“ Drin... drin...” suona la campana, escon i bimbi a frotte dalla scuola, un'armonia di grida ed allegria si spande nel cortile, un caos vitale che faticosamente si contiene.
Filippo, Alex e Paolino, amici per la pelle, escon sempre insieme, si tiran per la giacca, scherzan fra di loro.
“ Mamma...”, “ mamma...”, “ mamma...”, ognun per sé esclama mentre va incontro alla sua mamma.
“ Oggi posso andare a fare un giro con Filippo...”, “...con Alex...”, “...con Paolino”, all'unisono, con gli occhi spalancati, timorosi d'un rifiuto, chiedono la stessa cosa, l'entusiasmo di cui fremono le loro parole lo sentono come se dovesse prendere i cuori delle loro mamme per un sicuro consenso, l'attesa del si è come un freno alla loro esplosione e quelle che possono liberare la loro gioia appaiono come dei giudici da muovere a pietà.
Lo sguardo severo delle tre madri si abbatte sui figli e tutte le loro remore mentali si incrociano in un turbinoso conflitto.
Stanno là ferme le tre madri e mentre ognuna guarda il proprio figlio egli non esiste, i loro occhi invisibili si scrutano l'un l'altra, tutti i loro sentimenti di invidia, di superbia, di inferiorità, di perbenismo, diventano parole e tutte le parole sembran dirette al figlio e per il figlio, ma egli non esiste.
“ No... oggi non si può...dobbiamo andare in città a prenderti il vestito...”, “ no... non ricordi che hai il corso di nuoto...”, “...devi chiedere a papà...e poi non vedi che i tuoi amici non possono...”; si intersecano fra loro le parole delle mamme, i bimbi le guardano e si guardano fra loro e non comprendono perchè il loro desiderio non venga soddisfatto e ancora le madri “...ho detto che oggi non si può...”, “...basta vi metterete d'accordo per un altro giorno...”, “...parli con i tuoi amici... e magari potete vedervi domani... se loro possono...”, i bimbi abbassano gli occhi ed il loro entusiasmo e gioia si smorzano, le loro fantasie per una giornata allegra e diversa cadono con la stessa rapidità con cui erano volate in alto; mentre se ne vanno, mano nella mano della propria mamma, s'odono ancora alcune sbiadite e rassegnate invocazioni, ultimi echi della loro moribonda speranza “...perchè no... a prendere il vestito possiamo andare domani...”, “...dai mamma... eravamo già d'accordo...”, “...aspetta... chiediamo ancora”.
Ma non c'è niente da fare per quel giorno è tutto sfumato.
Per comprendere meglio questa storia bisogna fare un passo indietro e tracciare un identikit, per dare un'idea di chi siano queste mamme, Elisabetta, Brigitta e Maria.
Elisabetta, mamma di Filippo, è una signora elegante, ben curata, ben tenuta, giovanile ma nello stesso tempo matura, di quella maturità che scaturisce da un comportamento troppo orgoglioso e controllato, indossa abiti molto sobri, ma sempre firmati e di prestigio.
E' la moglie di uno dei rampolli più in vista del paese, il figlio di un consolidato impresario possidente, una delle famiglie più ricche e stimate.
Elisabetta tutto questo lo sa e lo sente molto bene, sa e sente, quando con alterità cammina per via per le sue spese, di essere osservata con una certa ammirazione e sta bene attenta acchè nulla possa ridurre questo sentimento.
Vive in una bellissima casa, costruita senza badare a spese, dove tutto brilla e sorprende per il pregio e il lusso, i mobili che vi si possono internamente ammirare sono tutti rari e ricercati, spesso autentici pezzi unici, faticosamente ottenuti dopo accurate ricerche.
