Poco dopo aver abbandonato il monastero
avvertii un rimbombo, quasi fosse l’ arrivo di un temporale. In quel momento Figlio Del Vento scartò in modo nervoso battendo gli zoccoli sul terreno. Smontai da cavallo e poggiai la mano e l’ orecchio sulla terra e fu allora che avverti il rimbombo.
“Cavalli. Sono tanti. Un’ intera mandria o, peggio ancora, un esercito. Forse sarebbe meglio se mi trovassi un riparo.” pensai, guardandomi intorno alla ricerca di un rifugio.
“Quelle rocce laggiù possono servire allo scopo. Rimarrò nascosto finché non avrò scoperto di cosa si tratta.” mi dissi, galoppando al riparo.
Trascorsero solo pochi minuti prima di distinguere i cavalieri in arrivo.
Riconobbi anche da lontano il vessillo che sventolava al vento: «La testa del lupo ghignante. “Lo stendardo del nostro contingente! Dove stanno andando?” mormorai tra me uscendo allo scoperto.
Quando mi videro mi raggiunsero e tra loro riconobbi i compagni e gli amici più cari e fedeli.
«Kento, Tanaka, Daisuke, Fujio, che succede?»
Loro mi sorrisero: « Credevi davvero di poter andare in giro per il mondo senza la nostra compagnia?» domandò Fujio.
Li guardai a uno a uno con gratitudine e commozione: «Questo è un problema che devo affrontare da solo. Tornate al monastero.»
Fujio mi squadrò con cipiglio:
« Ci manda la Gran Sharez. I messaggeri hanno riportato infauste notizie sull’ esercito nemico. Pare che gli shogun traditori possano contare di oltre cinquemila soldati. La nostra missione è di andare ad affrontarli per arginarne l’ avanzata.»
Quella notizia mi sconcertò e per qualche istante tentennai confuso. Cosa dovevo fare? Rifiutare di fare il mio dovere da samurai, coprendomi di disonore e di vergogna per perseguire i miei propositi di vendetta?
Raddrizzai le spalle. Non ci potevano essere dubbi. Ero un samurai nella mente e nel cuore e dovevo unirmi ai miei compagni nella lotta contro il male.
«Verrò con voi!» esclamai e i compagni sospirarono di sollievo.
«Non ho mai dubitato, Aiashi.» mi disse Tanaka.
La ringraziai con un cenno del capo.
«Considerato che sei stato nominato capo del contingente dacci i tuoi ordini, comandante Hamamoto.»
Quella nomina mi sorprese perché non me l’ aspettavo. Era un ruolo di grande responsabilità. Accettando mi assumevo il compito di salvaguardare al meglio la vita di tutti quei giovani uomini e donne. Samurai. I miei samurai.
Tornai a squadrare il contingente.
«Raggiungiamo a malapena i mille. Le forze in campo saranno impari. Per quanto valorosi potremmo essere quattro nemici contro uno sono veramente troppi.
Voglio che un messaggero torni al monastero. Ci occorrono rinforzi.»
Fujio scosse la testa:
«La Gran Sharez aveva previsto la tua richiesta e ti manda a dire che dovremmo arrangiarci da soli. I samurai del generale Tashika sono stati inviati al confine, per arginare eventuali attacchi da oriente. Gli shogun di quelle regioni hanno trovato alleati tra i ribelli indocinesi. Le spiace ma non può inviarti altri guerrieri.»
Quelle parole suonarono come una condanna, eppure, diedi il segnale di partenza.
18 ottobre 1847
L’ esercito dei ribelli era schierato oltre il lembo di terra definito di nessuno.
Erano tanti. Non si riusciva nemmeno a quantificarne il numero. Le lance che i nemici tenevano puntate verso il cielo facevano muro apparendo come una fitta e intricata foresta. Sotto i raggi del sole il metallo degli scudi e delle spade emanava bagliori che accecavano.
Fu mentre studiavo l’ esercito nemico, poco prima dello scontro, che mi apparve il branco di lupi. Ebbi l’ impressione che mi avessero seguito e che ora fossero fermi, in mia attesa, al limitare del bosco.
Kento, il compagno che avevo nominato mio attendente, mi venne vicino e ci scambiammo uno sguardo preoccupato.
« Non mi piace, capo. Quei lupi sono apparsi all’ improvviso senza ululare o ringhiare e si comportano in modo strano. Non vorrei che fossero affamati a tal punto da volerci considerare probabili prede.»
Prima di rispondere valutai per bene la situazione e la mia attenzione si accentrò sul più grande. Un lupo grigio enorme, come mai avevo visto nemmeno nei miei sogni. La belva mi aveva puntato addosso il suo sguardo di fuoco.
Un’ indefinibile sensazione crebbe dentro di me. Era disagio, paura?
Non mi sentivo tranquillo e avvertivo lo stesso nervosismo serpeggiare tra i miei guerrieri.
«Di’ agli uomini di non muoversi e di non fare gesti improvvisi» ordinai, cercando di mantenere un tono pacato.
Anche il branco ci osservava. Il pelo dritto sul dorso e le fauci sbavanti rimanevano fermi, emettendo profondi ringhi di gola.
Non rilevai un atteggiamento particolarmente minaccioso, ma non distolsi mai lo sguardo da quello più grande, il lupo grigio che sembrava il capo. I nostri occhi erano incatenati e mi parve che i suoi volessero comunicare:” Combatteremo al vostro fianco, Vento che sibila tra le montagne.”
Quel breve, essenziale messaggio rimbalzò nella mia mente.
Ebbi un sussulto incontrollabile e Kento, che mi era a fianco, sobbalzò di conseguenza.
« Che succede, capo?» domandò, con i nervi tesi allo spasimo.
Non risposi. Non potevo. Ero troppo turbato da quanto era appena accaduto. Possibile che quel lupo avesse davvero comunicato il suo pensiero?
