La stanza semibuia era pregna d’ odore di medicinali e di morte. Anonima… nel giro di malati terminali che si susseguivano, già consapevoli che la loro vita era arrivata al capolinea. Le membra consumate dalla malattia, che non solo aveva distrutto il corpo ma anche la dignità di un essere umano. Ridotti l’ ombra di se stessi, incapaci anche di fare le cose più semplici, come nutrirsi o lavarsi o più semplicemente respirare.
Marta girò lo sguardo velato verso l’ infermiera che le stava sostituendo la flebo e con un filo di voce, le chiese se poteva farle un favore, scrivere una lettera. Erano mesi che Angela accudiva Marta e lo faceva con tanta pazienza, ma soprattutto con grande affetto.
Per sdrammatizzare la situazione così difficile e dolorosa, abbozzò un sorriso e le rispose: ” Marta per caso hai un nuovo fidanzato e non me ne hai parlato?”
Ma vedendo l’ aria sofferente della donna, si vergognò di quello che aveva appena detto e ritornò seria, dicendo: ” Certo, un attimo che prendo carta e penna.”
Ritornò e dopo averle sistemato le coperte, si sedette accanto a lei sul letto e le chiese: ” Allora chi è il fortunato destinatario?”
Già chi era?
Era un’ amica speciale ed unica, iniziò a parlare con un soffio di voce: ” Vita mia, so che stai per lasciarmi, fra le braccia delle donna di ghiaccio, ma prima dell’ addio, voglio dirti grazie.
Grazie per ogni giorno che mi hai donato, giorni di sole ma anche giorni di pioggia, momenti di tenerezza e momenti bui, che mi hanno insegnato ad amarti sempre di più.
Ti ringrazio di avermi abbracciato con amore nel grembo materno, che è custode delle tue carezze; di avermi lasciato riflettere quando il tuo respiro si è fatto più cattivo ed avrei desiderato non volerti più bene.
Ma tu mi prendevi la mano e seppur con dolore, mi ricordavi di quanto sei preziosa. Il tuo profumo a volte era così amaro e pungente e tanto aspro da non sopportarlo, ma altre volte eri così dolce da non poter fare a meno di sentirti vicina e coinvolgente.
Grazie perché mi hai insegnato a scendere, ma anche a risalire le scale, nonostante fossi caduta più volte, scivolando nel vuoto dell’ indifferenza e nell’ oscurità della dipendenza…
Marta si soffermò facendo un lungo respiro, Angela trattenne a stento la commozione, poi, vedendo che Marta si stava affaticando troppo, tant’è che riusciva a malapena a respirare le disse: ” Ora riposati… che la lettera la terminiamo dopo, così ne approfitto per somministrare la terapia alla piccola Giorgia.”
Nel frattempo, abbassò di più le tapparelle, perché aveva notato che un raggio di sole entrava prepotentemente nella stanza ed impietoso, illuminava il viso stanco e pallido di Marta. Lei fece un debole cenno con la testa e con lo sguardo assente, fissò quelle pareti prive di vita e subito dopo si assopì in un sonno, che da tempo era privo di bei sogni, ma ricco di incubi che non la lasciavano più.
Nel sogno l’ avevano afferrata per le gambe e la trascinavano giù nel vortice dell’ ignoto. Buio tetro e minaccioso, tentacoli così forti da non potergli resistere, e lei precipitava sempre più giù, nella voragine infinita ed il suo urlo restava muto, soffocato dal terrore.
Come ogni volta si svegliava di soprassalto, mentre alcune gocce di sudore le scivolavano sulle gote scavate, poi spalancava gli occhi pieni di paura e si accorgeva che quello non era solo un brutto sogno, ma purtroppo, era ciò che il suo inconscio provava.
Il non conoscere il dopo era peggio della malattia. Oltre questa verità ne esisteva un’ altra? Oppure dopo la morte c’ era l’ abisso del niente?
La fede vacillava e le sue certezze venivano sempre meno, il dubbio che oltre non ci fosse niente, le metteva ulteriore angoscia. Intanto, ritornò Angela e come sempre portò il vassoio della cena, ma sapeva che Marta non l’ avrebbe sfiorato, ormai erano giorni che lei non toccava più cibo.
La pregò di finire la lettera ed Angela riprese il foglio che aveva riposto nella tasca della divisa e si mise accanto a lei.
Marta, ancora più debolmente di prima, ricominciò a parlare, infatti, la morfina iniziava a produrre il suo effetto, stordendola: ” Vita mia” continuò…
“ Ti chiedo scusa se a volte ti ho maltrattata, dandoti la colpa di tutti i miei guai, non rendendomi conto che ero io la causa di tutti i miei malesseri.
Pretendevo da te l’ impossibile, mentre tu l’ impossibile me l’ avevi già regalato, mi avevi donato la cosa più preziosa di questo mondo, te stessa.
Ma ora che il mio cuore e la mia mente si sono aperti, desidero che tu sappia che ti amo, al di là di tutto ed oltre la sofferenza, ma ora sono stanca di lottare contro un nemico così crudele che succhia con avidità ogni goccia del mio sangue, allora ti prego, è arrivato il momento di lasciarmi andare, affinché io, possa finalmente riposare…”
Angela credeva di aver capito, era tutto chiaro, era una richiesta d’ aiuto per porre fine a quel supplizio, ma si sbagliava.
Marta aggiunse: ” Angela, porta questa lettera alla piccola Giorgia, così leggendola, capirà che vale la pena di lottare sempre, anche quando la vita ci sembra inutile e non vediamo vie d’ uscita.
Non c’è cosa più bella e preziosa della vita stessa ed anche se la mia lettera alla fine può sembrare un’ arresa, in effetti non lo è, perché anche accettare la morte, è un inno alla vita, quella vera.
Ti prego Angela, portagliela adesso e grazie per la tua pazienza.”
L’ infermiera piegò la lettera in due e senza dire una parola, si avviò verso l’ uscita.
Si voltò per l’ ultima volta verso Marta, che oramai, senza più forze, aveva chiuso gli occhi.
Commossa non riuscì a trattenere le lacrime; era grata a quella donna, che in quel giorno, seppure di immane sofferenza, le aveva fatto un regalo, le aveva insegnato la nobiltà d’ animo, la generosità e soprattutto ad amare sempre e comunque la vita. Perché è una sola e non possiamo distruggerla, sprecarla, spesso dando importanza a cose superflue di cui potremmo farne a meno.
Angela sottovoce disse: ” Grazie a te di tutto, Marta.”