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...e mi ricordo quel pomeriggio di metà primavera, il tuo vestito bianco a fiori e stivali di pelle appoggiati alla ruota della macchina, il telo da pic nic. Quel lembo di prato fra due fila di pini, quelle folate di vento fresco, il tuo cappello di paglia, i giochi di luce. I panini, la macedonia e le formiche. Il silenzio infranto solo da rumori lontani. Lo stereo che suonava piano, respiri lunghi. Ti vedevo danzare nell'erba, persa nel tuo mondo. Io, comodo sulla sdraio, mentre fra un sorso di coca e un sorriso a mezza bocca, chiudevo gli occhi e tornavo a vivere. Poi il tuo respiro su di me, un bacio leggero, il tuo profumo di buono. Mi tiravi il pinzetto, chiamandomi capretta e mi stringevi a te come per dire non lasciarmi mai. Ti facevo il solletico. Sentirti ridere era la melodia più dolce. Un velo di vergogna ti arrossiva le guance, quando lasciavo scivolare la mano sotto il vestito. Toccarti... sfiorarti... ridolini ed effusioni. Ti sdraiavi sopra di me, come edera sul muro, mi cingevi. Passavo la mano fra i tuoi capelli liberando le ciocche più nascoste. Poi qualcosa di strano, una lacrima mi bagnò il palmo. Il tuo abbraccio divenne più forte. " Non ti voglio perdere, ora che ti ho trovato... ". Mi si bloccò il respiro, si faceva pesante anche la parola. Ti presi le mani, tremavano come luci di candela. Lasciai le risposte e la retorica nell'ennesimo soffio di vento. Avevi sofferto. Portavi fiera il tuo dolore, celandolo fra una parola in disuso ed una smorfia. Una donna forte, ma non indistruttibile. Fragile come pan di zucchero. Esplosiva come nitroglicerina. Le tue paure e insicurezze, fanno parte di me. Un alone di tristezza si era adagiato sul tuo sorriso. " Passerà, ce la farai, non sei sola" ti dissi a fil di voce. Testarda e cocciuta come un mulo che non vuole camminare. Non volevi fallire. Non volevi cadere. Un tuono in lontananza. Una nuvola nera di storni, come pensieri opachi si stava facendo minacciosa. Guardai il cielo con sfida. Ti eri assopita. "Sveglia Milù, sta per piovere." Il cappello volò insieme alla tovaglia e alle formiche. Lesta come un ladro colta sul fatto, stivasti tutto nel portabagli. " Puoi fare le cose con calma eh, mica ti stanno braccando, ti dissi ridendo come un matto. " Taci Haz, laddove vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non perculeggiare ". Uno scroscio di pioggia zittì tutto quanto. "Sali in auto, Kika, vado a prenderti il cappello che se prendi acqua capace che diventi ancora più piccola". Mi desti una pacca sul sedere e venisti con me. Dopo una ventina di passi eravamo bagnati fino all'incudine. Tolsi la maglia, tanto ormai portarla era un surplus. Prendemmo il cappello e tornammo in auto. Grondavamo acqua come spugne, occhiali e vetri appannati. Ci togliemmo i vestiti, un freddo boia, ridevamo e tremavamo... Fuori imperversara un fortunale da armageddon. ...poi d'un tratto, i nostri sguardi si incrociarono... un mugugno... sfilasti le mutandine e con malizia felina cominciasti a toccarti, invitandomi a togliermi i pantaloni. Strani pensieri prendevano forma. La mia eccitazione non tardò a farsi vedere, a stento trattenuta dai boxer. Mi passasti le dita sulle labbra, chinando la testa verso il mio ventre. La lingua morbida, la tua bocca su di me. L'ennesimo tuono, l'ennesima folata di vento. Reclinammo i sedili. Lentamente...entrai dentro te. Muscoli tesi. Ansimanti e caldi di piacere. Ci perdemmo nel rumore della pioggia che batteva sulla carrozzeria, nel respiro veloce, nei sensi sempre più sciolti. Mentre il cielo si apriva ed un arcobaleno adornava il cielo, i nostri corpi vibravano all unisono, esplodendo in un orgasmo senza confini.
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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«Un leggero pizzico di peperoncino» |
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