La casa è circondata da un parco giardino accuratissimo, ornato di una grande varietà di piante che lo rendono lussureggiante e spettacolare, gli alberi si alternano ad ogni sorta di coloratissimi fioried adorabili sentieri tracciati con grezze pietre e soavi percorsi d'acqua rendono tutto l'insieme fiabesco e fantastico, nel mezzo del giardino, sotto un meraviglioso pergolato di glicine, nelle calde gornate estive Elisabetta e la sua famiglia trascorrono interi pomeriggi, sfuggendo riparati da quella fresca isola il solleone che rende quelle ore insopportabili a tutti i comuni mortali.
Un ambiente tanto sofisticato richiedeva certamente un enorme sforzo quotidiano per conservarlo tale e tutti erano un po' prigionieri di tale preziosità, tanto i padroni, quanto l'eventuale ospite che avesse avuto l'onore di entrare in quel luogo, ogni cosa sembrava dicesse “ stai attento a non sporcarmi, a non rompermi, a non sfiorarmi...”
Era una donna energica e volitiva, la certezza del suo stato e del suo far parte di una categoria di persone superiori la rendeva estremamente rigorosa nei suoi giudizi e poco propensa al dubbio, guidava tutto con inesorabile efficienza e seguendo una logica molto attenta alla cura delle forme e delle apparenze tipiche del mondo al quale apparteneva.
Assai diversa era Brigitta, madre di Alex, anche se lei forse non se ne rendeva o non voleva rendersene conto.
Si considerava elegante e ricercata, in realtà, per quanto denaro spendesse per il suo abbigliamento, appariva chiassosa e stonata.
Era troppo apparente in ciò che indossava il suo desiderio di colpire e stupire; colori troppo rumorosi, abiti troppo provocatori, un eccesso di ninnoli, collane ed anelli, tutto ciò la rendeva priva di qualsiasi eleganza e qualche volta anche ridicola, ma lei pareva non accorgersene, era anzi convinta del contrario.
La sua famiglia di origine proveniva da un passato di disagi e povertà, ma poi le grandi trasformazioni sociali avvenute l'avevano elevata ad un grado di discreto benessere.
Lei, alla giusta età, si era sposata con un bravo giovine che abitava a qualche centinaio di metri da casa sua e e che conosceva fin da quando era bambina, anche costui aveva un passato familiare simile al suo, però, dopo alcuni anni di apprendistato operaio, aveva trovato la vena d'oro, si era messo a lavorare in proprio e rapidamente era progredito.
La sua attività elementare nel giro di pochi anni si era trasformata in azienda e l'azienda in una piccola industria ed il lavoro continuava ad andare così a gonfie vele che tutto lasciava immaginare uno sviluppo illimitato.
Anche Brigitta aveva molto contribuito a questo successo, in effetti questo cominciò a manifestarsi completamente soltanto dopo il matrimonio.
Mentre il marito lavorava in maniera indefessa, senza badare alle ore, talora di notte e nei giorni di festa, lei sbrigava tutto il lato amministrativo dell'attività, compilava le fatture, teneva i rapporti con le banche, espletava tutti gli adempimenti burocratici, riceveva le telefonate, si faceva in effetti carico di tutte quelle incombenze che molto speso in un'azienda sono più onerose che non il lavoro stesso.
Per la sua grande dinamicità e capacità amministrative era considerata da quanti la conoscevano come se fosse la sola padrona dell'azienda.
Ciò in effetti era più che vero e non era altro che il coronamento di una sua mentalità, impregnata di un confuso quanto stereootipato femminismo che, dietro belle parole di emancipazione della donna, mirava ad inquadrare ed asservire l'uomo.
Il buon andamento degli affari aveva galvanizzato in Brigitta un sempre più forte desiderio di distinzione, di sentirsi inserita a pieno titolo nel mondo che conta.
A questo scopo, grazie ai lauti guadagni dell'azienda, profuse a piene mani per costruirsi quell'habitat esterno ed apparente tale da palesare a sé stessa e agli altri quest'impressione.
Dopo una graduale scalata concretò per sé e la sua famiglia una bella casa sulla collina, un villino in montagna, una bella macchina per i giorni di festa ed un gippone per quelli feriali.