In che bizzarra situazione mi trovavo? Non avevo mai sentito di lupi che pensassero e comunicassero, perlomeno, non con gli esseri umani.
« Capo!» ripeté Kento « Gli uomini si sono innervositi, che ti succede?»
Mi riscossi e, dal tono preoccupato, intuii che sarebbe bastato un nulla per far scoccare la scintilla della violenza.
« Niente! State calmi! Ero solo soprappensiero.»
« Cosa facciamo con i lupi? Continuano a osservarci come volessero sbranarci ma non si muovono.»
Lo guardai e poi, guardai i miei guerrieri schierati in ordine perfetto. Aspettavano i miei ordini. Uomini e donne addestrati alla perfezione. Samurai nel corpo, nella mente e nel cuore. Abituati a combattere fianco a fianco a guerrieri addestrati allo stesso modo.
Poi guardai verso lo schieramento avversario, immobile e in attesa oltre il confine della terra di nessuno.
Per un attimo rimasi sconcertato dal numero. Non per me, ma per i miei guerrieri. Potevo contare su mille, agguerriti samurai, ma quanti avrebbero visto sorgere l’ alba dell’ indomani?
Mi vennero in mente le loro famiglie, i figli, i genitori.
Volsi verso di loro la mia attenzione, squadrandoli a uno a uno. Li conoscevo da tempo; con alcuni avevo fatto lo stesso corso di addestramento; avevamo riso e, qualche volta, persino pianto insieme. Avevamo condiviso gli anni di gioventù. E ora, mi trovavo costretto a guidare molti di loro, verso la morte.
Mi diedi dello stolto. Non era quello lo spirito giusto per affrontare una battaglia. Basta recriminare! Ci eravamo allenati per tanto tempo, proprio per diventare guerrieri e difendere il popolo contro le ingiustizie e le barbarie.
“Sono davvero un buon comandante per loro? Non è un azzardo trascinare mille guerrieri contro… quanto? Il triplo, il quadruplo dei nemici?” Quel dubbio mi penetrava dentro, simile a un rovello.
Mi sovvennero le parole della Sharez: « Un vero capo è colui che non getta allo sbaraglio i suoi guerrieri, ma pensa alla tattica migliore per sconfiggere il nemico, senza peraltro sacrificare inutilmente la vita dei suoi gregari.»
“Pensa prima di scendere in campo, pensa. Hai dalla tua parte anche un centinaio di lupi. Potrebbe rivelarsi la mossa strategica vincente. Ma come?”
Puntai lo sguardo sull’ esercito nemico. Ne valutai gli squadroni, le armi e le possibili tattiche. Dalla nostra posizione non erano visibili cavalli e cavalieri ma, probabilmente, la cavalleria era tenuta in disparte, pronta a balzare in campo una volta che la fanteria e poi gli arcieri avessero terminato il loro compito.
Così elaborai quella che mi parve la tattica migliore.
I miei mille guerrieri li avrei divisi in quattro battaglioni e li avrei mandati a coprire i quattro punti cardinali. Poi, a proposito dei lupi, mi venne un’ idea e spronai il cavallo avvicinandomi al capobranco.
Figlio Del Vento stronfiò, innervosito dalla vicinanza della belva e dovetti trattenerlo, forzando sul morso. «Sta buono» gli sussurrai in un orecchio assestando pacche affettuose sul suo lungo collo. Quando capì che era inutile scalpitare, smontai e lo indussi a tornare tra i miei guerrieri.
Kento afferrò le briglie al volo e urlò alle mie spalle: «Sei davvero un folle, Aiashi Hamamoto!»
«Qualunque cosa accada, prendi tu il comando!» gli ordinai, poi per precauzione sguainai la mia spada e, a una decina di metri dal branco, mi accosciai al livello del lupo grigio.
Le belve mi circondarono: “Nel caso mi attaccassero i miei non potrebbero fare nulla” pensai e il pensiero di finire sbranato mi fece rabbrividire. Tuttavia, drizzai ancor di più le spalle e cercai d’ ignorare i ringhi minacciosi che mi giungevano da tutti i lati.
Guardai il lupo negli occhi evitando di assumere un atteggiamento di sfida, ma al contrario, cercando di mostrarmi umile.
In verità, mi sentivo uno sciocco. Che ci facevo accosciato davanti a quel lupo, dalla stazza gigantesca e le fauci digrignanti e bavose? Qualunque cosa, pur di aumentare le nostre probabilità di sopravvivenza, mi dissi, così tentai un’ altra connessione mentale.
“Sei venuto armato” percepii quella sorta di rimprovero nella mente e me ne vergognai. Rinfoderai la spada e rimasi del tutto indifeso e alla mercé del branco.
” Sei in grado di percepire il mio pensiero, creatura magica?”
Lui ringhiò, indietreggiando innervosito. “Qual è la tua richiesta, umano?” La sua risposta cavernosa rimbombò nel mio cervello dandomi la scossa. Avvertii un altro, interminabile brivido lungo la schiena.
“Le nostre rispettive stirpi sono millenarie “ esordii “e, pur se non ne conosco il motivo, combattono affiancati, dagli albori del tempo, le ingiustizie e la tirannia. Oggi ci attende una nuova battaglia. L’ esercito nemico si stende numeroso in quella vallata. Noi, al contrario, siamo pochi. Ma possiamo farcela a contrastarne l’ avanzata, se seguiamo una valida strategia. Sei disposto a scendere a patti con me?”
Il lupo mi squadrava. Ebbi l’ impressione che valutasse le mie qualità di stratega e la sua risposta tardò ad arrivare, per qualche interminabile istante.
“Sono qui per questo, Vento che Sibila tra le Montagne.”
Il fatto che conoscesse anche il mio nome da battaglia, non mi meravigliò più di tanto, perché consideravo già straordinario il fatto che riuscissimo a comunicare.
