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La finestra davanti a casa

Amore

LA FINESTRA DAVANTI A CASA - (RACCONTO COMPLETO)

Avevo una sorella più grande di me di dodici anni, lei si era sposata, ed io ero rimasta praticamente come figlia unica: coccolata, riverita e viziata, e mio padre chissà quali castelli in aria si era fatto su di me, pensava sicuramente che un giorno, un bellissimo giovane laureato, di buona famiglia, pieno di soldi, sarebbe venuto a bussare alla porta di casa nostra, con una scarpetta di cristallo in mano, per sapere se mi calzava, e portarmi via con se nel suo castello come nella favola di Cenerentola!

Si, perchè ormai avevo diciotto anni, e non avevo amici del genere maschile, non ero mai andata ad una festa, non potevo uscire da sola, ero sorvegliata come un detenuto a vita, e persino all’ Istituto dove andavo a studiare lingue, ero accompagnata da mia madre! L’ unico posto dove potevo andare da sola era a messa la domenica, almeno là, mi lasciavano pregare in pace!

Mio padre era un uomo molto lavoratore, ma molto esigente e duro nel suo modo di gestire la famiglia. Guai se mia madre fosse stata in ritardo col pranzo o la cena, guai se una camicia non fosse stirata alla perfezione; in casa nostra tutto aveva orari e regole, come in un collegio svizzero, e non diciamo cosa succedeva se per caso lui tornava a casa prima del solito e non ci trovava, cascava il mondo!!! Era un genitore attento con tutto quello che avrei potuto desiderare, tutto, tranne quello di lasciarmi un po’ di libertà. Il suo comportamento era ossessivo, paranoico, e ci teneva a me e la mamma in un guscio che a volte ci soffocava entrambe. Ma la mamma, per paura delle sue violente reazioni, non mi concedeva nemmeno lei un respiro, finchè un giorno...

Venne a lavorare proprio di fronte a casa mia, un giovane, bello si, ma né laureato, né di buona famiglia (era solo, non sapevo da dove venisse...) nè con soldi, né tantomeno era il tipo da bussare a casa mia con la scarpetta di cristallo in mano: lui le scarpe le faceva, si, era un calzolaio, e dal suo modo di parlare si capiva lontano un miglio che era un “ terrone”, (come lo chiamavano i miei genitori) anche se non lo avevano mai voluto conoscere "quello là”, (come solevano riferirsi quando parlavano si lui) non andava loro proprio giù! Forse perche se ne erano accorti che il mio sguardo andava spesso a quella finestra da dove lui a sua volta, mi guardava.

Passarono i mesi, e quella finestra divenne per me, l’ unica ragione di vita. Se un giorno qualsiasi non lo vedevo, mi sentivo immensamente triste. Non vedevo l’ ora che arrivasse il mattino, alle otto lui si sedeva davanti alla sua macchina da cucire le tomaie delle scarpe, e ogni tanto alzava lo sguardo per incontrare immancabilmente il mio. Un mattino lui mi sorrise, che gioia! Avrei saltato, cantato di felicità, ma questo mio comportamento non sfuggì all’ occhio attento di mia madre che capì quello che mi stava succedendo e lo disse subito a mio padre. Figuriamoci lui! Sua figlia, “ la principessa”, che sorrideva a un “ terrone”, squattrinato, che cuciva tomaie di scarpe!!! Gridò allo scandalo, mi fece una paternale che durò due ore, e mi disse che se veniva a sapere qualcosa su di me, cioè, che io assecondavo “ quel tipo”, mi sarei pentita amaramente!

Ma, conoscete qualcuno innamorato, che abbia ascoltato mai, i consigli, (chiamiamoli così) dei genitori? E poi, non lo trovavo giusto, che ne sapevano loro chi fosse veramente quel ragazzo? Non lo volevano nemmeno sentire nominare!