Ma, aldilà di queste conquiste esteriori, tutto il suo modo di fare tradiva le sue origini, prive di quelle maniere caratteristiche del mondo che conta di cui ambiva far parte.
Aveva una parlantina irruente e un po' prepotente che a volte travalicava nel volgare, le sembrava che questo modo di fare la potesse rendere simpatica e gradevole agli altri e potesse rappresentarla come una donna sicura di sé e emancipata da tutti i pregiudizi, una donna moderna, come lei intendeva la modernità.
La terza mamma, Maria, la mamma di Paolino, si differenziava molto da entrambe.
Come Brigitta proveniva da una famiglia umile, di poveri operai e, operaia lei stessa, si era innamorata e sposata con un compagno di lavoro.
La loro condizione sociale non si era però mai modificata, dopo tanti sacrifici erano soltanto riusciti a comprarsi una casa e, per il resto, si gestivano con parsimonia, come potevano permettersi con i loro esigui guadagni.
Da quando era nato Paolino, il loro unico figlio, questi si era quasi trasformato nel solo loro scopo di vita, tutte le loro fatiche ed i loro risparmi erano usati per ricoprirlo di regali e non fargli mancar nulla che potesse trasmettergli un senso di inferiorità rispetto ai suoi coetanei.
Era commovente il grande amore che riversavano sull'unico figlio, anche se tale assidua protezione poteva essere pericolosa per il suo sviluppo psicologico, disabituandolo dall'affrontare quelle difficoltà che nella vita comporta il conseguimento di ogni cosa.
Maria viveva per la sua famiglia e ben poco si preoccupava di sé stessa, il suo aspetto esteriore era dignitoso ma modesto, da un pezzo aveva accantonato, se mai ne aveva avute, tutta quella somma di vanità femminili atte a rendersi attraenti e richiamare l'attenzione, considerava il suo destino compiuto ed aveva precocemente fatti suoi tutti quegli atteggiamenti della donna che si addentra nella vecchiaia e non ha più grilli per la testa.
Era molto schiva e riservata ed ambiva ad un tranquillo anonimato, appariva alquanto pessimista sul mondo e sugli uomini e viveva sulla difensiva, attenta a proteggere il suo spazio da ogni esterna minaccia.
Se non che per il figlio non aveva altre ambizioni, si accontentava, senza particolari frustrazioni, di quel che la vita poteva offrirle, la sua mentalità generale era stata scarsamente influenzata dai modernismi, per lei era naturale essere una moglie fedele e sottomessa, dedita completamente alla cura del figlio e del marito e condiva tutto questo con la pratica di un'intensa religiosità formale.
Queste erano le tre madri che, davanti alle petizioni dei figli, non erano riuscite quel giorno a far scorrere i loro garbugli di ambizioni, presunzioni e superbie, lungo la rotaia del comune buonpensiero per cui i bambini vanno coniugati fra di loro senza pregiudizi ed adulte interferenze.
Mentre manifestavano la volontà di consentire ai propri figli una socializzazione con i propri compagni libera e piena, in realtà chiudevano porte ed erigevano barricate per non renderla possibile e, contemporaneamente, quelle porte chiuse e quelle barricate, giorno dopo giorno, le instillavano nelle permeabili menti dei loro bambini.
Ma per tutto quel giorno esse non ebbero pace ed i figli non cessarono un attimo dal tormentarle, perchè il loro desiderio di incontrarsi con gli amici venisse soddisfatto ed organizzato al più presto.
Sotto lo stimolo della loro insistenza una dopo l'altra cedettero e prese allora il via il fuoco incrociato delle telefonate.
Fu Brigitta a sollevare la cornetta per prima e tutte le loro parole celavano un mare di sentimenti che il racconto si sforzeà di svelare.
La prima telefonata fu per Elisabetta, Maria non era altro che un corollario, un insignificante contorno la cui adesione era scontata e che non poteva in nulla arricchire la sua ragnatela sociale.
