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Un giorno qualunque

Sociale e Cronaca

Il Pandino di Leda si fermò che mancavano ancora più di due chilometri per arrivare a casa; intanto veniva giù un mezzo diluvio, quindi l’ unica cosa da fare era accostare l’ auto al marciapiedi e provare a riaccendere il motore.

Leda tentò e ritentò con la chiavetta d’ accensione, ma niente da fare.

Si sentiva stanchissima anche solo ad incazzarsi per quell’ inconveniente; erano almeno quattro settimane che non si concedeva una tregua, e per l’ inaugurazione del locale, che era fissata per l’ indomani, s’ era dovuta occupare praticamente di tutto, anche della scelta del catering.

Della sua giornata, però, non poteva certo lamentarsi, perché il completamento di quel lavoro, oltre che un discreto guadagno, le aveva procurato complimenti e approvazioni da parte di chiunque l’ avesse visto.

Il locale, un pub con annesso piano bar, era stato arredato da Leda come un piccolo gioiello di giovanile eleganza, curato in ogni più piccolo dettaglio, nella decorazione e nella funzionalità; il merito - non si poteva negare - le apparteneva per intero, insomma, oltre che un sicuro successo professionale, era un trampolino di lancio per il suo luminoso avvenire di arredatrice.

Quel giovedì aveva dato gli ultimi ritocchi all’ addobbo per l’ inaugurazione, poi erano arrivati Glauco e Samuele, i proprietari, per la verifica del sistema di sorveglianza.

Visibilmente soddisfatti del risultato, l’ avevano trascinata, insieme ad un paio di suoi collaboratori, in un piccolo bar del quartiere, dove avevano ordinato una bottiglia di spumante e degli stuzzichini. Samuele, il belloccio dei due, l’ aveva abbracciata.

“ Architetto, non fare la secchiona come a scuola! Concediti una meritata pausa con un buon prosecco d’ annata.”

Tra risate e altri complimenti, lei aveva bevuto un paio di calici, tanto per non sembrare di legno, e poi perché ormai le restava ben poco lavoro da fare.

“ Stasera festeggio con una bella inciuccata insieme alle mie amiche, roba per sole donne, però, e non vi dico dove, perché verreste a rompere le balle…” aveva detto ai due prima di andarsene, ma era bugia bella e buona per depistarli: in realtà si sentiva davvero distrutta e desiderava soltanto spalmarsi sul suo letto per almeno una decina d’ ore, prima dell’ inaugurazione, per la quale era intenzionata ad essere al meglio di sé.

Invece ora quel suo scassone di macchina aveva stabilito di guastarle il programmino. Così cercò di calmarsi e di ragionare; infondo stava al riparo, nella sua auto, in una zona sufficientemente illuminata. Poteva cercare subito un taxi per tornarsene a casa; certo con quel diluvio avrebbe comunque dovuto aspettare un bel po’, perché si trovava in una zona di periferia.

Sicuramente tentare di stabilire la natura del guasto sarebbe stata un’ inutile perdita di tempo, tanto lei di motori non ci capiva nulla.

Appoggiò la testa allo schienale e chiuse gli occhi: se quella serata non fosse stata così sfigata, sarebbe già nel suo appartamento, certo non una reggia, cinquantasei metri quadri di soffitta, con il letto ancora sfatto, la pila di piatti e di pentole da lavare in cucina e i suoi due gatti Tappo e Teppa, miagolanti e affamati, che reclamavano la loro razione di croccantini.

Come faceva sempre rincasando, avrebbe lanciato chiavi e borsa sul tavolino d’ ingresso, si sarebbe sfilata subito le scarpe, o meglio quei trampoli con quindici centimetri di tacco, che erano la sua fissazione di ‘ eleganza femminile’ e che indossava ogni giorno, anche se nevicava, avrebbe preso la scatola dei croccantini e versate le dosi nelle due ciotoline, perché Teppa e Tappo, come tutti i gatti, non amano condividere le loro comodità.

E invece se ne stava lì, bloccata nella sua macchina rompiballe, che si ostinava a non voler ripartire anche dopo una cinquantina di tentativi di riavviarla.

Avrebbe avuto bisogno di un aiuto, soprattutto di qualcuno che ci capisse qualcosa di quel guasto; un meccanico sarebbe stato perfetto, ma su quella strada non c’ era niente, neanche l’ ombra di un negozio.