“Bene!” approvai, mettendolo al corrente del piano che avevo elaborato.
Quando terminai, il muso della belva assunse un’ espressione che mi fece pensare stesse sorridendo.
Tuttavia, avevo ancora un dubbio da chiarire e lo esposi: “I tuoi compagni saranno in grado di distinguere i guerrieri nemici dai miei samurai?”
Lui non smise mai di fissarmi negli occhi e questa volta mi parve proprio risentito.
“Per una buona alleanza occorre che entrambe le parti ripongano fiducia l’ una nell’ altra. E, comunque, in tanti secoli di battaglie, non è mai accaduto l’ errore che tu paventi.”
Annuii, alzando la mano in un segno di pace.
“Combatteremo al tuo fianco e tu, da vento, diventerai tempesta spazzando i tuoi nemici dal campo di battaglia! “ mi comunicò, mentre si allontanava con i suoi gregari.
Rimasi a guardarlo, assorto. Le sorti di quella battaglia dipendevano tutte dal comportamento del branco. Quel lupo avrebbe rispettato i patti?
Prima di sparire tra gli alberi, si voltò e io ebbi la straordinaria sensazione che volesse rassicurarmi: “Ancora una volta, uomini e lupi saranno alleati e spazzeranno di gelo quel campo di battaglia!”
L’ ultima visione che ebbi fu quella del branco che lo seguiva.
Tornai dai guerrieri che avevano assistito, senza parlare e senza capire, alla tacita scena che si era svolta tra me e l’ animale selvaggio.
« Capo — mi disse Kento, con un tono incredulo — Lo so che non è una cosa possibile, ma sembrava proprio che steste comunicando.»
Liquidai la questione: « Se gli dè i ci favoriranno, un giorno ti spiegherò, amico mio.» quindi con tono pacato, mi rivolsi alle mie truppe.
Ma proprio in quel momento, il suono cupo di un corno da segnalazione rimbombò alle nostre spalle.
Per qualche istante rimanemmo immobili, come basiti. Non si capiva da dove provenisse il richiamo. Poi, la terrificante verità, si fece largo nelle nostre coscienze: «Dannazione! È una trappola!» esclamò Kento.
Eravamo caduti in un agguato!
Vidi i miei guerrieri agitarsi come foglie al vento mentre il rimbombo di centinaia, forse migliaia di zoccoli di cavalli risuonò nella vallata. Una schiera infinita di guerrieri si allargò a ventaglio impedendo ogni via di fuga.
La cresta della collina che ci sovrastava, era punteggiata da centinaia di alabarde minacciose.
«I generali nemici si sono mostrati più astuti di me. — sbottai con amarezza — Mi hanno giocato!»
«Non è colpa tua, capo! Non potevi prevedere che avrebbero diviso l’ esercito in questo modo. La manovra di accerchiamento deve essere durata delle ore e col rischio che poteva essere scoperta e neutralizzata.»
Caro e fedele Kento! Gli ero grato per la sua solidarietà, anche se in cuor mio sapevo che le sue parole erano dettate soltanto dal profondo affetto che ci legava da anni.
Anche Tanaka uscì dai ranghi e mi si avvicinò: «Ti seguiremo tutti fino alla morte!» esclamò con fervore e rafforzando il senso di solidarietà e legame che rendeva unico il nostro contingente.
Annuii squadrando i miei samurai pronti a dare la vita per i loro ideali senza mostrare tentennamenti.
Ma ora ci trovavamo schiacciati in una morsa che ci avrebbe costretti a combattere su due fronti.
Imprecai contro me stesso continuando a torturami per la mia dabbenaggine:” Come ho potuto essere così sprovveduto? In questi pochi minuti che ci rimangono il loro sangue peserà sulla mia coscienza! “
Ero consapevole che nessuno di noi sarebbe sopravvissuto e, nonostante i miei guerrieri mantenessero i nervi saldi, era evidente che avessero la stessa funesta certezza: nessuno di noi sarebbe sopravvissuto!
Studiai i nuovi arrivati.
Non riuscivo a vedere i volti nascosti dalle celate delle maschere dai musi ghignanti.
E mentre li osservavo le fila nemiche si allargarono, lasciando intravedere l’ arrivo di un nuovo cavaliere preceduto dal suo porta- vessilli, con le insegne che garrivano al vento. Prima ancora di riconoscere l’ armatura del guerriero, riconobbi lo stendardo e il mio cuore tremò dall’ emozione. L’ aquila dorata che si librava sul campo verde.
«Le insegne della Gran Sharez!» esclamò Kento con tono entusiasta.
Il mio cuore accelerò i battiti e tremai per la profonda emozione che mi procurò l’ arrivo di quell’ amazzone.
Anche i miei samurai riconobbero le sue insegne e si allargarono, lasciando libero il passo e salutandola con un’ ovazione. Le spade batterono sugli scudi provocando un rumore assordante.
Vidi lo schieramento nemico sbandare leggermente e sorrisi soddisfatto. Con l’ arrivo del contingente di Hashiko le prospettive cambiavano sul campo.
Hashiko indossava l’ elmo con la celata abbassata. Appena mi si affiancò se ne liberò e, la treccia in cui aveva raccolto i capelli, le cadde sulle spalle. Mi sorrideva e io le sorrisi grato, a mia volta.
«Benvenuta! — esclamai galoppandole incontro — Non sai quanto sono felice di rivederti!»
«Invece, ti sbagli. Posso immaginare, comandante Hamamoto!»
L’ ammirai! Era splendida ricoperta dalla corazza di cuoio plasmata alla perfezione per seguire e proteggere le curve del suo corpo.
Lei si accorse della direzione presa dai miei pensieri e mi redarguì con uno sguardo severo, quindi, con tono più lieve, mi disse: « Ti vedo comunque sorpreso, comandante! Non avevi bisogno di rinforzi?»
Annuii con decisione. Per quanto potevo appurare, aveva portato con sé almeno altri cinquecento samurai.
