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LA FUGA (Racconto per cuccioli svegli)

Ragazzi

Oky si lisciò il pelo fermandosi un istante a guardare l'orizzonte, cogliendo l'attimo magico in cui il giorno lascia il posto alla sera.

Oky si domandava il perché di quella fuga all'ultimo respiro. D'improvviso, la sua vita aveva preso una direzione inimmaginabile. Tutto era cominciato mentre era allo stagno a giocare con le ombre delle libellule riflesse nell'acqua. Un nugolo di moscerini aveva distratto fremiti di pensieri in libertà, sguinzagliati dal giovane ardimento. Così s'era accorto del gruppo di cani lanciati all'inseguimento, inarrestabili, ansimanti, scossi da fremiti di ferocia e di sangue. Quei cani cercavano proprio lui, volevano una preda da portare in trofeo all'uomo che li aveva aizzati.

Oky non conosceva ancora come andava il mondo.

Per lui le giornate, fino a quel momento, si erano succedute inebrianti nella scoperta fantastica dell'esplosione della Vita, nel rincorrersi colorato di farfalle: nel gorgheggio degli usignoli, dei picchi, dei fringuelli dal collare rosso; nello scintillio dei raggi del sole, al mattino, tra la rugiada fumante; nello sciacquio dell'acqua del torrente che accarezzava i lucidi sassi e le sponde erbose; nel rumore del vento tra i rami e nel silenzio della notte, oltrepassato dai richiami del nibbio e del barbagianni.

Oky era uno scolaretto attento alla scuola della vita.

Ogni cosa era per lui una scoperta trepidante, un tripudio di suoni, di immagini, di sensazioni e di percezioni che accarezzavano i suoi sensi con dita di velluto. Oky aveva imparato a correre gareggiando col vento che stormiva tra le foglie, ad osservare il tramonto infuocato dai grandi Faggi immobili, a cantare dagli allegri abitanti dell'aria, aduso ad ascoltare la grande voce che parla in ogni cosa, dall'immensità del cielo alla modestia di un sasso, all'insulsa esistenza di un granello di sabbia. Suoi amici e compagni nei quotidiani vagabondaggi erano Arvey la volpe, Cassidy la talpa, Selina la farfalla, Fred il lombrico, Pussy il Porcospino, Dorothy la donnola, Lupino il passero e Sandy la chiocciola. Con essi ogni alba si affacciava su un mondo di avventure, lungo i sentieri della fantasia, facendosi i dispetti l'un l'altro, rincorrendosi sui verdi tappeti montani, tuffandosi nelle ridenti cascate autunnali.

Se ne stavano ore e ore distesi sull'erba morbida a raccontare inverosimili storie di mostri dalle fauci spalancate, alla ricerca di vittime da sacrificare. Ed ecco che una di quelle storie che li lasciava col fiato sospeso si era avverata. Quei grossi cani ansimanti avevano spezzato per sempre l'incantesimo, mandando in frantumi gli ultimi brandelli di speranza che gli restavano. Oky aveva cominciato a fuggire: “ Ehi ragazzo, gambe in spalla” aveva detto. E si era dato alla macchia filando come un treno. Un coniglio che si rispetti non può aver paura di quattro brutti musi neri. Un coniglio con la “ C” maiuscola deve farla in barba al più veloce dei levrieri. Forse per paura, forse grazie all'istinto di animale braccato che all'improvviso era venuto fuori, Oky le gambe se le era fatte arrivare davvero in spalla!

Correre senza guardare, senza pensare, senza quasi respirare. Correre tra i rovi, tra le spine, tra sambuco e genziane, tra ruvidi sterpi e delicati ciclamini. Aveva corso così forte che il cuore sembrava volergli balzare fuori dal petto, ma era riuscito a seminare gli inseguitori.

Che disastro!