Quel ragazzo, lo seppi quasi subito si chiamava Roberto, ed io lo sognavo ad occhi aperti e più mi proibivano de vederlo, si sa, più attratta mi sentivo da lui. La mia emozione non ebbe limiti quando una domenica lo vidi, bello, tutto ben vestito e pettinato, davanti alla chiesa! Credo che mi sentì male, il cuore voleva saltarmi fuori dal petto, non credevo ai miei occhi, finalmente avrei potuto parlargli. Mi si avvicinò, mi prese una mano, e più emozionato di me disse: credo che te ne sarai accorta che mi sono innamorato di te, vero? ...Mi sono sentita arrossire come un peperone, e solo fui capace di annuire con la testa. Poi feci una cosa che più tardi mi rimproverai mille volte, ma forse fu l’ emozione, non lo so, vero è che lo lasciai lì sul portone della chiesa, ed entrai quasi di corsa andandomi ad inginocchiare in uno dei banchi di fronte all’ altare, e ringraziai il Signore per quella gioia che mi aveva dato quel giorno, una gioia più grande di me!

Un’ altra volta fu, quando entrando all’ Istituto dove studiavo, lo incontrai già all’ interno, portava in mano un quaderno, per far credere che fosse anche lui uno studente, ci sorridemmo, ci salutammo, e dopo poche parole io dovetti entrare in classe e lui se ne andò.

Così, semplicemente, incominciò la nostra storia d’ amore, fatta di sguardi, sorrisi, parole dette in fretta e di nascosto, con la paura che mio padre ci scoprisse... passarono altri due mesi, col batticuore ogni volta che mi appariva da qualche parte, dove però, essendo sempre con mia madre non potevamo mai parlarci.

La fortuna venne in mio aiuto, perche io incominciai a lavorare, in centro, come segretaria di una grande azienda. Una mia cara amica, mi presentò un suo zio che cercava una segretaria, e mio padre questa volta non fece obiezioni, si sentiva orgoglioso del mio lavoro, dove usavo anche l’ inglese, e dove avrei guadagnato il mio primo stipendio. In principio per me fu un po’ dura, ma come in tutte le cose, quando incominciai a prendere confidenza col mio lavoro, diventai, a detta dello stesso zio della mia amica, la migliore segretaria che avesse mai avuto!

Ma io non pensavo al lavoro, ma alle opportunità che avevamo io e Roberto per vederci quasi tutti i giorni. Lui mi aspettava vicino a dove lavoravo, e da lì, presi per mano, mi accompagnava fino all’ entrata, poi, all’ uscita fino alla fermata del bus, e molte volte facevamo il tragitto sull’ autobus insieme, insomma sempre più spesso eravamo vicini, e molto furtivamente ci scappava anche qualche rapido bacio.

Roberto, dopo quasi un anno di sotterfugi per potermi vedere pochi minuti, mi disse che non potevamo più andare avanti così, e mi chiese di sposarlo! Io rimasi stupita, e allo stesso tempo immensamente felice, e con lo slancio dei miei vent’ anni, gli dissi di si, certo che lo volevo sposare! Ora però veniva la parte più difficile, io non me la sentivo proprio di affrontare mio padre, lui continuava con lo stesso atteggiamento verso Roberto, e, dopo tanto pensarci, decidemmo di sposarci in municipio senza dire niente a nessuno! Una mattina, vestita nel modo più semplice possibile, chiesi al mio principale un permesso per uscire, gli spiegai a grandi linee quello che stava succedendo, e lui molto comprensivo, mi disse di si. Fu una mattinata strana, avevo mille sentimenti dentro me, paura, incredulità per quello che stavo facendo, emozione, ma anche tanto dispiacere, mi sposavo senza nessuno della mia famiglia, eravamo solo io, Roberto, i due testimoni, (suoi amici) e il sindaco della città. Fu una cerimonia molto rapida, e dopo le firme tutto finì, ce ne tornammo, io al mio lavoro, Roberto al suo, e come se niente fosse accaduto, finito l’ orario lavorativo, me ne tornai a casa, col certificato di matrimonio nella mia borsa. Una volta a casa mi preparai per farmi una bella doccia. Ero sotto l’ acqua e mi stavo insaponando, quando incominciai ad udire delle urla, era mia madre, col mio certificato di matrimonio in mano e una crisi di nervi in atto! Non immaginavo che lei andasse a frugare nella mia borsa, che sospettasse qualcosa, e vestendomi in fretta e in furia chiamai un medico che consigliò a mia madre assoluto riposo e assoluta tranquillità!