Le nostre probabilità di contrastare l’ avanzata del nemico aumentavano ancora.
« No. Non me lo aspettavo e ti sono grato per questo!» le dissi.
« Siamo tutti ai tuoi ordini, comandante. Hai già studiato un piano?»
« Questo vostro provvidenziale arrivo mi consentirà di rinforzarlo.»
« Svelami le tue intenzioni in modo che possa istruire i miei samurai.»
« Sì, certo! Ma avrei ancora una richiesta da porti.»
« Parla, dunque e, se sarà in mio potere, ti accontenterò!»
« Cavalcherai al mio fianco, mia signora?»
Il suo viso si aprì in un sorriso che non avrei più dimenticato per tutta la vita.
« Cavalcherò con te, Aiashi Hamamoto.»
Posi la mano destra sul cuore chinando il capo, quindi la misi al corrente. Le parlai anche dei lupi e lei non parve sorpresa.
«I lupi da sempre fanno parte della storia di questo contingente e non per niente il tuo vessillo li raffigura. Quegli animali sono con te e ti serviranno fedelmente.»
« Lo spero perché nonostante i tuoi samurai siamo sempre in minoranza numerica.»
« Il cuore e la volontà di questi guerrieri sapranno sopperire allo svantaggio e comunque, la tua mi sembra una strategia vincente. — affermò, annuendo —Occorre soltanto che tu abbia fiducia in te stesso e nei compagni e negli alleati che ti circondano.»
Concordai con lei annuendo.
«Ma sbaglio o ti apprestavi a parlare ai tuoi guerrieri?»
« Sì», le risposi, avvolgendo in un unico sguardo circolare anche i suoi samurai. « Ho ancora alcune cose da dire!»
Squadrai i guerrieri delle prime file a uno a uno, poi, alzando un po’ il tono, in modo che mi sentissero tutti, iniziai il mio breve discorso:
« Questo è un giorno speciale per noi, perché è quello del nostro esordio in campo. I nostri nemici sono tanti, troppi, numerosi come uno sciame di cavallette e noi, al contrario, siamo ancora pochi. Ma i nostri cuori sono colmi di grandi ideali, come la libertà, la giustizia e la pace. Ottimi alleati, che centuplicheranno le nostre forze.» feci una pausa e poi impressi più decisione al mio tono: « Ma oggi, avremo il privilegio di schierare dalla nostra parte un branco di belve assetate come noi del sangue dei nostri nemici. Essi ci accompagneranno, combattendo al nostro fianco.» feci un’ altra pausa, mentre Figlio Del Vento, a causa della lunga attesa, girava innervosito su se stesso.
Quando lo dominai, ripresi, mettendo più enfasi nelle mie parole: « Io vi dico di non temerli, di non ostacolarli, ma lasciate che scorrazzino liberamente tra i nostri nemici. Oggi, molto sangue scorrerà su questo campo, ma io vi prometto che non sarà soltanto il nostro, ma la maggior parte sarà quello dell’ esercito traditore.»
I guerrieri mi avevano ascoltato senza fiatare e, mi accorsi dal loro sguardo ardente, che il mio discorso aveva infiammato ancor di più i loro animi.
Sguainai un’ altra volta la spada, puntandola verso il nemico: « Siete pronti a dare l’ anima in cambio della libertà per il nostro popolo e per la nostra terra?» urlai con tutto il cuore e loro risposero, sguainando le loro armi in un ruggito unanime.
Quando cavalcammo giù dalla collina, l’ eco della vallata decuplicò l’ ululato che era il nostro inno di battaglia e contagiò l’ orda di lupi con un coro di ululati che fece eco al nostro.
Guardai i miei guerrieri. Giovani donne e uomini pronti al sacrificio estremo per i loro ideali. I volti erano coperti dalle maschere di cuoio dai ghigni satanici ma, le feritoie per gli occhi, lasciavano intravedere lo stesso mio sguardo iniettato di sangue.
Sorrisi tra me. I nemici avrebbero tremato alla vista di un esercito di diavoli forsennati.
I lupi, invece, non si vedevano. Fino allora, il capobranco, aveva rispettato gli accordi tenendosi in disparte. Quei lupi sarebbero diventati la nostra risorsa segreta. Anche il branco si sarebbe diviso e, una parte avrebbe aggirato la cavalleria attaccandoli poi alle spalle e seminando il terrore e lo scompiglio tra i destrieri da guerra, mentre l’ altra, avrebbe dilagato con ferocia attaccando sui fianchi la fanteria.
Ci catapultammo sulla linea del fronte, galoppando come forsennati e la terra di nessuno venne divorata dai ventri e dalle zampe dei nostri cavalli in una manciata di secondi.
L’ afrore di tanti corpi sudati, misto a quello dei cavalli e al sentore delle zolle umide sollevate dal nostro passaggio, mi salì alle narici.
Il cuore prese a battermi all’ impazzata, scandendo il tonfare degli zoccoli sul terreno. Avvertivo l’ adrenalina scorrere a fior di pelle. La macchina da guerra che era in me, si era avviata e nessuno avrebbe potuto smorzarne l’ ardore.
L’ impatto sulle prime linee nemiche fu irruente e catastrofico per i fanti nemici. La selva di giavellotti issati a mo’ di palizzata difensiva sembrava il dorso di un istrice con gli aculei irti, ma non resse alla carica e si ruppe in pochi secondi. Avevamo sfondato la prima linea, senza riportare grossi danni e ciò era già una cosa positiva.
Venni preso dalla frenesia del combattimento e, in poco tempo, la mia spada era lorda del sangue nemico.
Nel bel mezzo della battaglia mi trovai, all’ improvviso, circondato da un nugolo di nemici armati di lance. Ne avevo già abbattuti tre, ma altri quattro si facevano avanti, forti della superiorità numerica. Mi accorsi di trovarmi in difficoltà sebbene combattessi e mi difendessi con furia selvaggia, quando risuonò nell’ aria un ululato rabbioso.
