Diciannove giugno, non ha niente di particolare questo giorno tranne che il vento. Un vento che appena lo nomini pare si acquieti ma poi ha delle impennate, ulula e fischia e schiamazza e borbotta. E se dura così per tutta la mattinata, c’è da impazzire, mentre cerco di concentrarmi sul da fare, mentre cerco di pensare e di mettere un ordine nella mente, necessario per la priorità da assegnare alle singole attività.
Non riesco ad andare avanti. E’ giugno, oltre la metà del mese, già metà anno. Non voglio pensare al tempo, dico sempre a me stessa che il tempo non esiste. Però pare ieri, era l’ inizio dell’ anno, con le giornate fredde, sciarpe e berretti, gente che camminava di fretta per le strade e la vedevi scomparire chi al bar chi in chiesa, chi entrava in un negozio per la spesa. E tutti nominando il freddo, parlavano di mangiare e bere, un bel panino con la salsiccia o la ventricina piccante e un bicchiere di vino rosso. Chissà perché ma è un pensiero ricorrente nel periodo invernale, quasi una visione che ci viene in aiuto e ancora una volta ci fa soffermare sul tempo e sul suo fluire.
“ Manca poco, mezzora poi vado a casa”. L’ avrò detto anch’ io, però non per un panino, piuttosto per un bel piatto caldo di minestra ed un bicchiere di vino.
Appena ieri, l’ inizio dell’ anno e il superlavoro. Provo una specie di remora a contare le ore di lavoro in un giorno, troppe, senza alcuna eccezione, spesso, neppure il sabato o la domenica. Sì, perché pare incredibile che si debba o si possa lavorare tanto. Eppure è accaduto, ma non per la brama di guadagno, ma perché richiesto da esigenze particolari, da scadenze, dove si guarda solo all’ obiettivo non al tempo impiegato, dove non fa differenza lavorare se il giorno è ancora infante o se è già buio e si persevera e si va avanti sotto un fascio di luce, con gli occhi che diventano piccoli piccoli davanti al pc.
Capita al mattino di alzare gli occhi verso lo specchio quando ci si lava il viso e di osservare le occhiaie, quelle poche volte che si ha il tempo di sostare davanti allo specchio … Ci si illude che una cremina, o per la precisione un filler antirughe, cancelli tutto: borse, occhiaie, rughe.
Appena ieri, con il trascorrere dei giorni tutti uguali: alzarsi, lavarsi, vestirsi, uscire di casa per recarsi a lavoro, tornare per ingozzarsi con un pranzo lampo, tornare nuovamente a lavoro e poi, affranta, all’ uscita, passare per la farmacia o un negozietto di generi alimentari, quindi aprire la porta di casa, buttarsi su un divanetto. Quel dolore al centro delle scapole lancinante è vivo anche ora al ricordo, un dolore che poi si attutiva stando addossata ad un cuscino, in silenzio per ore.
La vita è un dono. Nonostante gli affanni della quotidianeità, nonostante i problemi del lavoro, le tasse da pagare, la solitudine che ti raggiunge quando più hai bisogno di allegra compagnia, la malinconia che ti prende senza un perché, un fastidioso raffreddore, un familiare che ti fa preoccupare, che non ti dà retta che aggiunge altro lavoro ai tuoi numerosi impegni, la casa da gestire, le infiltrazioni di umidità o i danni della grandine.
La vita è meravigliosa anche se fai sempre le stesse cose e rinunci a un viaggio, ad una festa per cose più serie e ti ritrovi a pensare ai figli mai avuti, alle storie finite, alle non storie, ai desideri legati in un mazzo come fossero fiori e chiusi in una stanza, senza luce né aria.
Sì è meravigliosa, ma lo dico sottovoce, in confidenza con me stessa, non ho il coraggio di urlarlo, forse perché non ne sono del tutto convinta.
Prova a spiegare a chi è meno fortunato, a chi siede da una vita su una sedia, a chi ha scoperto di avere uno di quei mali terribili che non perdonano, a chi non ha un lavoro o l’ ha perduto e per giunta ha una famiglia da campare o a chi non ha avuto mai una famiglia, o ha visto un figlio morire, prova a spiegarlo che tu che hai un lavoro, una casa, un aspetto gradevole, spesso vai avanti per forza di inerzia, che affronti ogni nuovo giorno come fosse l’ ultimo, che ti lasci caricare da nuovi compiti ed impegni, pensando di riuscire, comunque, a farcela.
Fino a quando si sta all’ opera, si passa da una cosa all’ altra, una più piacevole una meno, una più leggera l’ altra che richiede più attenzione. Ma quando ci si ferma è la fine. Torpore, sonnolenza, debolezza, stato di confusione. Cedi e dormi o credi di farlo ma comunque non sei sveglia e i tuoi riflessi sono spenti
La vita è un dono, non è proprio così, non in maniera assoluta. Però meglio tenere per sé certi pensieri. Parlare male della vita suonerebbe come una bestemmia.
E’ giugno e le giornate sono incostanti, alcune eccessivamente calde, altre ventose, altre ancora nebbiose.
Il tempo corre, settimane su settimane si susseguono. I mesi caldi passeranno in fretta. Ci sarà altra gente in giro, persone che tornano per le ferie estive, che siedono su una panchina la sera a respirare l’ aria pura della collina, a parlare con gli amici di infanzia, persone che si ritrovano unite tra gli schiamazzi dei bambini, un suono di trombette dietro le orecchie, le risate, l’ orchestrina sul palco, gli spari a mezzanotte.
Un via vai di biciclette, palloni che corrono in discesa, motorini che fanno lo stesso percorso centinaia di volte. E i campi vestiti di oro e rosso, i girasoli maturi col capo chino, le stoppie bruciate fino al ciglio della strada
E l’ odore del fumo che arriva fin dentro casa. Ci sarà da decidere dove andare per quindici, diciotto giorni, gli unici che potrebbero essere diversi da tutti i rimanenti giorni dell’ anno.
Ma non si può andare in vacanza, via da chi ha bisogno di te.