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" Mat, guida tu, io schiaccio un pisolino, poi mi dici cosa ti turba" mi disse. Dopo neanche una decina di metri si era già addormentato. Presi la coperta dai sedili posteriori e lo coprii, mi tornò in mente quando era lui farlo, la sera per farmi addormentare, anche se stanco, si fermava il tempo di un paio di storielle. "Quando il figlio diventa padre? " "Quando il figlio diventa uomo? " Fisicamente era sotto zero, mentalmente mi andava via su una ruota, capiva cosa gli stava accadendo. In più di un’ occasione passato a vegliarlo, mi auguravo che la morte venisse nel sonno, senza più patimenti, senza più dolore, nel silenzio della casa, nel suo letto. Potevo apparire un mostro, ma un po’ di dignità nella sofferenza, un po’ di pace. Forse volevo solo scaricare il problema ad altri, la verità è che ero arrivato al capolinea pure io. Tre forse quatto volte andai da uno psicoterapeuta, mi dette degli ansiolitici ma non servirono, mi davano troppa sonnolenza. L’ avrei affrontata a modo mio, da solo, a sfinirmi le nocche sul muro, dormire con il contagocce e non mangiare una sega. Tenermi tutto dentro fino a scoppiare. Tanto anche volendo parlarne chi poteva essere di aiuto? Quella cretina della mia ragazza? Per lei tutto era un segno divino....e d’ aceto. Un po’ la invidiavo, aveva trovato le risposte alle sue domande, ma vorrei vederla a ruoli invertiti. Provai un paio di volte a confidarmi, non per cercare risoluzione al problema, solo per sfogarmi, fare due parole, cercare di rendere meno pesante ‘ sto macigno sullo stomaco. Non c’ era speranza, ho avuto dialoghi più interessati con il cane della vicina. Parenti ed amici? Diamine, sono li a fare la fila alla porta. Che schifo, gente di merda. Strinsi il volante con l’ intenzione di strapparlo dal piantone. Dovevo trovare un modo per liberare questa rabbia. Potevo anche piangere, non mi facevo problemi, ma non serviva, ho riempito fazzoletti e svuotato i pacchetti da dodici. Mi voltai verso mio padre, dormiva beatamente. C’ era una pallida speranza, molto piccola, la massa tumorale poteva essere asportata, ma prima doveva essere ridotta. La chemio serviva a questo o almeno era quello che ci dicevano i dottori. Dovevamo fidarci. Aveva già fatto testamento, per scaramanzia e per mettere tutto quanto nero su bianco. Francamente, non me ne fregava nulla dei lasciti, degli oggetti e delle menate. Trillò il cellulare, sarà mica la demente di Paola, mi ci mancherebbe altro che lei. Era il dottor Zanghi, l’ oncologo. “ Porca puttana e ora? ”. Accostai tremante, il cuore si mise a correre più di un cavallo selvaggio.
Risposi. "Pronto sono il Dottor Zanghi." "Si dottore son Matteo, mi dica." "Oggi suo padre deve fare l’ applicazione, ecco fatemi una cortesia, passate un attimo dal reparto dovrei parlarvi." Le parole non uscivano, non potevo parlare, non riuscivo a pensare. " Matteo, pronto, ha capito" ripetè il dottore dall’ altra parte del telefono. " Sì sì sì, son qua, è che no, non lo so, sì ora....." " Matteo, son buone notizie stia calmo, a fra poco. " replicò il medico. Volevo dire grazie, volevo sapere, ma rimasi muto. Avevo le punta delle dita isolate dalla mano, lo stomaco come una capocchia di spillo, sudavo come uno che fa jogging ed ero immobile come un telamone. Cercai forsennatamente nel cruscotto una caramella, avevo la bocca secca come un acciuga sotto sale, tremavo come martello pneumatico. Subentrò uno stato di confusione e mal di testa. Scesi per far pipì, cercando di ritrovare la calma, non potevo guidare in quello stato. Lo zucchero entrava in circolo, le gambe reggevano, la vista stava tornando nitida. Mi appoggiai ad un pino. "O mi prende un infarto ora oppure non mi prende più " dissi a fil di labbra. Un altro paio di tremori, un sospiro profondo: la calma. Rimontai in auto, come se fossi braccato dalla polizia mi trasformai in un giovane Loeb. Il tachimetro toccò svariate volte oltre cento dieci, volevo arrivare a Pisa, fottevasega degli autovelox. Mio padre si svegliò e mi dette uno storcione: " Ma un po’ più piano no? Cretino, cosa corri “. " Stai bono guarda ha chiamato lo Zanghi, dice di passare dal reparto ci son buone notizie " dissi mentre la lancetta tornavi sui novanta. “ Come? Parla piano. Chi ha chiamato cosa, ma quando? Cosa fai rallenti, corri, no pesta, moviti non ti ho insegnato nulla”. Parcheggiammo vicino al Santa Chiara. A passo svelto, ma non troppo entrammo nel reparto, accaldati, ansiosi ed in fibrillazione.
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