Non potei girarmi subito ma due dei nemici caddero nella polvere e quando infine con la coda dell’ occhio osai sbirciare alle mie spalle, mi accorsi che c’ era lei che combatteva con me.
Hashiko mi fece un cenno d’ assenso, incoraggiandomi a non indugiare con le domande e io tornai a combattere con nuovo vigore. Quel giorno la Sharez mi aveva salvato la vita.
8 maggio 1902
Mia zia fece scorrere l’ anta della porta e mi sorrise, chinando il capo. Indossava il tradizionale kimono e se ne stava inginocchiata sull’ ingresso, con accanto il vassoio del tè e tante altre prelibatezze. « Sono ore che sei chiuso qui dentro. Ho pensato che volessi mangiare qualcosa.»
Le sorrisi. Fino a quel momento ero rimasto tanto immerso nella lettura, da non avvertire il languorino che mi assalì, invece, alla vista del contenuto del vassoio.
« Tu pensi sempre a tutto. Grazie zia.»
Lei entrò, chiudendo la paratia alle sue spalle, poi, proprio come un’ impeccabile geisha, mi servì la bevanda calda.
« Vedo che trovi interessante la storia dei tuoi antenati.»
« La trovo affascinante, zia.» risposi, con la visione vivida della battaglia. Nella mia mente risuonavano alti gli ululati dei lupi e il clangore delle armi che cozzavano. Rivedevo Hashiko, mia nonna, cavalcare al galoppo mentre accorreva in aiuto del nonno, facendo salire alto il suo urlo da battaglia.
In quel momento pensai che dovessi essere fiero di loro.
« Zia, la mamma è al corrente di questa storia?»
« Sono io la custode di queste memorie. Tua madre non sa nulla del passato della nostra famiglia. Solo alcuni di noi sono votati a custodirne la leggenda e tu sarai il prossimo, Aiashi Hamamoto.»
« Io…?» la mia voce tremò, incerta.
« Io sono vecchia ormai. Toccherà a te tramandare la storia di questi gloriosi guerrieri.»
« Perché proprio io, zia?»
« Perché tu, ancora non lo sai, Aiashi, ma il tuo è un cuore da samurai.» disse, lasciandomi solo.
La sua risposta mi lasciò interdetto. In realtà, ho sempre creduto di essere un ragazzino timido, non molto coraggioso, ligio agli studi e all’ allenamento della mente, più che del corpo. Non ero avvezzo alle arti marziali e alla lotta e, in un eventuale combattimento, avrei perso di sicuro.
La zia si sbagliava sul mio conto. Non meritavo quella nomina e glielo avrei fatto presente quando fosse tornata.
« Cuor di leone!» mi presi in giro da me, sbocconcellando il cibo e riprendendo la mia lettura.
18 ottobre 1847
Erano trascorse alcune ore dalla fine della battaglia. Ero esausto e il mio sguardo vagava sullo scenario apocalittico che si stendeva ai piedi della collina.
Con l’ aiuto dei lupi e il supporto dei samurai della Sharez avevamo vinto quella prima battaglia. Anche se la maggior parte dei ribelli si era ritirata, non ci illudevamo che fosse l’ ultima. Sapevamo che appena avessero radunato le forze e la ragione, sarebbero tornati al contrattacco.
Ne ero perfettamente consapevole, ma per il momento potevo assaporare il gusto amaro dal calice della vittoria.
«A quale prezzo abbiamo prevalso!» mormorò Hashiko intercettando il mio sguardo malinconico.
«È stata una carneficina» ammisi, guardando i corpi riversi di tanti giovani guerrieri di entrambe le fazioni.
«Tutte queste povere, giovani vite sacrificate sull’ altare della brama del potere e dall’ avidità. Quanta miseria e superficialità può albergare nel cuore di un essere umano?» commentai, lacerato da un dolore sincero.
Per un vero samurai non aveva senso quello spreco di vite. Eravamo addestrati per uccidere, è vero! Perfette macchine da guerra! Ma un vero samurai possedeva anche un grande cuore e non toglieva la vita per il solo gusto di farlo, ma cercava di evitarlo finché gli era possibile.
Un vero samurai sublimava il mistero della vita e l’ osannava ogni giorno, in ogni sorgere dell’ alba e in ogni tramonto.
Era il rispetto per ogni forma di vita che ci veniva insegnato e inculcato, fin dal primo giorno di addestramento.
Era questo che avevo imparato. E in quel momento, il mio animo, non poteva fare a meno di smarrirsi alla vista di tanto orrore.
«Anche i lupi hanno subito parecchie perdite» osservai con infinita tristezza e ricordai che finiti gli scontri io e il capobranco ci eravamo scambiati uno sguardo, poi si era dileguato all’ improvviso, seguito dai suoi gregari. Mi aveva lasciato un senso di doloroso distacco e tanto rammarico. “Chissà se lo rivedrò ancora.”
Come se mi avesse letto nel pensiero Hashiko intervenne: «Sono sicura che lo rivedremo!»
La guardai, soprappensiero. Non mi meravigliava più il fatto che riusciva con facilità a leggermi dentro. Era già successo altre volte e avevo smesso di domandarmi come fosse possibile che indovinasse sempre ciò che stavo pensavo.
« Aiashi…» mormorò, vedendomi intento, poi tacque. La scrutai con attenzione cercando di capire cose stesse pensando. Aveva combattuto come una leonessa al mio fianco. Ci eravamo aiutati e protetti reciprocamente. Avevo avuto modo di osservare la sua tecnica di combattimento e l’ avevo ammirata mentre prevaleva sugli occasionali avversari.
In particolare, ricordo che in un’ occasione, pensando che si potesse trovare in difficoltà nell’ affrontare un avversario con una stazza imponente in confronto alla sua, avevo cercato di superarla per battermi io con quel nemico.