Quando Elisabetta, dopo vari squilli, rispose al telefono, udendo la voce squillante e un po' prepotente di Brigitta, provò come la sensazione di uno sgradevole assalto “...ciao... sei ti Elisabetta... sono io... Brigitta...” dietro la familiarità con cui venivano proferite quelle parole c'era tutto il disagio di Brigitta, il suo voler imporre una comunanza che, magari senza saperlo, non sentiva, “...non volevo disturbarti... ma Alex non finisce più di tormentarmi...è come un disco che si è incantato... continua a ripetermi... quando mi porti da Filippo?...voglio andare dal mio amico Filippo... io e Filippo ci divertiamo tanto insieme...è proprio simpatico e intelligente....”
Nell'adulazione per il figlio di Elisabetta c'era la sottile strategia di Brigitta per estendere l'integrazione, che fra esse dava per compiuta, a tutti gli altri aspetti della loro vita.
“...Se sei d'accordo... domani puoi portare Filippo a casa mia... ho un bel giardino recintato dove possono correre e giocare senza pericolo... la piscina non è ancora pronta... ma è ben transennata e non c'è rischio che possano farsi male...”, non si sa quanto incidentalmente era riuscita a farle sapere che stava per aggiungere la piscina alla sua somma di conquiste.
Il suo amor proprio non trovò però gran riscontro nella risposta di Elisabetta “...non parlarmi di piscina... ho fatto delle liti tremende con mio marito per questo... era già tutto pronto... aveva preso accordi con l'impresario per installarla... una piscina bella e grande... la più bella che c'era nei cataloghi... ma io non ne volevo sapere... con tutti i casi di annegamento che si sentono... con i bambini non si è mai abbastanza attenti... bisognerebbe avere cento occhi... non la volevo proprio... mi sono così impuntata che vi ha rinunciato... e per Filippo non c'è problema... frequenta un corso di nuoto molto serio... due volte alla settimana... sono molto pochi i bambini ammessi ed hanno ognuno un istruttore personale... sono controllati ed imparano veramente a nuotare... non come nella piscina di casa... dove sguazzano... sguazzano... e poi... non sono neanche capaci di stare a galla...”
Seppure smorzata in quella che sentiva una conquista Brigitta non cessò di parlare, cominciò ad elencare tutte le preoccupazioni che le derivavano dal figlio ed a chiedere consiglio alla sua interlocutrice sui tanti duubbi che la angustiavano.
“...Sono incerta se iscriverlo a quel corso di lingue... al giorno d'oggi è indispensabile la conoscenza delle lingue... il problema è che il suo tempo è già tanto pieno di attività...il prossimo anno sto pensando seriamente di iscriverlo al Balbi school... ma ho ancora qualche esitazione... tu che ne pensi...è una scuola molto seria... i ragazzi sono ben controllati e c'è disciplina... sono costretti a studiare... gli insegnanti sono preparatissimi, madre lingua...”
Elisabetta, mentre riceveva queste confidenze, si limitava ogni tanto ad assentire passivamente sperando che quella foga verbale si placasse, non ricavava nessun piacere da quella conversazione, troppo sentiva a sé Brigitta estranea ed inferiore, mentre lei parlava e parlava, ella pensava e pensava... a come liberarsene.
Finalmente, con una scusa qualsiasi, frenò quel fiume di parole.
“...Continueremo a parlare un'altra volta Brigitta... adesso devo andare... fra poco ho un appuntamento dal dentista e ci tengo alla puntualità...domani Filippo non ha impegni... mi sembra... se vuoi può vedersi con Alex.
Pur sentendosi un po' snobbata per il modo velatamente perentorio con cui Elisabetta sembrava voler troncare quella conversazione, Brigitta continuò nel suo atteggiamento disponibile ed aperto.
