Il temporale arrivò all’ improvviso spazzando via l’ arsura di quel giorno di luglio.
Gocce grosse come chicchi d’ uva che lavavano le strade del piccolo paese.
Violetta s’ affacciò alla finestra sbottonandosi di più la camicetta e respirando quell’ aria fresca che profumava di gelsomino. Il libro aperto sull’ ultima dispensa del professore Bartoli, mancava solo un giorno all’ esame di storia antica e lei sentiva immancabilmente quel senso di ansia che l’ opprimeva, impedendole di respirare. Già perché lei, a dispetto dei suoi genitori, due professionisti affermati e di successo, non si sentiva mai adeguata. Era una sognatrice, amava l’ arte in tutte le sue forme e anche se pensava di non aver talento dipingeva dei bellissimi volti, enigmatici e con un fascino d’ altri tempi, quasi come se li avesse già visti o incontrati in un’ altra vita.
Lo squillo del telefono la fece sussultare, rispose sapendo già chi fosse.
“ Si papà… ho studiato, tranquillo, non è così pesante, ok ti farò sapere…”
Buttò giù la cornetta spazientita, strano… lei non perdeva mai la pazienza, il suo carattere dolce, le impediva di controbattere o di scontrarsi con altre persone.
All’ improvviso le apparvero delle immagini, una bambina bionda correva nei corridoi di un grande palazzo. Era felice, rideva pensando che nel pomeriggio avrebbe fatto una lunga passeggiata nel parco a raccogliere le viole. Poi qualcuno l’ afferrò per un braccio e con aria minacciosa le disse di continuare a fare i compiti. Sentì lo schiaffo sul viso che diventò rosso e caldo, tant’è che Violetta si mise le mani sulle guance ed erano bollenti. Stordita ritornò alla realtà e come un automa cominciò a disegnare sulla tela un viso di bambina.
L’ immaginava in tutte le sue espressioni, con quel suo modo buffo di sorridere, che metteva in evidenza le due fossette sulle guance. Aveva il viso accaldato e una sensazione strana che le percorreva il corpo, al punto tale che fu costretta ad interrompere ed a lasciare il disegno a metà. Aveva bisogno di qualcosa di fresco, tutto d’ un fiato bevve una limonata e poi ritornò sui libri. Leggeva, ma tutto le sembrava contorto, era una grande confusione di notizie, di elementi, di storie ma che amalgamati non avevano senso.
Era stanca di leggere menzogne, la storia che viene tramandata da testimoni non reali, ma da scrittori o pseudo, è che la manomettono secondo la propria formazione o fantasia, distorcendo ciò che veramente è accaduto.
S’ era fatto tardi e l’ indomani avrebbe dovuto sostenere l’ esame, quindi andò a letto scacciando gli ultimi pensieri. Si era appena addormentata e dalla finestra, che era rimasta spalancata per il gran caldo, entrò un pipistrello, il quale iniziò a sbattere le ali da una parete all’ altra della stanza in cerca dell’ uscita. Violetta terrorizzata si nascose sotto le lenzuola, aspettando che il volatile uscisse. Furono minuti interminabili, sembrava che il mammifero non riuscisse nell’ intento, Violetta aveva il cuore in gola e non trovava il coraggio a venir fuori da sotto le lenzuola, poi improvvisamente le apparve la stessa scena ma in un ambiente diverso, la bambina se ne stava rannicchiata sotto le coperte, in attesa che l’ uccello se ne andasse e gridava disperatamente chiamando la mamma. Poi la voce minacciosa di questa, che le diceva di smetterla di fare la mocciosa… Pianse per tutta la notte fino a quando sfinita si addormentò… Violetta turbata si accorse che intorno regnava il silenzio, quindi si sollevò e vide che il pipistrello era uscito.
Ancora sconvolta per quanto era accaduto, chiuse gli infissi, ma il ricordo di quella bambina era talmente forte che ne avvertiva quasi la presenza. Invece di riposare continuò il ritratto, i lineamenti si facevano più chiari e man mano che il viso si completava, Violetta percepiva una strana inquietudine, gli occhi azzurri della bambina erano così terribilmente tristi. Cercò inutilmente di rasserenare lo sguardo ma ogni suo tentativo fu vano. Era come se una mano guidasse la sua.