Ma, indovinate le mie intenzioni, le bastò un solo gesto imperioso per farmi capire che dovevo allontanarmi e lasciare a lei lo spazio per il duello.
Quanto l’ ammirai! Così esile e per nulla fragile! Aveva l’ aspetto di una colomba e il cuore da guerriera.
«Volevo che sapessi che sono fiero di aver combattuto al tuo fianco!» le dissi e lei mi sorrise.
Rimanemmo in silenzio per un po’ a osservare alcuni miei guerrieri aggirarsi sulla distesa sterminata di corpi, alla ricerca di superstiti e di feriti da curare.
« Quest’ oggi i samurai hanno compiuto un grande prodigio. L’ imperatore può essere orgoglioso dei suoi miliziani!» esclamò Hashiko.
Per una volta non mi trovai d’ accordo:
« Mi dispiace, ma non so trovare motivo d’ orgoglio in questo scempio!» le risposi con mestizia, poi, diedi di sproni forzando Figlio Del Vento a una giravolta. Il cavallo protestò per il trattamento subì to stronfiando nervoso ma poi eseguì docilmente l’ ordine e tornammo all’ accampamento.
La sentii galoppare dietro di me e mi domandai se potesse comprendere il grado di amarezza di un comandante che ha perduto una buona parte dei suoi guerrieri.
“ Certo che comprende! Anche lei guida un contingente ed ha cuore la vita dei suoi samurai.”
Lasciai che mi si affiancasse: « Ti chiedo scusa, Hashiko. Mi sono lasciato travolgere dal dolore senza pensare che anche tu era amareggiata.»
« Sotto quell’ armatura batte il cuore di un uomo e una simile reazione è comprensibile dopo una battaglia» mi rispose.
Dopo quella nostra vittoria ci furono soltanto delle scaramucce, che ci videro affrontare piccoli contingenti di ribelli e i giorni passarono in modo vorticoso.
Avrei voluto lasciare a Kento il comando del nostro contingente ma Hashiko mi negò il permesso: «Mi dispiace Aiashi, ma il grosso dell’ esercito nemico si sta ricostituendo e noi abbiamo ancora bisogno di te.»
Sapevo che aveva ragione ma in cuor mio fremevo dalla brama di mettermi alla ricerca dei rapitori e assassini dei miei genitori.
Misi a tacere i miei propositi di vendetta e mi rassegnai a rimanere.
Durante i brevi periodi di tregua, oltre all’ addestramento quotidiano con le armi, io e la Sharez ogni mattina effettuavamo i nostri esercizi di meditazione.
Tra noi si era instaurato un legame profondo, anche se nessuno dei due aveva avuto il coraggio di confessarlo. Avevo perso la timidezza della gioventù, tuttavia, davanti a lei tornavo a essere un ragazzino che arrossisce per un nulla. In quel periodo mi accontentavo di godere della sua presenza e della benevolenza che mi mostrava. Ma in cuor mio sentivo che anche lei provava un sentimento per me.
Fu durante uno dei nostri allenamenti che vedemmo arrivare un cavaliere a spron battuto.
«Comandante, nella terra di nessuno è fermo un piccolo drappello nemico che pavesa il drappo bianco.»
« Vogliono parlamentare!» disse Hashiko.
« E noi li ascolteremo!» risposi deciso.
« Fai sellare i nostri cavalli. Io e la Sharez andremo a sentire cosa hanno da dire.» comandai all’ alfiere.
Poco dopo, con la scorta di quattro cavalieri, andammo incontro alla delegazione e ne ascoltammo le proposte.
Gli accordi vennero presi dopo un lungo mercanteggiare, anche perché dovevo rendere conto delle mie azioni all’ imperatore. I miei messaggeri iniziarono un continuo andirivieni da e per il palazzo reale, fino a che non trovammo una soluzione equa per entrambe le parti belligeranti.
Così diedi l’ ordine a Kento di provvedere a smontare l’ accampamento e, quello stesso pomeriggio, domandai alla Sharez un colloquio.
Ci incontrammo nella radura, lontani da sguardi indiscreti, ed ebbi la netta sensazione che lei conoscesse già l’ argomento che avremmo trattato.
« Seppur a caro prezzo, abbiamo centrato il nostro intento di pace» le dissi, prendendo tempo.
« Non so quanto potrà durare. I messaggeri parlano ancora di shogun che continuano a sobillare e a istigare il malcontento tra i ribelli. Dobbiamo tenera alta l’ attenzione, per non lasciarci sorprendere dall’ ennesima rivolta.»
« Nessuno abbasserà la guardia. Ho impartito ordini precisi perché questo non accada.»
Lei inarcò un sopracciglio, ostentando sorpresa: « Hai dato ordini?»
« Tu sai che ho lasciato in sospeso il giuramento che ho fatto nel tempio. Domando il permesso di assentarmi, per andare alla ricerca dello stupratore e dell’ assassino dei miei genitori.»
Hashiko mi guardò, ma nei suoi occhi, questa volta, lessi una pena infinita.
Presi coraggio e mi avvicinai, afferrandole le mani delicate.
La conoscevo bene. Aveva la stessa espressione il giorno che aveva dovuto dirmi della morte dei miei.
« Che succede? Perché quello sguardo così… smarrito? Cosa mi nascondi Hashiko?»
Scosse la testa. Era combattuta e avrebbe voluto tacere allora l’ esortai: «Parla, ti prego. Qualsiasi notizia tu abbia da darmi non sarà mai peggio dell’ ultima che mi hai riferito.»
Hashiko si decise: « Ho fatto un sogno premonitore. Grossi nembi oscuri si addensavano sul tuo cammino e ti seguivano minacciosi. Ho veduto l’ emblema del lupo strappato e portato via dal vento e la tua spada imbrattata dal tuo sangue. E poi ancora sangue e ancora dolore. Oh, Aiashi!» esclamò, buttandosi nelle mie braccia. « Non andare ti prego! Quel sogno è foriero di disgrazia!»
