Ricordo… come fosse ora. Parecchi anni fa allo sportello si presenta un tipo, forse di una trentina d’ anni, una borsa in tela, credo contenesse una certa mole di quel libretto, con copertina cartonata, che aveva in mano.
Più che di un libretto si trattava di un opuscolo, realizzato in maniera semplice, con mezzi rudimentali.
Forse di una ventina di pagine, o poco più. All’ interno brevi componimenti, piuttosto miseri.
Mi porge il libretto e dice: sono mie poesie, ho realizzato una pubblicazione, le vado distribuendo io in giro personalmente. Nel senso che le vendeva.
Non so... forse mi fece pena o forse fui mossa semplicemente dalla curiosità.
Gli chiesi: quanto costa? Dieci euro rispose.
Erano quattro cosucce a sfogliarlo, ma forse di valore, pensai.
Gli diedi dieci euro. Andò via.
Devo precisare che al piano terra, dove lavoro, entrano tutti e tutti si dirigono quasi automaticamente al mio sportello.
Sportello poi… Uno sportello d’ ufficio ha un oblò, è molto ridotto. Ti senti quasi come una perla dentro la conchiglia, sollevi appena il guscio e via.
No, il mio sportello è un finestrino a scorrimento, quadrato, largo cinquanta centimetri circa. Tanto che più di qualcuno quando si avvicina ad esso per pormi una domanda, si sporge quasi con mezzo busto all’ interno del finestrino stesso. E più di qualcuno ci ha sbattuto la testa.
Sì un finestrino così ampio … tanto che una mattina d’ estate, forse venti anni or sono, dall’ ampia finestra tutta spalancata, un pipistrello, non vedendo la via, arrivò di sparata dentro la stanza, all’ improvviso, andandosi a posare quasi vicino ai miei piedi.
Il finestrino o se preferite sportello è posto di fronte alla finestra ampia centrale della stanza.
Io allora spaventata, poiché non avevo il coraggio di aggirare il pipistrello che era lì immobile sul pavimento, per uscire dalla stanza ed andare a chiamare qualche mio collega che acchiappasse l’ intruso e lo buttasse fuori, salii sulla sedia e imboccai il finestrino per passare dall’ altra parte.
Naturalmente nessuno capì il mio spavento, piuttosto mi criticarono per essere passata dallo sportello.
Comunque, tornando al tizio… mi diede il libretto si prese dieci euro e andò via.
Continuai a lavorare. Una volta a casa, buttai l’ opuscolo da una parte e non ci pensai più.
Dopo qualche giorno lo presi in mano, lo sfogliai, pochi versi per ogni pagina, poche pagine. Un bambino delle elementari avrebbe scritto non solo meglio, ma anche qualcosa di più sensato.
Allora mi ricordai tutte le sue parole.
Sono poesie che ho scritto io. Ed io avrei potuto dirgli: ma davvero? Anch’ io scrivo poesie.
Gli dissi solo: ok per solidarietà le compro. Ma lui non aveva capito di che solidarietà si trattasse.
Forse era un poveraccio, senza lavoro e senza soldi. Aveva scritto quattro cose pensando di mangiare col ricavato.
Ma forse si trattava di uno come tanti che ci provava a racimolare soldi con ogni mezzo contando sulla bontà e sulla sensibilità d’ animo altrui.
Pensai alla Poesia però, a come era stata sputtanata, offesa, maltrattata.
E rimasi fiaccata dai miei stessi pensieri.
Un po' di anni dopo, due o forse tre, di nuovo allo sportello, ecco che uno, interrompendo il mio bel da fare, si presenta e senza giri di parole si propone per vendermi poesie.
Era lo stesso tipo. Non accennò al fatto che si era già presentato precedentemente con lo stesso intento.
Nulla, come fosse venuto per la prima volta. Mi era parso addirittura fiero di quella sua prodezza.
Però appena aprì bocca lo fermai dicendogli: scusi, non perda tempo, non m’ interessa la poesia.
E dentro di me chiesi perdono a Dio per una tale espressione che suonava come una bestemmia.