Il latrato di un cane la scosse da quello stato di quasi ipnosi e vedendo l’ ora, s’ accorse che da lì a poco sarebbe sta l’ alba. Solo fra poche ore avrebbe dovuto sostenere l’ esame e non aveva certo l’ aria riposata anzi, profondi cerchi scuri circondavano i suoi bei occhi azzurri.
Uscì presto da casa aveva bisogno di camminare un po’, prima di prendere la corriera che l’ avrebbe portata in città. S’ incamminò su per la collina dove la betulla cresceva alta e rigogliosa, con i suoi tronchi eleganti, bianchi e le fronde lucenti. Violetta amava quei luoghi che le infondevano un senso di pace, tuttavia quel mattino, avvertiva un’ angoscia inspiegabile. Pensò che sicuramente era per la prova che doveva sostenere, ma non era solo quello. Ripensò a ciò che le era accaduto, forse erano allucinazioni ma non aveva mai sofferto di disturbi psichici, o almeno fino a quel momento. Arrivò fino al laghetto dove flessuosi cigni nuotavano indisturbati. Si sedette sulla riva, fissando l’ acqua, che lambiva dolcemente le sponde. Nuovamente si materializzò la bambina che si divertiva a dar del pane secco ai cigni che accorrevano felici. Poi più in là una donna dallo sguardo cattivo, la quale continuava ad inveire contro la piccolina.
Le diceva di smetterla e di ritornare al palazzo, altrimenti l’ avrebbe punita e chiusa nella torre. La bimba terrorizzata ubbidì mentre la donna la strattonava tirandola per i capelli. Violetta sentì un dolore forte in testa ed avvertì lo strappo dei suoi capelli. Si guardò nelle mani e si accorse di averne una ciocca, spaventata ritornò sui suoi passi, si era fatto tardi e fra poco sarebbe passato il bus.
Nonostante fosse in uno stato d’ animo confuso, riuscì comunque a superare l’ esame brillantemente. Prima rassicurò i suoi per il buon esito, poi si avviò a passi lenti verso la piazza dove partivano le corriere per i paesi vicini. Era quasi arrivata, ma invece di svoltare l’ angolo s’ incamminò per una stradina secondaria che la portò lungo un viale di ulivi, fino ad una grande villa…
Incantata per la bellezza architettonica della costruzione, si soffermò sui particolari, il giardino era abbandonato, segno che la villa doveva essere disabitata da troppo tempo. S’ infilò attraverso un cunicolo di siepi incolte e spinose, fino ad arrivare ad un grosso portone di ferro dove era inciso un nome che difficilmente si poteva leggere ma che aveva ben nette le iniziali una B ed una V...
Sembravano le sue, l’ uscio si aprì improvvisamente e nell’ enorme sala, apparve sulla parete un ritratto, Violetta fissò quel viso che ben conosceva, si guardò intorno e salì su per la grande scala, posta al centro della sala ed addentrandosi per il lungo corridoio, in fondo al quale c’ era una porta diversa dalle altre, quella villa le sembrava una prigione. Dentro, la stanza di una bambina, ma quello che faceva intuire di esserlo stata, era solo una vecchia bambola rotta, tutto il resto era austero e le provocava dei brividi. Difronte a lei un letto, una scrivania ed un armadio.
Violetta iniziò a tremare, e si accucciò in un angolo, le visioni ricomparvero, la bambina cercava di ripararsi il viso da quei colpi che le arrivavano inesorabili, ma la donna non sembrava curarsene, anzi la sua ira cresceva a dismisura. La picchiava selvaggiamente, fino a quando non la vide esanime per terra e con il sangue che le scendeva dal naso. Poi chiuse a chiave la porta e si allontanò con i suoi passi claudicanti…
Violetta si accorse di avere del sangue sul viso, spaventata e ancora scossa si pulì e si mise a correre verso l’ uscita, ma la porta era sbarrata. Si avvicinò alla finestra, ma questa era provvista di sbarre e non c’ era alcuna possibilità di fuga. A quel punto non le restava che telefonare ai suoi, ma cosa gli avrebbe detto? Che si era intrufolata in una casa non sua e che aveva le visioni?