Il suo morbido pelo bianco e nero sembrava uscito da una lavatrice con centrifuga inserita, le sue zampe erano livide e doloranti, gli occhi ancora colmi del terrore che l’ aveva rapito, le lunghe orecchie ferite, il naso graffiato e contuso. Ma era lì a tirare le somme, e questo era l'importante. Cominciava ad imbrunire, ombre dure attraversavano le cose tramutandole in colate di pece nera. Oky aveva paura del buio, ma adesso la Notte era sua alleata, creando, per lui solo, imprevisti anfratti e preziosi nascondigli.

Una manciata di erba tenera tra i rami bassi di un larice sembrò a Oky il rifugio ideale. L'ingresso era sbarrato da due funghi chiodini che già sbadigliavano per la stanchezza e Oky badò bene a non disturbarli facendosi piccolo piccolo per il ristretto paesaggio. Tra i rami pioveva qualche raggio di luna a rendere meno nera la notte, e con tutte quelle emozioni a popolargli la mente, Oky si addormentò in men che non si dica, abbandonandosi ad un mondo onirico popolato da fantasmi ghignanti. Nel cielo plumbeo cominciarono ad arrivare una ad una tremule stelle d'argento a riempire la notte di mille scintillii.

Oky sognò lo steccato liscio dalla fattoria dal quale aveva occhieggiato sconosciuti armenti, filari di uva deliziosa e fiori giganti. Sognò di giocare a nascondino nelle mille stanze di terra della casa di Cassidy la talpa, e sognò di rubare le briciole a Lupino, il passero, saltellando tra i sassi del torrente. Sognava di essere al calduccio nella sua tana, quando una farfalla sostò sul suo naso.

Aprì gli occhi. Il sole era già alto nel cielo a scaldare il mondo ai suoi piedi. Oky si stirò con decisione, apprestandosi ad eseguire le normali operazioni di toilette mattutine. Ma sulla riva del fiume, sporgendosi nello specchio limpido dell'acqua, vide l'immagine stanca di un coniglio braccato, inseguito, amareggiato ed esausto. Gli tornarono alla mente i cani ringhiosi, la fuga, le mille peripezie. E di nuovo il cuore prese a battergli all'impazzata, martellando la mente di domande senza risposta.

Aveva sentito parlare dell'Uomo, di questo essere strano che uccide per diletto, ma non riusciva a farsi una ragione del perché animali come lui si vendessero per un pasto caldo e uno stuoino, rinunciando alla propria libertà e al proprio istinto.

Quei dannati cani avevano spento la fiammella della speranza che ardeva nel suo cuore. Quegli animali ammaestrati ubbidivano al loro padrone ingraziandosene la fiducia con prede ambite, e ricevevano in cambio una scodella caritatevole. Quei cani avevano rinunciato per quella scodella alla vita raminga tanto cara ad Oky. Avevano lanciato dal dirupo della sottomissione indefessa lo spirito di Libertà che selvaggi antenati, abitatori della Foresta, avevano elaborato in secoli di lotte all'ultimo sangue. Cromosomi di alto lignaggio miseramente dispersi nell'incrocio indecoroso di insulse sovrapposizioni genetiche. “ Imbarbarimento del DNA” pensava Oky trastullandosi con una foglia di sambuco. Certo è che quelle creature dal Dna impoverito gli avevano causato non pochi problemi. Per dirla tutta gli avevano d'improvviso tolto la terra sotto le zampe, abbandonandolo in un baratro di incertezze senza fondo.

Qualche carota selvatica per rifocillarsi, e Oky si sedette sull'erba con le povere membra distrutte dalla lunga fuga imprevista. Gli pareva di vedere Sandy la chiocciola passeggiare sul tronco rovesciato che era di fianco. Immaginò Fred e Selina giocare tra i fiori, pensò a Mamma Coniglia certamente preoccupata per la sua assenza e una lacrima amara gli scese giù lungo il muso. Neppure le acrobatiche esibizioni di Genty, il bruco Geometra, riuscirono a rubargli un sorriso.

