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Sembrava un paese del far west, polveroso e accaldato, per le vie solo qualche cane randagio assetato e l’ aria era quasi immobile… Era seduto al tavolo di un piccolo bar, al centro del paese montano, situato fra verdi alture e colline dal quale si poteva estendere lo sguardo, verso la meravigliosa distesa azzurra del golfo di Sant'Eufemia. Era lì ormai già da un po’ di tempo, quello era il suo terzo bicchiere di coca cola e forse aveva deciso di ubriacarsi con quella bibita ghiacciata e frizzante. Osservava annoiato il bicchiere e fissava le bollicine che risalivano facendo uno strano brusio. Rimase così attonito con lo sguardo di un deficiente, tant'è che Ugo, il titolare del locale, vedendolo già da troppo tempo in quello stato gli chiese canzonandolo un po’: ” Ehi Piero… ti sei perso? Sei in questo stato da ore… e che… per caso ti sei innamorato?” Piero fu distolto dai propri pensieri, anche se a ben pensarci, non ne aveva molti, ma uno solo. Fuggire da quel buco e andare lontano verso la città. Già, Piero sognava una vita diversa, non avrebbe fatto l’ avvocato come suo padre, ma il suo sogno era diventare artista di strada. Un’ idea bislacca ed è per questo che non avrebbe mai avuto il coraggio di dirlo ai suoi. Il pomeriggio ormai stava scemando ed i sampetrini, per il gran caldo rovente di quei giorni, scottavano. In giro non si vedeva quasi nessuno, soltanto qualche vecchietto seduto sulle panchine in legno, della villa comunale ed all'ombra refrigerante, dei grandi platani, a chiacchierare e spettegolare sui pochi passanti. Piero guardò l’ ora mentre il campanile della Chiesa di San Michele Arcangelo rintonava le ore venti e pensò che era tempo di cena… già, doveva tornare a casa e nonostante dal punto di vista climatico ci fossero quaranta gradi, la sua casa era gelida d’ affetti da far rabbrividire. Una mamma sempre troppo presa dalle sue cose, per interessarsi del figlio e da un padre così ligio nel lavoro, da non rientrare neanche la notte per dormire. Pensò ironicamente tra sé, proprio una gran bella famiglia. Però, una persona speciale che l’ aspettava con ansia, nella sua vita c’ era: Agatina, la sua meravigliosa tata, lei era molto di più che una semplice tata… era la persona a cui voleva maggiormente bene, che si preoccupava per lui, che tutte le sere lo aspettava con ansia, si… era proprio come una mamma. S’ alzò dallo scricchiolante sgabello e s’ incamminò verso casa, ciondolando le mani sui fianchi come se le pesassero anche le braccia. Aveva l’ aria di qualcuno che era in uno stato di profonda frustrazione. Diede distrattamente un calcio ad una lattina vuota che era per terra e s’ incamminò su per il viottolo che conduceva alla villa. Questa, era circondata da siepi di gelsomino dai fiori profumatissimi che emanavano un odore dolciastro e gradevole e poi da bacche, mirtilli e more dal colore scarlatto. E mentre risaliva lentamente, il viale verso casa, mangiucchiava i gustosi frutti di bosco. Si girò per un istante ad osservare la valle, c’ era un sole da cartolina, stava lentamente tramontando e Piero pensò che sarebbe stato sicuramente un bellissimo soggetto da immortalare su di una bianca tela. Era tutto così tranquillo… forse troppo, all'improvviso sentì uno strano grugnito anzi, un verso spaventoso. Si girò ridestandosi dall'apatia che lo aveva travolto in quel caldissimo giorno estivo e spaventato si guardò in giro, fu un attimo, vide corrergli incontro un animale furioso, era un cinghiale con la sua prole, per niente contento di vederlo. Piero ritrovò tutte le sue forze balbettando: ” E tu che ci fai qui…! Aiutoooooooo… aiutooooo!” Mettendosi a correre a gambe levate, come un forsennato. Rincorso selvaggiamente dall'animale che non accennava a desistere dall'inseguimento Piero saltava rami, arbusti e rovi e poi non vide più nulla… cadde come un salame… Meno male, adesso era finalmente a casa, ma che strano, era molto diversa dalla sua splendida villa, aveva un aspetto sinistro, quasi spettrale, sembrava una casa dei film dell’ orrore. C’ era un vecchio portone di rovere scuro, appese