L’ avevo tra le braccia! Finalmente dopo tanto tempo e dopo averlo tanto desiderato la stringevo sul mio petto.
Mi fece tanta tenerezza: tremava come un pulcino bagnato e io ero felice di poterla consolare. Per un po’ rimasi in silenzio limitandomi a stringerla e ad accarezzarle i capelli. Erano soffici e scivolosi come fili di seta. Profumavano di pulito, di fiori di campo e di primavera. Il suo esile corpo emanava un sentore femminile che mi rapì i sensi. Aspirai avidamente il suo odore, caldo e confortevole. Quel suo profumo sarebbe rimasto impresso nella mia mente, nei miei sensi, per sempre.
« Cara. Non piangere. Non mi accadrà nulla, te lo prometto.» le sussurrai, sollevandole il mento con delicatezza e costringendola a guardarmi.
I suoi occhi velati di lacrime avevano la lucentezza di due stelle. Le sorrisi, ponendo due baci lievi sulle palpebre umide di pianto.
« No, ti prego! Vorrei andare con il tuo sorriso stampato nel cuore. Mi sarà di conforto e sostegno nei momenti di bisogno.»
« Ho un brutto presentimento» insistette lei.
La baciai, impedendole di parlare.
«Ti amo! Ti ho sempre amata fin dal primo momento che ti ho vista!» le confessai.
«Lo so! L’ ho sempre saputo e ti ho amato anche io sin dal primo momento.»
La baciai ancora e ancora annullando ogni altro pensiero e ogni dolore. In seguito, ci fu soltanto il nostro amore.
Fu la notte più dolce di tutta la mia vita!
Il mattino dopo trovai difficile lasciarla eppure dovetti farlo.
«Il mio cuore è con te!» le dissi con un ultimo bacio.
Aveva le lacrime agli occhi: «Il mio è con te. Ritorna!»
L’ ultima immagine che ebbi di lei era la sua figura che si stagliava tra il verde della natura.
Sorrideva ma nel suo cuore, come nel mio, sapevo che era sceso il gelo.
22 ottobre 1847
Svestita l’ armatura del samurai, mi aggirai tra i villaggi assumendo l’ aspetto di un comune ramingo. Se volevo svolgere indagini precise, nessuno doveva sospettare la mia vera identità.
Avevo rinunciato a cavalcare Figlio Del Vento, perché era perfettamente riconoscibile come destriero da guerra e avrebbe dato adito a molti dubbi sulla mia identità. Avevo perciò acquistato un cavallo giovane, ma dall’ aspetto modesto e mansueto, adatto alla parte che mi ero prefissato.
Mi aggirai tra le case cercando di porre domande discrete sul tizio che era stato notato presso l’ abitazione dei miei, poco prima che fosse perpetrato lo stupro ai danni di mia madre.
Avevo saputo che quell’ uomo portava sul viso i segni inconfondibili del vaiolo e, speravo non sarebbe stato difficile rintracciarlo.
Impiegai tempo e denaro. Per fortuna, Hashiko, aveva previsto che avrei potuto averne bisogno e mi aveva generosamente rifornito di una borsa piena di oro e di monete. Non pensai nemmeno per un istante a rifiutarla, si trattava del mio compenso per i servigi straordinari resi all’ imperatore.
Con quella borsa riuscii a ottenere preziose informazioni su un mercante di stoffe e mi misi sulle sue tracce sull’ antica via della seta, che attraversava per un tratto, anche il nostro glorioso impero.
Fui baciato dalla fortuna e dalle stelle, perché fu poco tempo dopo aver avviato la mia ricerca che entrai in contatto con il sospettato. In quei giorni si stava organizzando un mercato che aveva una valenza e un’ importanza nazionale e che si verificava soltanto una volta all’ anno. Per questo motivo, non fu complicato trovare il mio uomo impegnato a preparare la bancarella, dove esporre le sete preziose e i tappeti, venduti poi dai suoi collaboratori.
Che fu sin troppo facile, me ne resi conto quando ormai era tardi. Preso dalla foga della caccia, come una belva che avverte l’ usta della preda e si getta a testa bassa nell’ inseguimento, avevo perso di vista la prudenza, così da non accorgermi che da cacciatore ero diventato, a mia volta, una preda.
Ignaro della trappola così abilmente tesa che stava per scattare, mi avvicinai alla mercanzia e, con occhio critico, presi a maneggiare i tessuti come fossi un vero intenditore.
Ebbi il sentore dell’ inganno solo quando mi ritrovai due uomini ai fianchi e, quando avvertii una spada puntata nelle reni, seppi con certezza di non avere via di scampo.
« Stavi cercando me, samurai?» domandò con ironia qualcuno alle mie spalle.
«Adesso voltati!» mi disse uno dei due malviventi premendo una lama nel mio fianco e fu allora che potei vedere in faccia lo stupratore di mia madre e uno degli assassini di mio padre.
« Cercavo proprio te.» risposi con tono tranquillo. Non era certo la minaccia di una spada o i volti truculenti di un manipolo di delinquenti che poteva spaventarmi.
« Vedo che non hai perso la tua boria. Sei proprio uno stolto! Non ti rendi conto di trovarti in un mare di guai?»
Lo guardai, sprezzante: « In realtà, posso ritenermi anche un abile marinaio, perché ho imparato a navigare in mari più avversi di questo.»
Lui sospirò, inscenando una parodia: « Perché voi samurai dovete sempre essere così dannatamente orgogliosi?» subito dopo si fece serio: «I tuoi modi e il tuo volto mi ricordano un altro samurai» esclamò intento a scrutarmi.
« E di mia madre ti ricordi, lurido bastardo?»
