«Secondo me dovresti concentrarti un po’ di più!» esortò con fare da maestrina. Riconobbi all’ istante quella voce. Non ricordo quando fu che la sentii per la prima volta. Mi voltai e lasciai il foglio bianco alle mie spalle. Lei seduta non curante sul letto; la sua chioma bruna scendeva vaporosa tra il mantello rosso e la veste azzurra.
«Urania!» esortai.
« Vedo che stai lavorando a qualcosa?» mi domandò alzandosi e trasformando d’ un tratto un sorriso in uno sguardo attento e curioso. « Veramente... Ci stavo giusto pensando.» risposi titubante, cercando con lo sguardo il foglio sulla scrivania. Quando mi voltai ancora, la sua voce giungeva dalla mia sinistra: « Quale ordine monastico porta queste vesti?». Stava indicando una foto appesa alla parete, dove un monaco con un saio bianco percorreva di spalle un chiostro. « Si tratta dell’ ordine monastico dei Certosini» risposi, un po’ seccato, dal momento che avevo appena iniziato a scrivere qualche verso. Mi alzai e le afferrai il polso sollevato per invitarla a sedere nuovamente. Di colpo si voltò.
La sua chioma ora era divenuta liscia e di un nero lucido, sembrava la lama di una katana che non perdona e che fendeva un vestito bianco con un motivo in rosso. Anche i lineamenti del viso erano cambiati. Un’ espressione di sfida ora si celava dietro una frangia. "Ma come...? ", pensai. Liberai la presa e il suo sguardo sfiorò il mio, mentre tornava a sedere.
Non so cosa mi faceva di più irritare in lei: se le continue distrazioni che provocava la sua giocosa presenza o l’ abilità ocn cui riusciva a portare alla luce ogni aspetto recondito del mio animo.
Ritornai in me e mi voltai verso di lei. Era di nuovo Urania, taciturna e, lì seduta, mi fissava con impazienza. « Allora, ti vuoi sbrigare? Non mi vorrai far fare l’ alba!» sbottò.
Mi rimisi a scrivere. « Certo che dev’ essere buio, camminare di notte in quei corridoi.» disse insinuandosi ancora nei miei pensieri. « Useranno delle candele.» risposi in tono sarcastico, cercando di riprendere la concentrazione.
Iniziai a scrivere e non mi curai più di lei. Non so quanto tempo passò. Avevo scritto buona parte del mio componimento, quando sentii dei graffi provenire dal pavimento. Mi voltai e la vidi mentre stava armeggiando con un grande compasso in legno, intenta a tracciare una spirale per terra. « Ed ora cosa stai facendo?» la interrogai. « Niente, niente…» si affrettò a rispondere, mentre tentava di cancellare la figura appena tracciata con la punta del piede.
Mi rimisi a scrivere; e lei, ancora una volta: «Chissà quante croci è in grado di sopportare un uomo!». Stava guardando il Gesù crocifisso.
« Per favore, Urania, sto cercando di concentrarmi!» sbottai esasperato. « Va bene, va bene. Ora vado via. Ti lascerò solo. Solo tu e il tuo foglio.», si rassegnò a dire. « Urania!», la supplicai; ma non rispose.
Fui avvolto da una leggera brezza luminosa e poi il nulla.
Mi svegliai.