“...Ah bene... anche Alex non ha impegni domani... possiamo fare alle tre... qui a casa mia... se vuoi vengo io a prendere Filippo...” “...no... non serve... lo accompagno io... risponde Elisabetta “...ma vengo volentieri a prenderlo...” insiste Brigitta “...no... non è il caso ti faccia perder tempo....ancora Elisabetta.
Infine, dopo molti batti e ribatti, decisero che Filippo sarebbe stato accompagnato dalla mamma e l'incontro fu fissato per l'indomani alle tre “...e....” come Brigitta si premurò d'avvisare, “...forse viene anche Paolino... sai... il figlio di Maria... Alex e Filippo ci tengono tanto... e non bisogna contraddire le amicizie dei bambini... e poi sappiamo bene che le loro amicizie vanno e vengono...”
In queste ultime parole Brigitta vibrava il suo timore di poter essere confusa con quel mondo di povera gente ai quali Paolino e Maria appartenevano e nel contempo ribadivano la sua vicinanza con il contesto di Elisabetta.
Chiamò Maria soltanto alcune ore dopo, lo poteva fare senza fretta, che c'era infatti d'importante in questa telefonata? Per Maria sarebbe stato un onore poter far giocare suo figlio con Alex e Filippo e non avrebbe certo rifiutato... ed anche se fosse stato? Nulla di più indifferente per Brigitta.
“...Ciao... sono Brigitta... domani a casa mia Alex e Filippo si trovano per giocare insieme... puoi mandare anche Paolino... se ti va... con Elisabetta sono d'accordo per le tre... se vuoi portalo pure... adesso scusami ma devo proprio andare... ho un sacco di cose da fare... allora a domani... vi aspetto...”
La situazione si era capovolta, era adesso Brigitta e non Elisabetta a far la sdegnosa, cosa aveva infatti lei da spartire con Maria, se non il fatto che Alex s'era intestardito d'essere amico di Paolino?
Le sue parole, più che non ad un invito, assomigliavano a un favore, una concessione fatta a della povera gente per rispetto di quell'egualitarismo formale che nelle parole non si può mai disconoscere.
Maria questo non lo capiva o non le interessava capirlo, d'altronde rientrava ed era accettato dalla sua mentalità che esistessero persone con minore o maggiore autorità ed importanza e che il rispetto e l'ammirazione degli inferiori verso i superiori fosse scontato, rispondeva quindi sommessamente e con esagerata modestia, continuando a ringraziare e contenta di poter introdurre il suo amato bambino nell'intimità di quella che era per lei una casa importante.
“...Grazie... grazie... lo porterò senzaltro... se Paolino dovesse disturbare o comportarsi male lo richiami... lo rimproveri come se fosse suo figlio... allora alle tre precise... grazie... grazie...”
Poteva bastare, l'accordo era stato preso e tutto era stato fissato per far incontrare i bambini il giorno dopo, ma non fu così, prima che arrivasse il fatidico momento molte altre telefonate si susseguirono, tanto che la cosa più semplice di questo mondo, consentire a tre bambini di giocare tranquillamente insieme, sembrava un affare di stato.
Prima Elisabetta chiamò Brigitta “...sono Elisabetta... domani dovresti farmi il favore di controllare che Filippo non sudi e si affatichi troppo... che non giochi come uno scalmanato... sono alcuni giorni che ha dei brutti colpi di tosse... ho una paura che possa prendersi qualcosa di serio... mi raccomando...”, “...non preoccuparti...” rispose Brigitta, piena di premura e gentilezza.
Poco dopo Brigitta ricevette una telefonata di Maria che, sentendosi in debito, si crucciava per poter in qualche modo ricambiare quello che sentiva come un grandissimo favore.
“...Scusami se ti disturbo... avevo pensato di preparare una torta... una torta fatta in casa con prodotti genuini... sono sicura che ai bambini piacerà...se per te va bene...”, “...ah no... non serve... non scomodarti... ho già ordinato un assortimento di pasticcini alla boutique del dolce... li fanno buonissimi ed anche genuini... non occorre che ti scomodi...è già tutto a posto”.
