secondo quanto ricordava non c’era... una lettera aperta... e lasciata lì, come se fosse cagione di dolore e di disperazione. La prese e la lesse. Semplicemente il nipote di Milano si scusava con la zia circa il fatto che per le prossime settimane non sarebbe riuscito a venirla a trovare perché impegnato in certe questioni politiche e parlamentari, inerenti al nuovo governo a Torino. Mah! Carlo aveva letto de’ libri in merito... di quelli che andavano di moda in Inghilterra e oltre oceano, e che parlavano di assassini. Chissà, forse il colpevole era il cugino milanese... quel ricco egoista e prepotente! Forse voleva affrettare il momento dell’eredità, e così ideò la lettera, l’espediente.... No! No! "Questa è demenza!" asseriva Carlo, "lo sto accusando semplicemente perché lo disprezzo!".
Ma che fare, adesso?.... Non si poteva per niente far finta di nulla, andare per il prete, far benedire la cara salma e finirla così... anche perché nessun parroco sarebbe stato così sbrigativo da non farsi due domande in merito a quello stato della defunta. Bisognava scendere immediatamente in città, a quest’ora! in piena notte! e informare l’autorità. E se vi fosse in giro un assassino sanguinario? Meglio avvertire sù bito... e meglio scendere armati. Così Carlo tenne ben stretta la pistola, prese il suo astuccio, tutto il necessario per farla funzionare per bene... evitò di toccare altro, uscì dalla villetta e si diresse verso la città, dove in lontananza, tra le brume delle montagne e della valle, si intravedeva il campanile secentesco della Madonna del Sangue.
Mai fatto un sentiero di notte... mai affrontati i sentieri, i dislivelli... le rocce, e tutte quelle piccole insidie della natura di montagna... e specialmente, mai entrato ne’ boschi notturni! Carlo era tale, e appena inghiottito nella stretta d’una selva alpina, con i canti lugubri delle civette, e tutti gli altri versi animaleschi e rapaci, si sentì invaso e minacciato da presenze inumane... spettrali... sicuramente demoniache. Si sentiva trascinato interiormente da una forza potentissima e sovrumana, una possa da Inferno, prepotentemente insistente e baldante... trascinato da qualche parte... sì, ma appunto, dove? Ogni volta, ogni istante, gli pareva di sentire de’ passi altrui farsi avanti insieme con lui... una presenza d’un qualche Dimonio o giù di lì... forse della Morte stessa... di quell’ultima estrema fatalità che, non paga della zia, voleva fors’anche il nipote.
Allora un mondo di superstizioni e di fantasie crudeli e mal represse gli si faceva avanti, lo avvolgeva... e anche di Fede, la voce d’Iddio che lo giudicava e lo condannava per essere uno stolido, un giuocatore d’azzardo... un vile mentitore... uno spergiuro. Era colpa sua... colpa del nipote, se la zia era morta! Se non le avesse mai chiesto del danaro, probabilmente l’assassino non avrebbe udito niente... non avrebbe conosciute le ricchezze della vecchietta... e, sicuramente, non la avrebbe mai uccisa... e in che modo la uccise! A pugni! Questo dettaglio era più crudele e malvagio di tutto il resto, poiché denunziava odio... odio profondo, incolmabile... una rabbia disnibita e istintiva. Una bestia! Una bestia selvatica avrebbe potuto fare questo, un uomo no! A pugni! E ora la foresta intera, con il suo stormire, con i suoi versi, con le cantiche delle nottole, sembrava prendere a pugni quel miserabile omuncolo che era Carlo... ogni roccia era uno schiaffo, ogni ramo un calcio... qualcheduno lo stava seguendo... lo voleva morto. E più volte il disgraziato prese la pistola, si fermò... la puntò da qualche parte. Poi quando vedeva che non c’era nessuno, la riabbassava... e per il momento, finiva lì. Chissà quante e quali immani tragende si consumarono diggià in que’ dannati luoghi silvestri dove le fole popolari si figuravano sguardi di fate da non vedere - perché se visti, avrebbero provocato l’immediato trapasso dello sventurato - bestie feroci e fameliche, spettri vendicativi per qualche torto subì to nel Medioevo!
Per la prima volta dopo lunghi e intensi anni, Carlo iniziò a sussurrare tra sé qualche piccola preghiera... detta a metà, perché in fin de’ conti non se ne ricordava più molte.... Tentava con il Pater Noster ma non ce la faceva... con l’Ave Maria nemmeno. Al di là della morte della povera zia, perché mai ogni volta che tentava una preghiera gli riusciva quasi genuinamente il Requiem...?
Poveraccio! Forse s’era anche perso... ed era arrivato a una sponda - non sapeva quale - del gelido Melezzo; ed era stanco. Allora Carlo si sedette sur d’una grande roccia, sulla riva... e guardò giù. La Luna era alta in cielo, ed era piena. Eppure... no! Non poteva essere! Egli non aveva più un’ombra... un’ombra! la sua!.... Le acque del torrente, infatti, riflettevano al chiaro lunare il bosco, le pietre... tutto, fuorché lui... la sua dannata ombra, la sua miserabile anima peccatrice. Si risvegliò come dopo un sogno... dopo un incubo, la sua mente si rischiarì e ricordò ogni cosa che aveva voluto dimenticare tanto fu grande lo spavento e lo sdegno di se stesso. Guardò in basso... le onde erano alte. Si gettò furiosamente dentro; e si lasciò annegare. L’assassino si fece giustizia da solo.