ai due lati di guardia due grandi uccelli imbalsamati che lo guardavano minacciosi. Piero credette di avere le allucinazioni, poi improvvisamente il portone si aprì magicamente e gli apparve una donna, a guardarla la riconobbe subito, era Agatina… Agatina? Sembrava la strega della fiaba di Hansel e Gretel, i capelli arruffati, un vecchio vestito lacero, la bocca sdentata e per di più aveva in mano un mestolo con cui stava rigirando qualcosa, in una grande pentolaccia annerita, dalla quale usciva oltre all’ odore nauseabondo, anche delle zampe di rane e code di serpente e per di più un fumo nerissimo e soffocante. Piero la guardò a bocca aperta dicendole: “ Agatina ma come ti sei conciata, sembri la strega di Biancaneve, ma non sarà mica carnevale?” Per tutta risposta, la tata scoppiò in una fragorosa e terrificante risata, che fece arretrare il povero Piero. Poi, con voce roca gli disse: ” Finalmente sei arrivato, ti ho preparato una minestra speciale, quella che preferisci, zuppa di cotiche con occhi di falco, zampe di rane, code di serpenti e poi ho aggiunto un ingrediente segreto, ali di pipistrello, così ti daranno il potere di volare, dove vuoi e quando vuoi. Adesso siediti che è quasi pronto e dovrai mangiarla tutta, guai a te, aggiunse, se ne lasci un po’ ”. Piero non sapeva se ridere o piangere ma l’ aria terrificante di Agatina non ammetteva rifiuti, e si sedette al lunghissimo tavolo di pietra, sul quale al centro, anziché un comunissimo vaso con fiori c’ era un candelabro formato da un teschio da cui spuntavano degli occhi intrisi di sangue. Non era proprio rasserenante cenare dinanzi a tanto orrore, ma l’ aria minacciosa di Agatina, lo costrinse ad ingurgitare quella cena così disgustosa e nauseabonda. Mando giù l’ intruglio provando conati di vomito. Poi ad un tratto, sentì sollevarsi dai piedi e fluttuare nell'aria come un uccello di bosco. Si stava levando in volo e pensò: “ Meraviglia, ora posso andare dove voglio finalmente”. E mentre rifletteva su ciò, si infilò nel lucernario della soffitta e volò nel buio della notte. Si sentiva in Paradiso, anche se per l’ esattezza si trovava in cielo e stava volando; ora avrebbe realizzato il suo sogno, avrebbe potuto fare l’ artista di strada. Trovò una via molto trafficata ed affollata ed atterrò proprio lì. Stranamente aveva già tutto l’ occorrente, segno che il miscuglio di Agatina aveva provveduto a tutto. All'albeggiare preparò i suoi pennelli, sistemò una grande tela immacolata su di un cavalletto e si guardò intorno alla ricerca di qualcosa di bello, ma ovunque il suo sguardo si rigirasse niente era degno di essere immortalato, il cemento ricopriva ogni cosa, case, caseggiati, edifici alti e meno alti, guardava intorno nella ricerca del verde, il colore a lui tanto caro, ma nonostante si sforzasse di guardare, non c’ era che grigio, grigi i grandi muri, grigie le cose e perché no… anche le persone, erano grigie nei pensieri, nel volto, così occupate a non perdere tempo, che nessuno si fermava a guardare quello strano artista che voleva dipingere il mondo. Piero si guardò attorno ed all'improvviso tutto gli apparì scialbo, senza colore, né calore… pensò di non poter restare in un luogo così triste ed allora raccolse le sue cose e volò velocemente verso casa e man mano che si avvicinava, tutto prendeva colore, le colline, le montagne, il mare, il cielo e perché no? La sua vita… Piero… Piero rispondi, sentiva una voce concitata che lo chiamava, aprì gli occhi, si ritrovò attorno Agatina, i genitori e poi gli amici del piccolo paese, c’ era Andrea il tonto, c’ era Paride il colto, c’ era Lucia la dolce ed infine c’ era Ugo il barista. Era stata solo una brutta caduta dovuta alla paura ed al caldo, ma forse era servita a qualcosa, aveva capito che la vera felicità è dentro di noi, non serve partire lontano, ma guardare negli occhi le persone care che abbiamo intorno. Si ridestò da quel brutto incubo e regalò a tutti un grande sorriso. E il cinghiale? Forse se l’ era immaginato? Non aveva nessuna importanza, quello che veramente contava era essere a casa.
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