Maria, quando questo dialogo si concluse, oltre a sentirsi ancora gravata del suo debito, provò anche un sentimento di pochezza, sentì la sua condizione sociale pesarle enormemente, ma più per il figlio che non per sé stessa.
Il giorno dopo finalmente arrivò il momento tanto atteso dai bambini, preceduto ovviamente da qualche altra telefonata tendente a precisare o correggere qualche ultimo dettaglio.
Elisabetta e Maria arrivarono quasi contemporaneamente davanti alla casa Di Brigitta, la prima con una macchina nuova di zecca, un'utilitaria di rango, un'auto di servizio, da usare per le faccende quotidiane, maneggevole e comoda da parcheggiare, poi l'altra, quella super accessoriata e superlusso, se ne stava nel garage, pronta all'uso per le occasioni più importanti.
Maria invece giunse con un'utilitaria che, nonostante fosse sempre stata trattata con molti rigurdi, non poteva nascondere la sua vetustà, era un modello da tempo fuori produzione e chissà a quante revisioni era già stata sottoposta.
Maria non aveva mai voluto l'auto, riteneva che per i suoi magri bilanci familiari fosse un inutile spreco, così, per quel giorno particolare, aveva dovuto requisirla al marito.
Brigitta andò loro incontro e, dopo aver rivolto uno sfuggente saluto a Maria, si rivolse ad Elisabetta con un caldo sorriso.
“...Finalmente ti sei degnata di venirmi a trovare... spero che avrete dieci minuti di tempo per fermarvi a prendere qualcosa?...un caffè o qualcos'altro?...così potrò mostrarvi la casa...”
L'invito era smaccatamente tutto per Elisabetta anche se, con la coda dell'occhio, lo aveva formalmente esteso anche a Maria, ma, mentre questa, seppure a disagio, accennava a scendere dall'auto e ad accogliere col suo solito spirito remissivo, quello scarno invito, si vedeva bene che Elisabetta aveva ben poca voglia di fermarsi e così fu.
“...no... no... grazie... ti ptometto che un giorno mi fermerò a prendere un caffè...non so quando... ma te lo prometto... ma ora proprio non posso... ho i minuti contati... c'è la moglie dell'ingegnere che mi aspetta... la devo accompagnare alla sartoria... vuole che la consigli nella scelta di un abito per un ricevimento a cui andremo sabato...è un ricevimento a cui parteciperanno persone molto importanti... non possiamo sfigurare... adesso vado... mi raccomando per quel che ti ho detto... per Filippo... verrò a riprenderlo alle sei precise...”
Intanto, mentre le mamme si scambiavano queste rapide battute, i bambini, veloci come fulmini, erano già balzati giù dalle macchine e, seguendo Alex, si erano defilati nel retro del cortile, dove, fra gli alberi, Alex si era ricavato il suo rifugio segreto.
Il rifiuto di Elisabetta aveva irritato Brigitta e, mentre il suo desiderio di essere accettata si scontrava col suo orgoglio ferito, rimosse tutto e contenne la sua rabbia e senza alterare il suo sorriso, sancì quel rifiuto “...bè...non importa... sarà per un'altra volta...”
Intanto Maria, vedendo che Elisabetta se ne andava, si era bloccata e, alzando un po' il tono della voce, perchè Brigitta sembrava a tutto attenta fuor che a lei, disse “...bè...se lei non si ferma... vado anch'io... sarà per un'altra volta....” al che Brigitta, distrattamente e senza neppure guardarla bene in viso, rispose “...si... si... come vuoi... faremo un'altra volta... quando avremo ttut... tte più tempo...”, in quel “ tutte”, volutamente marcato, si sentì forte il suo rancore per lo sgarbo subito a causa del rifiuto di Elisabetta.
