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♦ Michelangelo Cervellera |
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Un giorno mi alzai di buon mattino, dopo una nottata quasi insonne passata a pensare, invece di contar le pecore come fanno tutte le persone normali. Mi alzai di buon mattino e sapevo già cosa fare, dopotutto ci avevo pensato tutta la notte. Avevo avuto l’ispirazione, avevo deciso oramai. Presi un bel mucchio di soldi e scesi di casa. Sapevo già dove andare. Mi recai a Ponte Galeria, sulla Portuense, il freddo mi penetrava nelle ossa, gli odori acri di una mattinata d’ottobre sembravano penetrarmi anch’essi, trasportarmi in un mondo lontano mentre proseguivo la mia passeggiata. Quella non era una zona che frequentavo molto da piccolo, ma ricordo una volta ci passai con mia madre e mio fratello, molti anni fa, per andare a trovare una lontana parente da parte di mio padre: faceva freddo anche quella mattina, ma non avvertivo gli odori acri, piuttosto le caramelline che avevo nel sacchetto con me emanavano un odore di zucchero che attirava i gatti lì intorno. “Sicò, sciò! Queste sono le mie caramelle, brutti gattacci, sciò sciò!” Dissi io con voce tuonante. Mia madre ribattè: “Marco, non trattare così i gattini, poverini, anche loro sono creature di Dio!” Forse più loro che noi lo siamo, le caramelle se le meritavano più loro che io. Continuavo la mia passeggiata immerso in cento ricordi che prendevano vita intorno a me: veloci sfrecciavano sull’asfalto, sui marciapiedi, passavano sui muri delle case, arrampicandosi sui lampioni, balzando da un tetto all’altro come acrobati mancati di un circo in fallimento. Il tizio da cui mi recai, all’angolino della strada, era piuttosto robusto, ma aveva la faccia scavata dalla fame probabilmente, dal freddo, o forse dal rimorso di una vita passata a vendere morte. Comprai una rivoltella Smith & Wesson sei colpi, calibro 357 magnum, più una scatola di venti cartucce. In tutto pagai duecentocinquantamila lire o giù di lì, un prezzo irrisorio, il tizio si contò i soldi fra le grinfie e con il suo zaino stracolmo, debordante di ferri, sparì dietro l’angolo portandosi con sé tutto il freddo di una sola mattina. Nascosi l’arma sotto al cappotto e tornai a casa per la stessa strada dell’andata. Ora faceva caldo e non riuscii a rendermi conto se era l’aria che si era riscaldata oppure io: probabilmente entrambe le cose. Entrai nel portone di casa, salutando il mio vicino come ogni giorno. Entrai a casa, solo con le mie cose, e fui assalito da un’ansia improvvisa. Avevo deciso di farla finita la notte scorsa, l’avevo deciso senza alcun pentimento, ma non appena rientrai, mi sembrò che ci avessi ripensato tutt’ad un tratto. Mi venne così l’illuminazione: roulette russa. Se fossi uscito indenne al quinto tentativo avrei avuto salva la vita. Caricai così la pistola col il solo proiettile, poi feci roteare il tamburo – sentivo impercettibile quel proiettile che girando vorticosamente insieme al tamburo mi sussurrava parole incomprensibili – dopo qualche secondo lo feci rientrare. Portai la canna alla tempia, la vena che la attraversa mi rimbombava, sentivo il sudore che scorreva sulla mia pelle come melma che scende da una fogna. Schiacciai il grilletto. CLICK! Pensai a mia madre sul letto di morte, il sudore che le scorreva dalla fronte arsa dalla sua malattia, schiacciai di nuovo il grilletto. CLICK! Mi tornò in mente mio fratello nella sua candida bara, la sua faccia maciullata dall’incidente, alla men peggio sistemata per renderla presentabile per l’ultimo nostro saluto. CLICK! Comparve allora, con contorni sfumati e leggieri, Giulia con in braccio suo figlio che mi sorrideva. CLICK! Sentivo sempre più forte il sudore dovunque sul mio corpo e mi immaginavo il sangue di Giovanni che mi bagnava le membra, il suo cervello spiaccicato sul parquet. CLICK! Silenzio assoluto, anche le mosche che ronzavano intorno sembrarono zittite. Era il quinto tentativo, qualche secondo di pausa, quasi mi venne di premere per la sesta e ultima volta quel grilletto, ma non ce la feci: ero salvo. Salvo, intendendo letteralmente la parola, ossia ancora vivo. |
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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«Tutto inventato, naturalmente... l'episodio - che può stare benissimo anche da solo - fa parte di una bozza di un romanzo che forse non terminerò mai.» |
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