«Tua madre?» fece un attimo di pausa «Sì, certo che me la ricordo. Magnifica colombella e come si agitava sotto di me. Scommetto che le sue urla servivano soltanto a mascherare il piacere che provava in quel momento!» sghignazzò volgare e stomachevole.
Mio malgrado mi irrigidii e i due energumeni strinsero ancor di più la presa. Mi imposi di rimanere impassibile.
Il delinquente mi girò intorno squadrandomi e sfidandomi con lo sguardo. « Sai che mi toccherà ucciderti!»
Per quanto mi fu possibile, mi protesi verso di lui, fino a coglierne l’ afflato puzzolente:
« Per uccidere un samurai occorre prima renderlo inoffensivo oppure prenderlo a tradimento, come hai fatto con mio padre, vigliacco. Sei davvero convinto che io sia inerme?» gli domandai con strafottenza.
Colsi lo sguardo smarrito che intercorreva tra i miei carcerieri e fu proprio in quell’ attimo che decisi di agire.
I due uomini che mi tenevano per gli avambracci mi servirono per fare leva e usarli come una catapulta per una capriola volante.
Quando atterrai sulla bancarella con la spada sguainata, si stavano ancora osservando stupiti.
La mia era stata una manovra repentina e inaspettata. Li avevo colti di sorpresa ma non potevo perdere tempo a congratularmi con me stesso. Dovevo approfittare dei pochi istanti di vantaggio.
«Sorpresi?» li derisi e con un altro balzo acrobatico volai giù dal banco dal banco e iniziai a duellare con i miei avversari.
Non avvezzi al combattimento con le lame, riuscii a liberarmi dei primi due con estrema facilità, mentre con il terzo, fui costretto a impegnarmi un po’ di più.
Fu solo quando riuscii a batterlo che mi avvidi della fuga dell’ uomo dal volto butterato e mi gettai all’ inseguimento.
« Vigliacco!» gli urlai, cogliendo lo svolazzare del suo mantello.
Naturalmente non perse tempo a rispondermi, ma anzi, aumentò la falcata della sua corsa.
Lo inseguii per i vicoli del villaggio, scansando tutti quelli che lui stesso aveva scansato e poi scaraventato a terra, come tanti ostacoli seminati alle sue spalle.
Era veloce e sembrava conoscesse quelle stradine come le sue tasche. Sgattaiolava, nascondendosi tra gli androni delle abitazioni e i buchi delle innumerevoli bettole ubicate lungo la via. Infine, lo persi di vista dopo una curva, in un dedalo di vicoli stretti e maleodoranti.
Mi maledissi per non essere riuscito a braccarlo e fermarlo.
A un certo punto, mi trovai a un bivio. Imprecai e tesi i sensi, ma ormai non avvertivo nemmeno più il risuonare dei suoi passi. Fui costretto a scegliere velocemente. Così persi ancor più tempo imboccando la stradina sbagliata e percorrendo con cautela quel budello lungo e oscuro, che poteva celare qualche trappola.
Mentre m’ aggiravo in quella zona sconosciuta, alla ricerca di una traccia, colsi alcune grida soffocate che mi riportarono sul giusto percorso. Doveva trattarsi di una colluttazione e l’ istinto mi suggeriva di affrettarmi. Tuttavia, quando raggiunsi il fuggitivo, lo trovai disteso in una pozza di sangue.
Qualcuno lo aveva aggredito e accoltellato. Quella era una zona malfamata e io pensai a un rapinatore che si era lasciato prendere la mano.
Mi chinai sul ferito, ma solo per constatare che rantolava. Era alla fine. La vendetta mi era sfuggita dalle mani.
Il respiro era affannoso, ma lui continuava a guardarmi con sfida. Non so cosa mi trattenne dal finirlo con le mie mani!
« Ce l’ hai fatta… a raggiungermi… samurai! Ma non… ti sarebbe riuscito, se non mi… avessero fermato!»
Mi permisi una piccola rivincita morale:
« Non ti rimane più molto tempo, assassino! Spero che la tua anima dannata vaghi per i meandri oscuri, e lungo vie desolate per l’ eternità!»
Nonostante fosse in fin di vita, la sua bocca si distorse in un ghigno strafottente: « Credimi… non ho paura della morte e poi… non ho rimpianti… mi sono divertito molto… durante la mia vita!»
L’ allusione a quello che aveva fatto a mia madre mi mandò il sangue al cervello. Lo sollevai per il bavero scrollandolo senza alcuna pietà e gli sibilai in faccia:
« Qualcuno mi ha tolto il piacere di ucciderti con le mie mani! Ma forse, posso ancora rendere un briciolo di giustizia a mia madre offrendo il tuo misero corpo in pasto ai topi che prolificano nelle fogne. Ti piace l’ idea, maledetto?»
Lo vidi sussultare. Il ghigno lasciò il posto a un’ espressione terrorizzata.
« No… non puoi… farmi questo! Il mio corpo… va bruciato e le ceneri… sparse nel corso del fiume sacro!»
Ormai parlava solo con un filo di voce. Dovevo affrettarmi con le domande.
« Allora, dimmi chi ti ha pagato! Dimmi chi è il mandante e ti prometto che pagherò personalmente la tua pira funebre.»
Ormai il suo corpo era scosso da brividi e i suoi occhi si rovesciavano, mostrando la sclera bianca, ma feci in tempo a raccogliere il suo ultimo bisbiglio, che mi lasciò basito.
Quell’ uomo aveva appena fatto il nome di una persona molto vicina all’ imperatore.
« Non è possibile!» mormorai, esterrefatto, mentre il malvivente esalava l’ ultimo respiro.
Quel tizio aveva detto la verità, o si era ancora vendicato dicendo l’ ultima bugia?
Dovevo recarmi a palazzo reale, presentarmi a ossequiare l’ imperatore e, in modo discreto, iniziare a indagare sulla persona che era stata nominata da quel delinquente.
continua...