Avrebbe potuto telefonare al soccorso stradale, ma non aveva rinnovato la tessera di socia e l’ intervento le sarebbe costato un occhio della testa, quando magari poteva essere una cretinata, un filo che s’ era staccato, una cosa che anche lei avrebbe potuto notare e sistemare in fretta…

Così le venne l’ idea di tentare, pur nella sua assoluta inesperienza: cosa le costava scendere dalla macchina, aprire il cofano e dare un’ occhiata? Purtroppo non aveva l’ ombrello e stava venendo giù il diluvio, ma pazienza! Si decise, scese dall’ auto, cercando di ripararsi alla meglio con la sua borsa sulla testa, e, aperto il cofano anteriore, cominciò a guardare nella penombra quell’ oggetto misterioso che era il motore. Proprio mentre era intenta in questa perlustrazione, si sentì afferrare da dietro e strappare violentemente la borsa.

“ Ma che cazz…” Non riuscì a finire quella frase che una mano guantata le fece una tremenda pressione sulla bocca, impedendole di gridare.

“ Stronza, entra in macchina senza ribellarti. Subito.”

Lo intravide, perché era dietro di lei, un individuo incappucciato con una specie di passamontagna nero, che provava a soffocarla; chiuse il cofano, la spinse sotto la pioggia, aprendo lo sportello del passeggero.

“ Entra e siedi” fu l’ ordine, accompagnato da un urto dopo il quale Leda si ritrovò seduta, dolorante, con i capelli e la giacca quasi zuppi di pioggia, mentre lo sconosciuto, chiusa con violenza la porta, azionò il telecomando annesso alle chiavi e fuggì.

Leda tentò disperatamente di aprire gli sportelli anteriori, quelli posteriori, ma fu tutto inutile: erano stati bloccati elettronicamente.

Con rabbia del tutto impotente iniziò a battere forte i pugni contro i vetri gridando aiuto, mentre fuori non c’ era nessuno che avesse visto quell’ aggressione, consumatasi in una manciata di secondi, nessuno che potesse soccorrerla.

Il malvivente si era dileguato con la sua borsa, con dentro tutto quello che poteva servirle, a cominciare dal cellulare. Leda, agitatissima, incazzata, avvilita, continuò a urlare e a battere i pugni contro i vetri ermeticamente chiusi; com’ era possibile che nessuno la sentisse su un vialetto, seppure periferico, dove aveva accostato la macchina? Le case erano tutte dalla parte opposta della strada, finestre illuminate, ma chiuse, come i portoni, e la pioggia ostinatamente insistente. Un vero incubo.

E lei cedette al panico, esplodendo in una specie di pianto isterico, chiusa lì, nella penombra della sua auto, sotto quel nubifragio, in una periferia di Roma che conosceva solo perché ogni giorno, per andare a lavorare, l’ attraversava. Senza mai fermarsi.

Era l’ ora di cena e di sicuro con quel tempaccio non c’ era da aspettarsi che sarebbe passato qualcuno a piedi.

Ad una certa distanza, dall’ altra parte della strada, intravide per mezzo minuto una persona che si affrettava ad entrare in un portone e che non udì, per la pioggia scrosciante, le sue grida e i colpi che dava al finestrino; una macchina, l’ unica in transito, infilò subito il passo carrabile in discesa.

Chi era al volante non sarebbe uscito in strada, perché, come in tutti gli stabili, c’ era di sicuro una porta di collegamento con il vano scale del palazzo.

Che situazione di merda! pensò, asciugandosi le lacrime con i fazzolettini che erano nel cassetto del cruscotto.

Quanto sarebbe durata quella sua ‘ reclusione’?

Era sempre più nervosa ed esasperata ed aveva una gran voglia di spaccare tutto; le sembrava che già le mancasse l’ ossigeno. Una come lei, che soffriva di claustrofobia, che non entrava in un ascensore se non in compagnia di qualcuno e sempre con la trepidazione e l’ ansia di uscirne, ora era lì, chiusa inesorabilmente nell’ abitacolo della sua auto.

Se non si fosse calmata, le sarebbe venuto un attacco di panico, avrebbe perso i sensi, cosa che non le sarebbe stata di nessun aiuto. Doveva rassegnarsi ed aspettare: che spiovesse, che qualcuno si decidesse ad uscire o a passare di lì; appoggiò la testa allo schienale e provò a rilassarsi, tentando di autoconvincersi che prima o poi tutto si sarebbe risolto positivamente.

Intanto non smetteva di piovere; di sicuro erano trascorse le ventuno ed oramai doveva prepararsi all’ ipotesi, sempre più realistica, di restare chiusa in macchina fino all’ indomani.

