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Il funerale
Nel paese sta scendendo la sera, è la fine d’un giorno di primavera, l’aria è tiepida e tersa, poche persone si vedono sulla via, tutto è silenzio, la gente raccolta nelle case sta consumando il pasto della sera.
Ma improvvisa cessa la quiete, s’ode un rintocco di campane, poi un altro più forte e un altro ancora, e l’eco di questo improvviso messaggio si trasmette sempre più lontano e raccoglie l’attenzione fino ai luoghi più remoti del paese.
Dentro alle case cessano i confronti sui fatti quotidiani, si smorzano le discussioni familiari, per un istante si dimenticano i dispetti del vicino, e tutti si concentrano su questo segnale che i loro orecchi attenti non hanno tardato a tradurre quale segnale di sventura.
Non v’è alcun dubbio, sono le campane a morto quelle che stanno rintoccando in cima al campanile, quelle campane che i più anziani odono con un brivido di paura perchè rammentano loro, smarriti nel vuoto viver quotidiano, che un dì sempre più vicino quel triste rindondio non arriverà alle loro orecchie, perchè quel dì la campana suonerà per essi.
I più giovani, invece, quasi ignorano quel suono, tanto sono invasi dalla vita e da quel grande sentimento d’eternità che da forza alle loro passioni.
Nelle famiglie ogni altro interesse va scemando e mentre la cena sta volgendo alla sua fine, tutti cercano una risposta all’assillante interrogativo che li avvince: “ chi sarà mai che ci ha lasciato?”
Sono le donne della casa le più informate sulle disgrazie prossime venture, stilano allora l’elenco dei candidati a prossimi moriendi.
Una lunga lista in poco tempo viene compilata, ed ognuno cerca di rinvenire nella propria memoria più recente qualche piccolo particolare che possa avallare la morte di questo o quello.
“Stamane ho visto la moglie di Giuseppe e lei mi ha detto, proprio lei, che il più è passato, e che al più tardi fra due giorni Giuseppe uscirà dall’ospedale”.
“Ho visto il figlio di Francesca che m’ha detto con certezza che di un’innocua ciste si trattava, non di quel brutto male come qualcuno aveva detto”.
Tutto annega nelle ipotesi, ma nelle ipotesi non v’è certezza e la curiosità scava famelica ovunque vi sia una piaga o una ferita aperta.
Ma s’ode improvviso uno squillo, poi un altro, è il telefono che squilla.
E’ finito l’atroce dubbio, con un controllato sorriso, colmo di gioia addolorata, ritorna la moglie latrice d’un messaggio or ora ricevuto dal più stimato amico del marito.
E’ gonfia dell’orgoglio di conoscere un segreto da tutti tacitamente reclamato, gode per un attimo di questo suo protagonismo ed alfin dichiara, ostentando commozione “è morto Tono!”
Toni era il terzo di quattro fratelli, proveniva da una famiglia ne povera ne ricca, una famiglia qualsiasi, senza particolare lignaggio, ne particolare infamia.
Fino alla tarda giovinezza aveva lavorato con il padre, coltivando la terra ed applicandosi nei lavori più svariati cercando di aumentare il più possibile la sua fortuna.
Lentamente, ma con costanza, aveva accantonato un certo capitale ed aveva preso possesso di alcune proprietà; in parte acquistandole ed in parte convincendo il padre, dopo averne ben adulato l’amor proprio, a firmare alcune carte che lo rendevano di fatto padrone di alcuni immobili sui quali altrimenti non avrebbe potuto vantare diritto alcuno, o perlomeno questo diritto avrebbe dovuto dividerlo con i fratelli che come lui lavoravano nella stessa azienda.
Ma i comportamenti di Toni non erano limitati da scrupoli morali, si era prefissato di arricchirsi al più presto, perchè solo la ricchezza era nel suo paese il valore che nei più suscitava stima e rispetto, e su quella strada proseguiva con intransigente volontà.
Certo l’imbroglio di carte che aveva orchestrato con il padre gli costò l’amicizia dei fratelli, che, non tanto per spirito di giustizia, ma perchè, accomunati dagli stessi valori, non volevano fare la figura dei fessi in un contesto che irride più a chi ha subito un imbroglio che non biasimare chi quell’imbroglio ha concertato, dando anzi allo stesso quasi un diploma di sagace furbizia.
In seguito a tali avvenimenti Toni aveva rotto ogni rapporto con i suoi fratelli di sangue ed ogni qual volta li incontrava per le vie del paese evitava persino di guardarli negli occhi, ostentando quasi uno snobismo provocatorio nei loro confronti.