Una dopo l'altra le due macchine si erano allontanate e, mentre Brigitta offesa e amareggiata stava revisionando tutti i suoi giudizi su Elisabetta, trasformando l'incondizionata ammirazione in disprezzo ed acerrimo odio, i tre bambini, incuranti di tutti i grovigli mentali delle loro madri, stavano correndo con la fantasia nella foresta di Sherwood, dove Filippo- Robin stava per essere catturato da Alex e Paolino, cioè gli sgherri dello sceriffo di Nottongham.
Dopo quell'episodio e nonostante i bambini, memori di quelle indimenticabili ore di gioco e divertimento, insistessero per rivedersi, le madri resero il loro incontro impossibile.
Non tutte per la verità, Maria non aveva nessuna remora particolare e sarebbe stata felicissima di far ancora incontrare il figlio con i propri amici, non l'avrebbe certo ostacolato, l'avrebbe anzi favorito in tutti i modi, per lei ogni desiderio del figlio corrispondeva ad un ordine.
Ma Elisabetta e Brigitta, chi per una ragione e chi per l'altra, erano di tuttaltro avviso e per niente stimolate a farli reincontrare.
Elisabetta, nella sua sicura rigidità mentale, non riteneva positivo per Filippo mescolarsi con bambini provenienti da culture e modi di essere completamente diversi dal suo.
La frequentazione di quegli ambienti, ragionava fra sé e sé, avrebbe potuto mettere in crisi tutta quell'educazione, molto formale e quadrata, che lei, in tutti quegli anni, si era sforzata di inculcargli.
Il bel signorino, che essa si era sforzata di costruire, avrebbe potuto, in poco tempo, attraverso il confronto, disgregarsi a contatto con la naturalità, più o meno volgare, dei suoi due amici.
Anche il suo senso di far parte di un mondo superiore avrebbe potuto risentirne, la convivenza con persone di cultura tanto diversa avrebbe potuto portarlo ad interrogarsi sulle ragioni della diversità e, non comprendendole, a rivedere tutto quello che in quegli anni gli era stato insegnato.
Probabilmente tutti questi ragionamenti Elisabetta non li faceva con la mente, ma le provenivano, intuitivamente, dal cuore.
Stando alle parole la sua mentalità era anzi molto aperta ed egualitaria, ma erano solo parole, perchè nei fatti evitava di accomunarsi, quanto più possibile, con quella che non riteneva la sua gente.
Oltre alle preoccupazioni per il figlio provava un grande fastidio per l'invadenza di Brigitta, la sentiva lontanissima da sé e non aveva la minima intenzione di assecondare qualsiasi forma di rapporto ed amicizia con lei, avrebbe potuto forse sopportare che i bambini si vedessero, ma soltanto se questo non si fosse proiettato sulle loro madri, capito che ciò non era possibile, per la caparbietà di Brigitta, pensò che fosse meglio por fine a tutto con una brusca rottura.
Anche Brigitta, dopo che si era sentita offesa, aveva radicalmente mutato convinzioni, se prima era entusiasta all'idea di stimolare l'amicizia di Alex per Filippo, dopo che sentì Elisabetta fredda e sprezzante nei suoi confronti, capovolse tutti i suoi giudizi su di lei e, sicuramente senza accorgersene, quello che andava dicendo nei suoi confronti avrebbe potuto tranquillamente rivolgerlo a sé stessa.
“...Quante arie si danno... perchè hanno soldi... ma chi credono di essere... se hanno soldi buon per loro... io non ho mai avuto bisogno di loro... mi trovassi nel bisogno... sarebbero le ultime persone a cui mi rivolgerei... si veste come se fosse la duchessa di York... c'è tanta gente che ha più possibilità di lei... e non si da tutte quelle arie... i soldi vanno e vengono... non sarebbe la prima volta che uno che si credeva il Padreterno si ritrova nella merda... io non auguro il male a nessuno... ma se la vedessi in miseria... certo non piangerei... e quel Filippo... sembra un manichino... attento qua... attento là...sempre impeccabile... mi fa quasi pena... avrebbe avuto tutto da guadagnare a frequentare il mio Alex... si sarebbe dato una smossa... ho anche cercato di andarle incontro... ma non ho certo voglia di correr dietro alle persone... in fin dei conti era lei che aveva più interesse... il mio Alex sta bene... sorride e si diverte... anche senza il suo Filippo...”