Non riusciva a pensare a niente, era solo concentrata a guardare fuori, sulla strada, se per caso passasse qualcuno da cui farsi notare, ma quel diluvio insistente avrebbe trattenuto chiunque in casa, in un portone, al riparo.

Una brutta disavventura che le aveva rovinato la bella giornata sul lavoro, l’ unico dei pensieri positivi che le tornò in mente a confortarla. Provò a concentrarsi sull’ indomani, il giorno dell’ inaugurazione del locale, la grande affluenza di gente e poi sorrisi ed elogi da amici e conoscenti. A pensarci in quel momento, le sembrò una beffa del destino quella di dover trascorrere un’ intera notte al freddo, dentro la sua macchina, per colpa di un ladro bastardo. Chiuse per un momento gli occhi, sopraffatta dalla stanchezza; d’ improvviso le venne in mente Gianni, il suo ex compagno, che se n’ era andato via da quasi un mese.

Se fosse stato lì, avrebbe risolto tutto in pochi minuti.

Gianni, che lei aveva sfrattato da casa sua dopo l’ ennesima lite; lei con il lavoro fino alle orecchie e lui che il lavoro lo stava perdendo a forza di uscire di sera con gli amici a farsi due birrette e forse qualcos’ altro…

“ Ti comporti proprio da stronza” era stato il suo saluto sulla porta e lei gli aveva replicato sorridendo “ Stronza, ok, ma non merda come te!”

Da quel momento non lo aveva più cercato e neppure lui si era fatto sentire, a parte qualche suo sms ancora incazzato e minaccioso. Lo conosceva, lui non sapeva perdere, aveva bisogno di tempo per incassare una sconfitta. Anche sul lavoro era così, sbraitava continuamente; a volte, quando era molto arrabbiato, le metteva paura, sembrava pronto a menare le mani.

Certo, pensò, un po’ le mancava, ma c’ era da dire che in casa senza di lui si stava da dio. Chissà dov’ era in quel momento?

Magari se fosse passato, avrebbe tirato diritto, vedendo Leda in difficoltà avrebbe esultato, si sarebbe goduta la scena con un mezzo sorriso. Se lo stava immaginando proprio con quella sua espressione tra l’ ironico e il sadico, che le sarebbe venuta voglia di riempirlo di cazzotti.

Era passato altro tempo, impossibile dire quanto, forse un’ ora, forse più, ed aveva smesso di piovere.

La strada, debolmente illuminata, era deserta e Leda sentì una sorta di torpore; pensò che doveva prepararsi a trascorrere la notte al freddo, digiuna, arrabbiata con il mondo che la ignorava, in quello schifo di quartiere dormitorio, dove dopo cena nessuno sarebbe uscito neppure buttare la spazzatura. La stanchezza stava per sopraffarla, ma lei doveva restare vigile, se mai qualcuno inaspettatamente fosse passato sulla via. Era così provata da quella lunga giornata che, malgrado la sensazione di freddo e tutti gli sforzi per restare sveglia, si appisolò, la testa appoggiata al vetro del finestrino.

Quando riaprì gli occhi, svegliandosi quasi di soprassalto, vide un uomo fermo proprio vicino alla sua auto, sembrava stesse lì da un po’ di tempo ad osservarla.

Elegante in un completo grigio perla, ma senza camicia, forse giovane, con capelli neri lunghi fino alle spalle e che in parte gli coprivano gli occhi di un azzurro intenso, ben visibili, pur nella penombra, sorrideva. Leda immediatamente cominciò a gesticolare e ad urlare. “ Per favore mi aiuti! Mi hanno chiusa qui dentro... Un ladro, ha preso le chiavi, la mia borsa con il cellulare. La prego chiami i pompieri! Mi capisce vero?”

L’ uomo in grigio restava fermo ed impassibile, a parte quel suo mezzo sorriso; sembrava un manichino e avrebbe potuto esserlo, ma Leda si avvicinò il più possibile al vetro cercando di osservarlo meglio: ma sì, era un uomo vero, che si muoveva anche se ora stava fermo, e allora lei continuò a gesticolare, agitandosi e gridando “ Per favore, please, por favor, s'il vous plaî t, bitte, aiutooo!!! Help me, aidez- moi…¡ ayú deme!!! Cazzo, ma che lingua parli?”