In quel silenzio terribile, gli parve di udire dei latrati, ma forse era il suo cuore in subbuglio a creare fantasmi di suoni e di immagini temuti. Continuò a guardare il cielo vespertino, osservando il rincorrersi delle nuvole grigie tra gli ultimi aranciati del sole. I latrati divennero sempre più vicini e cominciò a sentire nuovamente nel terribile ansimare.

Un giro di vite, e tutta la forza vitale che gli restava ridestò quelle membra abbandonate in uno slancio inaudito. Cominciò a correre inciampando nel proprio terrore. Le sue ossa si piegavano sotto il peso della fatica e della paura, accumulata in quella fuga senza senso. Quasi volava, Oky, mangiava la strada tra boschi e radure. Dietro una siepe, però, si nascondeva un dirupo scosceso costellato di pietre appuntite. Un piede in fallo, Oky rovinò a terra con l'arto immobilizzato. Cominciò a tremare come una foglia alla mercè del vemto autunnale, quando due occhi iniettati di rabbia sbucarono dalla siepe. Leggeva il desiderio di sangue e morte in quello sguardo che voleva rapirgli la vita che gli si agitava in petto, facendo scempio del suo povero corpo martoriato. Prossimo alla fine, gli passarono dinanzi le immagini ridenti della sua breve esistenza e dei suoi affetti, i piccoli amici del bosco, la mamma, i fratellini... Si sforzò di desiderare una fine veloce temendo di non sopportare il dolore vivo del suo corpo violato. Provò a non pensare a quelle zanne acuminate che sarebbero affondate nella sua carne, ma la mostruosità di quegli occhi lo immobilizzò del tutto, bloccando anche il turbinio dei suoi pensieri impazziti.

“ E' finita! - si disse - Perdonami, mamma “. Stava per chiudere gli occhi e andare incontro alla morte, quando lo sguardo del nemico si fece mansueto.

Il ricordo ancestrale depositato in fondo ai cromosomi di quel cane addomesticato salì alla superficie del suo essere, che sembrò leggere quel terrore e insieme quelle immagini di giovanile vitalità che Oky non aveva voluto dividere con alcuno e che aveva materializzato senza rendersene conto.

Arvey la volpe, Cassidy la talpa, Selina la farfalla, Fred il lombrico, Pussy il porcospino, Dorothy la donnola, Lupino il passero e Sandy la chiocciola, avevano vinto la loro battaglia.

Per un attimo, predatore e preda si guardarono negli occhi e in quello sguardo si poteva leggere una tregua importante che vedeva la solidarietà della specie da un lato, la caparbia e la presunzione di superiorità dell'altro. Uomo e animale legati da un rapporto di crescita continua e inarrestabile.

Il dramma vero di quella serata non si era consumato grazie a quel tacito patto tra animali. Il cane fece dietro front e, dopo aver lanciato un'ultima occhiata al povero Oky, si allontanò facendo perdere le tracce di un coniglio inesperto che, dalla scuola della vita, aveva imparato una magistrale lezione di collaborazione e di solidarietà.

Si avvicinava la notte e Oky saltellava soddisfatto in direzione della propria casa con nuove certezze nel cuore e grandi progetti nella testa.

Quella guerra tra poveri che non era stata combattuta aveva regalato al coniglio Oky la speranza di una vita migliore e la dolcezza di un incontro indimenticabile.

Il vento soffiava da est facendo ondeggiare le cime dei pioppi. Scheletri neri che si agitavano contro il cielo. Oky, pervaso da una felicità mai conosciuta prima d'allora abbracciò la sua mamma e l'intera famiglia e, prima di addormentarsi, mandò un pensiero di gratitudine a quel cane ansimante che gli aveva regalato la Vita.


Mina Cappussi 02/09/2016 17:10 1973

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«Racconto destinato ai ragazzi, ma di piacevole lettura anche per gli adulti. Come sempre accade le favole riservano messaggi e spunti di riflessione per tutti noi»

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