Quando poi sopravvenne la morte del padre il solco che s’era creato con i parenti andò sempre più dilatandosi e niente più al mondo avrebbe potuto sanarlo.
Tutte le proprietà indivise, venute in successione, furono oggetto di aspri contrasti ed ancora Toni, che da tempo s’era premunito, ottenne la parte più consistente e preziosa.
Usando la legalità, che spesso è il pane dei corrotti, sapendone decifrare bene i suoi rigidi schemi che, senza tener conto di fatti, luoghi e situazioni, danno al rognoso, cavilloso, piantagrane, spunti e diritti che il comune buon senso mai darebbe, usando appunto la legalità fece la parte del leone.
Lui che, a differenza dei fratelli, da lungo tempo s’era iscritto alla coldiretti per dare consistenza a una domanda di finanziamento, potè aumentare ancora le sue pretese.
Di tanto non ancora ben contento, simulando comprensione, ottenne pure una porzione di terra irrilevante di cui già sapeva, grazie ad amici pertinenti, la prossima destinazione ad area d’intensa abitazione.
Fu un gran logorio di carte bollate e di avvocati, di aspri conflitti nel chiuso delle preture o nell’aperto delle strade, ma alla fine tutto si risolse e con l’ausilio della legge Toni ebbe ragione e fu sancita la sua parte del leone.
Ma non sol su questo Toni costruì la sua fortuna, avendo capito che raramente i quattrini erano frutto del lavoro, imbastì una miriade di commerci che, contando su numerose leggi, erano esenti da ogni costo e finanziati con i più svariati contributi.
La realizzazione dei suoi intenti trovò grande sostegno nell’opera instancabile di sua moglie che, presa dal culto del marito, ne adorava anche il lavoro e con un impegno ostinato, continuo e minuzioso, ne sosteneva le iniziative.
Seguiva con occhio severo, vigile ed attento, il comportamento degli occasionali prestatori d’opera che periodicamente lavoravano nell’azienda; misurava il tempo e la qualità delle prestazioni da questi svolte e, quando poteva, pur di ridurre i costi, contestava i loro servizi.
Accudiva in modo molto austero all’economia della casa, acquistava con molta oculatezza i beni necessari al sostentamento della famiglia.
Sovrintendeva all’amministrazione aziendale, svolgendo tutte le mansioni burocratiche di carattere ordinario e non mancava mai, quando arrivava qualche tassa da pagare, dal recarsi in municipio indignata e piangente a protestare.
Rivendicava allora i diritti della sua povera famiglia di lavoratori, che non conoscevano riposo neppure nei giorni di festa, e così oppressi dalle più inaudite richieste di denaro.
Tutto il carteggio relativo alla clientela passava per le sue mani.
Rammentava al marito quando il tale non aveva pagato e quando il tal’altro non aveva onorato la scadenza bancaria.
Non era invece altrettanto sollecita nel ricordargli i debiti da saldare.
Quando gli ordinavano della merce il suo atteggiamento variava a seconda del cliente.
Se si trattava del signor dottore che comandava una damigiana di buon vino non lesinava smorfie e smancerie, si faceva umile e sorridente al suo cospetto, interessandosi cortesemente dei più banali particolari sulla sua vita e la sua famiglia.
Se il cliente di turno era invece un pover’uomo, con un reddito modesto e su cui magari gravava qualche sospetto di morosità, allora diventava aggressiva, secca e cattiva.
Grazie alle sue capacità e con l’ausilio di questa brava moglie le faccende economiche di Toni procedevano nel migliore dei modi.
Poteva considerarsi un uomo arrivato, riverito e temuto, ciò nonostante era bel lungi dal sentirsi soddisfatto e per questo andava sempre nuovamente ordendo altri stratagemmi per incrementare il suo già cospicuo patrimonio.
Ma questo rientra nella norma, tutti coloro che sono animati da brama di ricchezza non hanno mai un punto d’arrivo, ma ogni risultato conseguito serve soltanto di stimolo per inseguirne uno di nuovo.
La vita sociale di Toni era caratterizzata da tutta una serie di momenti a cui un uomo come lui, inserito in tante attività, non poteva sottrarsi.
Pur essendo privo di qualsiasi concetto morale e credendo soltanto in quanto gli sarebbe potuto tornar utile, militava assiduamente nel partito politico più forte, quel partito cioè che amministrava il potere nel paese.