Facile a dirsi. Tranquillità sopratutto! Cercai di spiegare a mia madre che io e Roberto non avevamo avuto altra scelta. Nè lei, nè mio padre avrebbero mai accettato nemmeno di farlo entrare in casa per lasciarlo parlare e noi ci volevamo sposare e che presto l’ avremmo fatto anche in chiesa. Mia madre piangeva sconsolatamente, dicendo delle cose insensate, e domandandosi come avrebbe fatto a dirlo a mio padre, se la sarebbe presa con lei per non essere stata capace di evitare quel “ disastro”. Allora le dissi con una calma che stupì me stessa, che avrei parlato io con mio padre, che lei non c’ entrava niente, e che ero io sola la responsabile dei miei atti, diamine! Avevo ormai vent’ anni!

Mia madre si calmò subito, era tanto il terrore che aveva di mio padre che sentirmi parlare in quel modo la rinfrancò non poco. Certo, ero io adesso quella spaventata, come avrei affrontato il discorso? Come avrei incominciato a dirgli, “ Papà, mi sono sposata?” Ma le sorprese quella sera non erano ancora finite, anzi! Sentimmo il rumore della macchina di mio padre fermarsi davanti casa, i passi che salivano verso la porta d’ ingresso e la chiave che girava nella serratura. Ma mio padre non era solo! Roberto era con lui!!!! Io corsi incontro a Roberto e mi rifugiai nelle sue braccia forti, lui mi disse piano: "tranquilla, è tutto a posto!"

Nessuno parlava, un silenzio imbarazzato regnava nella piccola sala d’ ingresso, e fu proprio mio padre a romperlo schiarendosi la voce e dicendo: “ Sediamoci, mi pare che sia arrivato il momento di parlare, o no?” Parlammo, si, parlammo per tutto il tempo che non fu possibile farlo, a volte mi scappavano anche le lacrime, a volte alzavo la voce come arrabbiata, altre sorridevo guardando Roberto che cercava alla meglio di dimostrare a mio padre che poteva mantenermi con il suo modesto stipendio, io allora interrompevo dicendo che anch’ io lavoravo, e che in due ce l’ avremmo fatta! Mio padre ricordava a Roberto come ero stata cresciuta, come ero abituata, che lui non mi aveva fatto mancare proprio niente... Io interrompevo sempre mio padre, con forza e coraggio, volevo fargli capire che anche se non avrei avuto tutto quello che desideravo, mi sarei accontentata, che non tutto era materiale nella vita, che l’ amore, la felicità, l’ essere insieme, ecc. ecc. ecc. Come mi sbagliavo....non sapevo, non immaginavo.... quanta ragione avesse mio padre.

Arrivò il giorno tanto sperato, il nostro matrimonio in chiesa si sarebbe celebrato nella chiesa Parrocchiale, sarebbe stata una cerimonia molto semplice, pochissimi gli invitati: infatti io avevo solo cinque o sei amiche, Roberto uguale, la sua famiglia viveva in un altro paese, molto lontano, e non poteva essere presente, ci sarebbe stata mia sorella con la famiglia, mia zia, e i miei genitori. Io ero vestita con un “ tailleur” bianco, semplicissimo, le scarpe in pelle laccata bianca, che mi aveva fatto Roberto, e una rosa bianca in testa che reggeva un piccolo velo bianco, e... dimenticavo! Il bellissimo bouquet di fiori bianchi freschissimi che mi aveva regalato mia sorella... Non mancava niente, era ora d’ incominciare la cerimonia, ma i miei genitori non apparvero. Seppi più tardi, che mio padre aveva avuto un incidente con la macchina, niente di grave, ma l’ avevano portato all’ ospedale per accertamenti e mia madre era andata con lui.. Era vero? Non vero? Non lo seppi mai, però il dubbio non mi lasciò più.

Dopo due mesi, aspettavo già il mio primo figlio, per me a dire il vero, troppo in fretta, avrei preferito aspettare almeno un anno per abituarmi alla vita matrimoniale, tanto più che io, non avendo avuto fratelli nè sorelle piu piccole, non sapevo nemmeno da dove incominciare a badare un neonato! Il parto fu molto difficile, le notti che seguirono insonni, mio figlio piangeva in continuazione, non avevo il mio latte da dargli e incominciò l’ odissea dei biberon: il latte che non andava mai bene, le coliche del bambino che stava male e faceva stare male anche me, insomma, incominciai ad avere segni di ansia e depressione. Roberto nel frattempo aveva cambiato lavoro, ora portava il caffè in grano, ai bar e ristoranti della città, si alzava alle cinque del mattino e con un furgone andava avanti e indietro in mezzo al traffico e distribuiva questi pacchi fino a sera. Tornava a casa stanco, distrutto, e non aveva certo voglia di sentire le lamentele di una moglie che, dopo tutto, non aveva altro da fare che badare alla casa e al figlio. Avevo lasciato il mio lavoro, perche non mi conveniva pagare una persona che badasse al nostro bambino.