E intanto batteva i pugni sul vetro e poi sul parabrezza e faceva gesti per indicare che era chiusa e che non poteva uscire. L’ uomo in grigio continuò a guardarla senza avvicinarsi, poi mise una mano in tasca, estrasse un pacchetto di sigarette, e fece il gesto di offrirne una a lei. Leda stava per dare in escandescenze, ma cercò di restare calma, immaginando che quel tipo lì fuori fosse un turista, di chissà quale paese, e che non avesse capito un accidente di quella sua situazione.

“ Nooo, niente sigarette. Aiutami, ti prego! Chiama aiuto!” Allora l’ uomo infilò l’ altra mano in tasca, ne estrasse una piccola bottiglia, sarà stata birra o altro, e fece forse due passi verso di lei mostrandola e sorridendo con un volto assolutamente sereno, che faceva rabbia. Era un invito a bere, mentre lei continuava a battere i pugni sul vetro e quello, riposta la bottiglia in tasca, fumava tranquillamente appoggiandosi con le spalle ad un’ insegna pubblicitaria e continuando ad osservare la disperazione di Leda.

Le finestre dei palazzi restavano chiuse e spente, la gente dormiva e non sentiva nulla e quell’ unico passante era un balordo di chissà che razza e in vena di scherzi crudeli.

“ Fanculo, bastardo! Vediamo se questo lo capisci” pensò esasperata e, appena lui si voltò per guardarla, gli mostrò il dito medio. Ma l’ uomo non sembrò alterarsi, anzi si mise a ridere e rimase ancora un po’ lì prima di allontanarsi, voltandosi un paio di volte, sempre sorridendo, finché sparì in fondo alla strada buia.

L’ aveva abbandonata, quel pezzo di merda, senza chiamare uno straccio di aiuto. Leda cominciò a piangere, urlando le peggiori maledizioni ed imprecazioni contro lo sconosciuto, che ormai chissà dov’ era. Infine esausta si rovesciò sull’ altro sedile, quasi rassegnata ad aspettare così le prime luci del mattino. Si raggomitolò nella giacchetta, tolse via le scarpe e si accucciò, per darsi da se stessa un po’ di calore, chiudendo gli occhi, senza più pensare a quella situazione paradossale in cui si era trovata. E, nonostante la rabbia, la frustrazione, il freddo, si addormentò e dormì profondamente per qualche ora, poi, all’ improvviso, sentì aprire lo sportello.

Inizialmente le sembrò di sognare: di fronte a lei c’ era un uomo sui cinquant’ anni, in tuta arancione con due strisce argentate fosforescenti, che delicatamente le si avvicinò e, sfiorandole un braccio, le chiese: “ Scusi, signora… si sente bene?”

Leda si stropicciò gli occhi, soprattutto per accertarsi di essere sveglia, ma non riusciva ad articolare parole; era come inebetita, confusa.

“ Ma dove mi trovo?” chiese “ lei chi è?”

A sentire quelle domande, l’ uomo capì immediatamente che la giovane donna avesse bisogno d’ aiuto.

“ Marcè, che stai a fa’?” gli chiese il suo collega che, sceso dal camioncino della nettezza urbana, s’ era avvicinato alla Panda.

“ Ho visto ‘ sta ragazza, ho pensato, ‘ voi vedè che è una che s’è sentita male…’ mbriaca o drogata…” e disse queste ultime parole a bassa voce.

“ Ma chiamamo qualcuno, l’ ambulanza…” propose l’ altro.

“ E mo’ la chiamo, se capisce! Intanto che sto qui ad aspettà, tu va’ al bar e fatte’ da’ du’ cornetti e un cappuccino, che questa c’ ha bisogno de zuccheri…”

“ Ma ce penserà l’ ambulanza… Che ne sai se poi je fa male?”

“ Nu je fa male, fidate, che se deve vomità, è mejo che lo fa subito.”

Leda intanto sentiva un gran freddo, e batteva i denti.

“ Vedi, che c’ ha bisogno de ‘ na cosa calda? Cori, va’!”

E mentre spingeva il suo collega, che si decideva ad andare, estrasse dalla tasca della giacca il suo telefonino per chiamare il 118, ma Leda si affrettò a fermarlo.

“ No, grazie, non chiami l’ ambulanza, sto bene, mi creda, è che sono rimasta chiusa da ieri sera in questa macchina dopo essere stata derubata… Ho solo bisogno di un taxi per tornare a casa. Grazie.”

L’ uomo la guardò piuttosto sconcertato da quel discorso, e rimase con il telefono in mano senza sapere più cosa fare. “ Scusi, signorina, che intende dire per ‘ rimasta chiusa’? Di chi è questa machina?”