Il rifiuto che aveva tanto indispettito Brigitta aveva frustrato il suo antico desiderio di entrare a far parte di quella che aveva sempre considerata una sorta di elite sociale del paese.
Ora questa parte del suo piccolo mondo diveniva ai suoi occhi niente più che un gruppo di persone altezzose e chiuse che non volevano ammettere di essere state eguagliate e superate dai nuovi parvenus.
Stessero pure a crogiolarsi nel loro autoincensamento, lei avrebbe ben saputo loro dimostrare come la vita sia un continuo divenire e che la ribalta apparteneva a chi se la sapeva conquistare giorno dopo giorno.
Sarebbe stata lei a ridere quando quelle mummie incartapecorite si fossero accorte che il mondo le ignorava e non aveva più bisogno di loro.
Il suo desiderio di piacere si trasformò in un repentino acerrimo odio, un odio che nulla al mondo avrebbe più potuto affievolire e che attendeva soltanto una vicina o lontana occasione per fuoriuscire e colpire.
Maria, seppure dispiaciuta che il suo Paolino avesse cessato dal frequentare i suoi due amici, non ne ebbe particolarmente a soffrire, le sue ambizioni personali erano a zero e ritendeva quasi come un dono del Signore tutto quel che le sarebbe potuto arrivare in quel senso.
Se per un breve tempo si era illusa che suo figlio potesse amalgamarsi in quell'ambiente, impiegò poco a rientrare nella normalità e non per questo il suo giudizio sulle due signore ed i loro bambini si modificò, semplicemente lei e suo figlio non erano fatti per loro.
Paolino trovò la sua compagnia più naturale fra i coetanei del suo quartiere, non subì traumi e non si accorse di nulla, i suoi ragionamenti e le sue simpatie erano semplici ed immediati e non conoscevano i complessi garbugli del mondo adulto.
Filippo, Alex e Paolino continuarono a giocare e scherzare dentro l'aula e nel cortile della scuola per tutto quell'anno, ma, fuori di là, non ebbero più modo di rivedersi e, lentamente, anche la loro sintonia andò riducendosi, ognuno dei tre cominciò a seguire strade diverse e a rafforzare altre amicizie e a rivolgersi verso altri ambienti.
Le parole che si sentivano ripetere dalle proprie madri entrarono anche nelle loro menti così avide di tutto assorbire e la loro spontanea naturalezza cominciò a marcire, i bachi della putrefazione penetravano piano, ma inesorabilmente, nei loro spiriti liberi e eguali.
Le spocchie materne diventavano le loro ed il loro lineare percorso veniva inquinato e sfasciato da sempre nuove differenze.
Finito l'anno scolastico i tre bambini non si videro più per tutte le vacanze estive e questo prolungato distacco li allontanò definitivamente l'uno dall'altro, quando ripresero gli studi si erano fatti fra loro estranei, faticosamente si scambiarono qualche parola, cercarono di rinverdire vecchi ricordi ed emozioni, ma l'incantesimo era rotto e da allora la loro amicizia cessò per sempre di esistere.
La fine di questa era il male minore, ciò che più importava era che con essa se n'erano andate la purezza, la sincerità, la capacità di socializzare con spregiudicata naturalezza, i loro tessuti sani stavano irrimediabilmente adulterandosi, la cancrena dilagava nei loro cuori e nulla avrebbe potuto essere più come prima ed essi stessi non avrebbero più potuto esser quel ch'erano stati, altre vite se n'erano andate e s'apprestavano ad assembrarsi nel mondo dei morti.