Non so come successe che mi ritrovai incinta per la seconda volta. Roberto mi disse che era stato attento, ma evidentemente non abbastanza! Anche questo parto fu difficile, e la cosa si complicò enormemente quando il bambino incominciò a soffrire d’ asma bronchiale. Io non ce la facevo più fisicamente, l’ ansia peggiorava ogni giorno di più, e arrivò il momento che incominciai ad avere degli attacchi di panico. Ero diventata completamente inutile, non riuscivo più a fare niente e nemmeno a badare ai miei bambini, tremavo e piangevo, non dormivo, non mangiavo, arrivai a perdere una decina di chili, finchè un giorno caddi a terra svenuta e mi dovettero ricoverare. I bambini li prese mia madre, ma mi fece subito capire che con il carattere di mio padre non poteva tenerli troppo tempo. Mi mandarono da uno specialista, uno psichiatra, che mi mandò subito un sacco di medicine, antidepressivi e ansiolitici, che mi facevano stare come uno zombi, non riuscivo ugualmente a fare niente, stavo malissimo, e non si vedeva segno di miglioramento.

Mia madre, vedendo che le cose stavano precipitando, venne a stare da noi per un periodo di tempo, sperando di potermi aiutare. Faceva tutto lei, badava ai bambini, cucinava, lavava, puliva, e Roberto faceva il suo lavoro senza fermarsi un solo giorno, ma si preoccupava poco di tutto il resto. Questo mi dava molto fastidio, io avevo bisogno di lui, avevo bisogno della sua presenza, del suo appoggio morale, ma arrivava a casa, si faceva la doccia, mangiava e si metteva a dormire! Mia madre non perdeva occasione per dirmi quello che pensava di Roberto, e la cosa mi dava tremendamente sui nervi, anche se lei per me, era la mia salvezza.

Nel frattempo mio padre, che era rimasto “ solo” da alcuni mesi, si era subito “ consolato” e aveva preso una cameriera factotum che molto presto gli diede un figlio. Ma che bel quadretto familiare! Mia madre, che lo conosceva benissimo da una vita, non si scandalizzò più di tanto, e decise a malincuore di trasferirsi definitivamente da noi, visto che io stavo ancora male.

Passarono dieci lunghi anni. Io stavo meglio, la depressione era sparita, ma mi era rimasta dentro una gran tristezza e delusione. Mio marito non cambiò mai atteggiamento; le decisioni importanti, la scuola dei ragazzi, le malattie da gestire, i problemi della casa, tutto insomma, li gestivo io. Materialmente non ci fece mancare mai niente Roberto, guadagnava abbastanza bene e i soldi erano sufficienti, ma mi mancava l’ essenziale, mi mancava la complicità che normalmente c’è tra marito e moglie, mi mancava la tenerezza, mi mancava chi mi facesse sentire una donna, non come casalinga, madre, infermiera, segretaria, ecc, ma una donna come compagna, moglie, amante, amica... In tutti gli anni che siamo stati insieme, mai una volta che si fosse ricordato del mio compleanno, dei nostri anniversari di matrimonio, di nessuna ricorrenza importante, per lui erano cose senza importanza; e così, piano piano, mi allontanai da lui emotivamente, sentivo che avevo perso tutto quello che avevo sognato in lui, o meglio, non l’ avevo mai avuto, e mi sentivo troppo giovane ancora per rinunciare alla vita.

Un giorno, scrissi una lunga lettera, la misi in una busta e la lasciai bene in vista sopra il suo comodino. Gli dicevo addio, me ne andavo! Dove? Non so....ma volevo andare via, lontano, sparire, per sempre....

f i n e


franca merighi 42 01/08/2017 12:34 1191

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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