No, l’ avrebbero presa per pazza, non restava che trovare un’ altra soluzione. Aprì l’ armadio e rivide la bimba nascosta fra i vestiti, piangeva, aveva lividi dappertutto ed una profonda ferita sulla fronte. A quel punto Violetta si accasciò a terra priva di sensi. C’ era qualcuno che la stava chiamando: ” Signorina, signorina… si svegli…”
Aprì gli occhi ed una donna non più giovane la scuoteva chiamandola. Si alzò a fatica, quando questa le domandò: ” Cosa ci faceva qui? Stava cercando qualcuno?”
Violetta solo in quel momento si accorse che la donna era la mamma crudele delle sue visioni.
Si ritrasse con orrore, dicendo: ” Mi scusi non so nemmeno io come sono finita qui dentro.”
Detto questo, si allontanò velocemente da quel posto spaventoso. Arrivata a casa fece una ricerca su internet, voleva saperne di più della villa e dei suoi proprietari.
Quello che le apparve davanti fu sconvolgente, la villa era appartenuta ad un famoso medico, il quale era morto tragicamente in seguito ad in incidente, lasciando la sua unica figlia Violetta, nelle mani della zia, la sorella della madre, anch’ essa morta prematuramente. Questa non si era mai sposata ed era rimasta a vivere con loro. Ma tutti la dipingevano come una strega senza cuore.
Infatti, dopo la morte del padre iniziò a maltrattare la nipote a tal punto che per le urla, spesso dovevano accorrere i vicini. Poi il silenzio totale e della bambina non si seppe più nulla, lei disse che era in collegio all’ estero, ma nessuno la rivide più. Violetta si guardò allo specchio e si rivide finalmente piccola, con un profondo taglio sulla fronte. Alzò la frangia e la cicatrice era lì a ricordarle chi era, il passato riemerse prepotente con tutto il suo dolore. Era lei quella bambina che per tutti quegli anni aveva dimenticato, adesso doveva sapere, voleva conoscere la verità.
I suoi sentendola così agitata si precipitarono a casa, in cuor loro sapevano che doveva essere successo qualcosa di grave. Violetta appena li vide, li fissò come se fossero due estranei, dicendogli: ” Ma voi chi siete?”
I genitori vedendola così sconvolta cercarono di calmarla: ” Violetta, calmati, credevamo che non sarebbe mai arrivato questo momento, ma adesso siediti che ti raccontiamo tutto.”
Così iniziarono un racconto doloroso e pieno di ferite mai rimarginate. Le dissero che una notte durante una tempesta l’ avevano trovata sola e ferita che vagava per la strada, si erano fermati soccorrendola, le avevano chiesto come si chiamasse e dov’ erano i suoi genitori, ma lei li aveva guardati senza sapere cosa rispondere. Non si ricordava nulla e non rammentava nemmeno il suo nome. L’ avevano portata a casa, non se la sentivano di lasciarla in un posto di polizia in quelle condizioni. Poi avevano letto un nome ricamato sul golfino, Violetta, quindi capirono che era questo il suo nome. Aspettarono giorni in attesa di sapere se qualcuno aveva denunciato la sua scomparsa, ma niente, era come se non fosse mai esistita. Così loro, sposati da anni e senza figli, pensarono che era stato un dono del cielo e decisero che l’ avrebbero tenuta con loro.
Violetta era cresciuta cancellando il passato e fino a quel momento, vivendo una nuova vita.
Lei ascoltava come se stessero parlando di un’ altra persona ma ora i ricordi si facevano più chiari, fino a ricordare tutto. Quella sera la zia era più arrabbiata del solito, non sopportava neanche la sua vista, lei terrorizzata dai castighi, cercava di non contrariarla, ma fu tutto inutile iniziò a rimproverarla perché non aveva messo in ordine i libri, poi la sua collera divenne incontrollabile, la prese e la spinse contro lo spigolo del tavolo. Da quel momento non ricordò più nulla, si ritrovò a vagare sola per strada…
Ora rammentava due persone gentili che le parlavano con dolcezza poi la sua mente aveva cancellato tutto.
Violetta adesso sapeva, il fantasma di quella bambina infelice era lei, adesso voleva riprendersi la sua vita e poteva farlo solo facendo giustizia, chiamò la stazione dei carabinieri dicendo con la voce decisa: ” Voglio sporgere una denuncia…” Poi guardò quelli che lei credeva essere i suoi genitori e abbracciandoli gli disse: ” Vi voglio bene.”