Nella sua sezione era considerato un uomo forte, in grado perciò di influenzare molti elettori nella scelta del candidato da votare.
A questo riguardo molte voci davano per certo che tante sue fortunate speculazioni erano state tali perchè favorite da consigli e favori di persone da lui, a suo tempo, sostenute.
Toni si dichiarava un uomo molto religioso ed ogni dì di festa non mancava dal rendere omaggio al buon Dio, lo si poteva notare nelle prime file, ritto e sicuro con la moglie al fianco, mentre ad alta voce recitava tutte le litanie prescritte.
Al termine della funzione, dopo che la moglie si era avviata verso casa, si incontrava con alcuni compari nell’osteria del centro.
Qui, accompagnandosi con un nutrito numero di ombrette, commentavano i fatti più o meno stimolanti della settimana appena conclusa.
Il loro divertimento preferito era però, il più delle volte, deridere, nascosti dietro la propria arcigna sicurezza, il poveraccio di turno che non sapeva ne tenere a freno la sua ingenua sincerità, ne reagire con la forza necessaria per ottenere il rispetto.
Questo era il Toni di cui il rindondar delle campane aveva annunciato la precose dipartita.
Nella casa che avevamo appena abbandonato tutti fanno a gara nel commentare la figura del defunto.
Sono commenti maligni ed aspri, ma fra le mura domestiche ognun può dire quanto vuole, ugualmente i giudizi son permeati di una certa mestizia, tanto d’apparir men drastici di quanto in realtà non siano.
Si narra tutto il male da lui fatto nel corso della vita, si dice che adesso, da morto, il suo denaro gli sarà di ben poco aiuto e molti altri giudizi velenosi sono espressi sul suo conto.
Stupisce che tanta stima dichiarata per la via, sia poi, fra i quattro muri, del tutto contraddetta.
E’ ormai sera inoltrata, ma l’aria è tiepida, e le comari scendon per strada a commentare il triste evento che ha sconvolto una famiglia e l’ha gettata nel tormento.
“Pover’uomo ha lavorato tanto!”, “ e pensare che l’ho visto ch’era ieri, non mi pareva proprio che covasse una male tanto grave”, “ povera Beppina, proprio adesso che s’era sistemata, “ era un uomo ammodo, equilibrato”.
Sono giornate febbrili per la moglie del defunto, seppur sconvolta dal dolore trova la forza per allestire la camera ardente e per preparare la salma come in queste circostanze si conviene.
Dispone che la cerimonia funebre sia organizzata con il massimo fasto, perchè tutti, fino all’ultimo, si ricordino quale uomo importante fosse stato suo marito.
E’ quasi giunta l’ora della sepoltura, la vedova riceve mesta le condoglianze di tutti i parenti, gli amici ed i conoscenti.
Tutti fanno a gara per farsi riconoscere, perchè un domani non si possa dire che non c’erano.
Le persone più stimate e rappresentative del paese le si avvicinano con tronfia sicurezza, certe, con la sola loro presenza, di fare un onore alla famiglia del defunto.
Le persone più umili le si rivolgono invece con deferenza e timidezza, quasi timorose di poter disturbare con quell’atto il dolore della vedova.
Tante corone di fiori agghindano la camera ardente, gli accessi e le stanze più frequentate.
Su ognuna di queste è scritto a caratteri cubitali il nome di chi l’ha offerta, hanno forme e dimensioni diverse ed a seconda del pregio da più o meno importanza a chi l’ha donata.
Rimbombano i cupi rintocchi, il funereo suono che accompagnerà il defunto nel suo ultimo viaggio rattrista i cuori di chi lo sente.
Il parroco, accompagnato da uno stuolo di ragazzini sperduti dentro l’ampia tonaca da chierichetti, entra nella camera ardente.
I bimbi si sforzano di mantenere un contegn serio e posato, ma ugualmente non resistono alla tentazione di inventare qualche scherzo innocente fra di loro.
Il parroco gira tre volte intorno alla bara, declamando ad alta preghiere che i più non comprendono.
In prima fila, ritte e seriosi, stan le eminenze che del paese governan le cose.
San simulare con grande talento un assente tormento.
Il fotografo sigilla su carta le solite facce dei soliti funerali importanti.
Finite le benedizioni si organizza la processione, gli onnipresenti direttori d’orchestra, gesticolando con spavalda iattanza, guidan la folla per impedire la ressa.
Dopo un melenso tira e molla finalmente quattro robuste mani afferrano le maniglie della bara.