“ E’ mia, naturalmente, ma non ho più le chiavi perché mi sono state rubate ieri sera insieme alla borsetta e al cellulare. Pensi che razza di malviventi girano in questa città!”

L’ uomo la guardava sempre più stupefatto.

“ E non poteva andarsene a casa sua invece di restarsene qui al freddo e all’ umidità tutta la notte? Certo, capisco, non so’ affari miei, doveva lascia’ la macchina aperta e incustodita, gliela potevano arrubbà...”

Leda, accortasi dell’ espressione confusa e allibita del suo interlocutore, pensando di aver saltato qualche passaggio nel suo racconto, volle ribadire “ Ma io ero rimasta chiusa dentro la mia macchina. Come potevo uscire e tornarmene a casa? Magari! Anzi, mi scusi, lei come ha fatto ad aprire lo sportello?”

L’ uomo a quel punto rispose con la massima naturalezza.

“ Era aperto, signorina, apertissimo! Io me so’ permesso de avvicinamme, perché nun capivo sinceramente se lei se stava a sentì male. Così ho aperto la portiera e poi l’ ho chiamata. Sa, co’ ‘ sti tempi de crisi, la gente c’ ha problemi economici, magari nun po’ pagà l’ affitto e dorme in machina. Ho pensato, ho equivocato… ho frainteso…”

Leda lo guardava e lo ascoltava più che esterrefatta.

“ Mi scusi, ha detto che lo sportello era aperto? Ma è sicuro?”

“ Sicurissimo, signorì!! Me possino cecamme! e poi c’ era il mio collega Giggi… glielo po’ confermà pure lui!”

Gigi, il collega, era nel frattempo arrivato con il cappuccino bollente e due maritozzi in una busta.

“ Beva, signorì, che è caldo e le fa bene… Qua ce stanno du’ cornetti…”

“ Ma come parli a una signorina? Cornetti lo dirai a tu’ moglie!” lo rimproverò Marcello, poi rivolto a Leda, che già stava sorseggiando il cappuccino per scaldarsi “ Lo perdoni signorì! Questo manco ha finito l’ elementari! Beva, beva pure… tutta salute!”

Lei sorrise, ma le sembrava davvero di essere andata fuori cervello; pensò pure che quando era stata derubata le avessero dato un colpo in testa e che si fosse sognata tutto, il fatto di essere stata chiusa dentro la macchina, e poi quell’ uomo in grigio, che sorrideva e fumava…

“ Diglielo tu alla signorina che io la portiera della machina l’ ho aperta normalmente, mica me so’ messo ad armeggià.”

Gigi, senza capirci un tubo, confermò la storia dello sportello aperto. “ Marcè, noi dovemo comincià a lavorà stammatina. Quando arriva st’ ambulanza?”

“ E’ che la signorina dice che sta bene, che vole tornà a casa col taxi… Ma è sicura?”

Leda fece segno di sì, perché non aveva nessuna voglia di ricominciare a raccontare una storia paradossale a cui nessuno evidentemente avrebbe creduto, figurarsi a riferirla a quelli del 118! Dopo le analisi antidoping e quelle del tasso alcolemico, l’ avrebbero di sicuro ricoverata in osservazione al reparto neurologico.

“ Il taxi arriva subito, gli ho dato l’ indirizzo giusto, stia tranquilla. Mi stia bene, signorina, e prima di andà via, guardi se tante vorte le chiavi so’ cadute pe’ sbaglio dietro un sedile…”

“ Se mi dite i vostri nomi, oggi stesso posso lasciarvi una mancia per quanto avete fatto per me. Come vi ho detto sono stata derubata ieri sera… Veramente non so come ringraziarvi, come sdebitarmi…” Leda era confusa e commossa, per il freddo, lo spavento e la disavventura notturna.

“ Nun se preoccupi, signorì!” replicò Marcello con un sorriso e stringendole la mano “ L’ importante è che lei sta bene e nu’ è successo niente de grave. Lasci perde’, stia tranquilla!”

I due della nettezza urbana la salutarono e iniziarono il loro consueto giro per il quartiere, che nel frattempo si stava animando anche nel traffico.

Leda provò a seguire il suggerimento del suo ‘ salvatore’ e cercò le chiavi all’ interno dell’ abitacolo. Con sua enorme sorpresa, le ritrovò proprio sotto il sedile del passeggero. Le guardò a lungo allibita, come una che ha perso di colpo la memoria, ma in quel preciso momento arrivò il taxi, quindi scese dalla macchina e chiuse le porte con il telecomando dicendo al taxista “ Via Capodimonte 102, grazie.”