Son le mani di quattro persone perbene, con cui il defunto in sua vita si era più volte scontrato.
S’avvia allora la processione verso la sua destinazione.
Una croce ed alcuni fedeli precedon il parroco che, circondato dai suoi chierichetti, lancia anatemi in tutte le direzioni.
Segue la bara, sommersa dai fiori, poi, come fossero una lunga catena, i parenti più stretti, quelli più lontani, gli amici più cari e quelli men cari, i conoscenti e tutti quelli che non volevano in quest’occasione essere assenti.
Il corteo che segue la bara ha dimensioni grandiose.
Quella cerimonia rimarrà certamente nella memoria dei tanti che amano ricordare tali eventi in ragione della loro maestosità ed imponenza.
Ma resta il dubbio se tanta affluenza fosse causata da un sincero sentimento o fosse soltanto un onore reso al prestigio convenzionale ed alla ricchezza.
Mentre la processione avanza tutto il paese si ferma.
Un telefono muto sembra trasmettere, a chi chiuso nella sua casa è in attesa, il progressivo avanzare della folla pregante.
S’odon battenti di porta che si chiudon con grande rumore, s’odon le serrande delle vetrine delle botteghe che vengono abbassate con grande fragore.
Tutto è muto e silenzio e lentamente il corteo supera tutta la via.
Occhi curiosi sbirciano attraverso le fessure di porte e finestre, commentando fra il serio e il ridente su cose e persone.
Finalmente la marcia è finita e la chiesa accoglie per l’estrema funzione gli stanchi viandanti.
Tutti s’accalcano intorno al banchetto delle prebende e maggiore sarà l’obolo offerto, maggiore sarà poi considerato il grado di partecipazione.
La folla, come un fiume all’estuario, si sparge nell’immensità della chiesa.
L’ordine di posizione che nessuno ha mai scritto sembra a tutti ben noto, come il morto da vivo avrebbe desiderato, tale il popolo s’è dispiegato.
Scorre la messa ripetendo i suoi ritornelli, non s’ode ne lamento ne pianto, perchè non è ancora tempo per farlo.
Ed allora non è un pianto che scaturisce dal sentimento, che non conosce limitazioni, ma probabilmente nasce dal senno che supino s’adatta alle convenzioni.
Il prete serioso declama la sua omelia, ripete quel discorso che conosce a memoria, dove cambiando i nomi nulla mai cambia.
Invero s’allunga in qualche particolare, essendo il nostro, per fama, un personaggio un po’ singolare.
Quando esaurito è anche questo cerimoniale, parte la frotta per dare alfin sepoltura ed obliare nel nulla anche questa nuova sventura.
Si ricompatta la processione, scarnita nei ranghi, perchè più d’uno, certo d’avere il dovere esaurito, di tornarsene a casa s’è preso il piacere.
I più resistenti entran nel cimitero per fermarsi davanti al luogo della sepoltura.
Toni verrà tumulato nella sua piccola chiesa.
Per ottenerla aveva lottato per anni, aveva speso un capitale e corso come un ossesso per avere certificati e permessi, ma alla fine aveva conseguito quanto voleva.
Era ritenuta la seconda chiesetta del cimitero per lusso e grandezza, soltanto quel vecchio nobile ormai decaduto più di lui aveva potuto.
Quale orgoglio per se e la famiglia esser fra i primi anche là dentro.
Chissà se anche i piccoli vermi che fra un po’ si spartiranno le spoglie avranno i galloni come i loro padroni? Potran così dire ai loro colleghi delle tombe vicine “ lontano da noi, vermi plebei!”
Il prete benedice per l’ennesima volta la bara che nell’ultimo sito sta per entrare, poi le solite quattro manacce, forti e decise, quasi con gioia perchè finalmente la fatica è finita, accompagnan la cassa ben bene nel fondo, sul duro cemento.
E’ questo il momento dei grandi lamenti.
Piange la moglie, piangono i figli, piangon gli amici, è una gara a chi piange di più, ed anche chi di pianger non sente piange ugualmente.
Tutto è finito, la folla si sparpaglia per la via, chi se ne torna dritto a casa, chi invece si ferma per fare un po’ di baldoria con gli amici all’osteria.
Fra tanta partecipazione, v’è stato forse soltanto un tormento sincero.
Il tormento del piccolo cane di Toni, che ogni sera lo attendeva fuori della stalla piagnucolando, finchè il suo padrone non gli donava un osso e qualche carezza.
Sono già tre giorni che il piccolo cane geme ogni sera ormai disperato. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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