Arrivata a casa, l’ accolsero i miagolii disperati dei suoi gatti. Lei aprì lo sportello dell’ armadietto nel ripostiglio, prese la scatola dei croccantini, ne versò una doppia razione nelle ciotoline dei due mici affamati e poi si fiondò sul divanetto di velluto amaranto. In quella posizione supina si slacciò la gonna, sbottonò la camicetta e contemplò il soffitto, ripensando a quella specie di puzzle che era stato la serata precedente. Sul tavolino c’ era ancora un bicchiere, mezzo pieno di succo d’ ananas; Leda allungò il braccio, lo prese e lo bevve tutto d’ un fiato: era troppo stanca e provata, anche solo per alzarsi, andare in cucina, aprire il frigo… comunque quell’ avanzo di succo le sembrò meno disgustoso di quanto potesse esserlo dopo essere rimasto lì un giorno e una notte.

Forse ci voleva una bella tisana al tiglio e alla melissa, ma questo significava comunque alzarsi e andare a prepararla. Magari più tardi, si disse, stiracchiandosi un po’.

I gatti si erano accomodati, Teppa sulla sua pancia e Tappo su quel che restava della seduta del divano, proprio accanto alla sua testa. “ Ecco cosa vi piace fare, bricconi miei!” disse coccolandoli.

Nel frattempo le era sopraggiunto il solito mal di testa da post festino notturno con qualche bevutina di troppo, ma di certo in questo caso altre erano le cause, la stanchezza e il dormicchiare in una macchina al freddo.

Per un momento ripensò allo spumantino con cui aveva brindato insieme a Samuele e Glauco: possibile che averne bevuto due bicchieri le avesse creato una situazione paradossale, quando lei era abituata a bere molto di più senza subire effetti devastanti, insomma tutto spiegabile con un colpo di sonno? Dunque s’ era sognata ogni cosa, il guasto della macchina, l’ aggressione, la sua reazione disperata, quello strano individuo vestito di grigio che voleva solo offrirle da bere e da fumare e che se la rideva di lei e del suo isterismo pazzoide. Tutto, tranne il furto della borsa, avvenuto, comunque, mentre lei s’ era abbioccata di brutto, lasciando cadere le chiavi sotto il sedile. Ogni sforzo per ricordare qualcos’ altro, sarebbe risultato inutile e irritante; ormai mancavano poche ore all’ inaugurazione del locale, ovvero la sua soddisfazione massima, e dopo un riposino necessario per raccogliere qualche energia, sarebbe andata a riprendersi la macchina, che forse era anche perfettamente funzionante.

Si sentiva così stanca, che la camera da letto le sembrò troppo lontana per arrivarci, quindi allungò ancora una volta la mano, afferrò il plaid, appoggiato su una sedia vicina, e vi si avvolse come in un caldo e desiderato abbraccio.

Prese il telecomando e accese la tv, fece un po’ di zapping, tanto per non imbattersi in tg, notiziari, e altre calamità internazionali, finché trovò un canale che trasmetteva un famoso e vecchio film con Clark Gable- Rhett Butler, che, con espressione sorniona, diceva alla bellissima Vivien Leigh- Rossella O’ Hara: “ Francamente me ne infischio!”.

Era proprio ciò che Leda avrebbe detto; al diavolo quella serata surreale, zeppa di situazioni assurde, al diavolo tutto, tranne il lavoro che aveva fatto e di cui era giustamente orgogliosa; che si godesse un po’ di meritato sonno, lì sul divano di casa sua, guardando Clark Gable, che era un bel guardare! Anche quello era un modo per festeggiare, chiudere gli occhi e sognare di rincontrare, perché no, alla festa di inaugurazione, quell’ uomo in grigio, bruno con i capelli lunghi, gli occhi azzurrissimi, potergli dire con espressione provocante: ‘ ma allora esisti davvero, bel pezzo di stronzo?’, ed infine vederlo ridere e poi, chissà, fare amicizia con lui bevendo insieme un paio di birrette.

Le si chiudevano gli occhi e ritrovarsi nel secondo tempo di quel sogno o in un altro non le dispiaceva per niente.

Domani o, per meglio dire oggi, sarebbe stato un altro giorno.


Bianca M Sarlo 16/04/2016 10:22 1039

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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