Le si era seduta accanto nell’ auto con naturalezza, l’ aspetto un po’ trasognato, ecco il termine giusto, e con l’ aria canzonatoria di chi la sa lunga, sembrava un po’ fata, un po’ strega. Vestita con un abito blu decorato con fiocchi e nastri. I capelli biondi ed in mano un ventaglio rosa.
Alice era in ritardo, non aveva tempo di darle retta, era così impegnata a ricordare il copione. Finalmente, il sogno d’ una vita stava per realizzarsi, questo era l’ ennesimo provino, ma era sicura che ora ce l’ avrebbe fatta, a dispetto del parere dei suoi genitori, i quali disapprovavano la sua scelta di diventare attrice di teatro. Ma lei, caparbiamente, non aveva rinunciato ai suoi sogni e si era trasferita in una piccola pensione in città, ciò per avere la possibilità di realizzarli. Quella mattina era molto agitata, Cristian il suo amico del corso di recitazione, l’ aveva chiamata molto presto dicendole che l’ avevano inserita nella lista degli attori protagonisti, per farle fare il provino. Alice assonnata ed infastidita aveva risposto al telefono, ma in seguito, realizzando ciò che l’ amico le stava dicendo, era balzata seduta in mezzo al letto sgranando gli occhi dalla sorpresa e dalla felicità.
L’ opera che doveva recitare era una commedia di Goldoni e precisamente: “ La finta ammalata”, lei amava quel genere di rappresentazioni teatrali. Aveva ripassato la parte tutta la mattina, girando per casa come una fuori di testa, soprattutto la decima scena, il dialogo fra Rosaura e Colombina. Lei avrebbe dovuto interpretare la figlia di Pantalone cioè Rosaura. Per poterla ricordare meglio aveva imparato anche la parte di Colombina, così mentre passeggiava nervosamente per la stanza, ripeteva:
” Colombina - Via signora padrona, state allegra, non abbadate a tutto. Più che si pensa, più il male cresce. Finalmente non avete febbre, non avete verun cattivo accidente.
Rosaura - Oimè, Colombina, dammi la mano, che mi par di cadere.
Colombina - Tenete, sedete qui. Che cosa vi sentite?
Rosaura - Mi gira il capo.
Colombina - Non avete mangiato da ieri in qua. Vi girerà il capo per la debolezza. Eh via, mangiate qualche cosa.
Rosaura - Ma se non posso…”
E così continuò per un bel po’ a ripetere tutta la scena. Più tardi si vestì e com’ era il suo solito, voleva apparire più naturale possibile, un paio di jeans ed un maglioncino sciancrato, che scendeva morbido sui fianchi, al collo un foulard a fiori e non potevano mancare gli stivali altissimi. Aveva salutato con un bacio la cagnetta Domitilla e prendendo la sua sacca con tutti gli effetti personali, era letteralmente volata giù per le scale.
Nell’ atrio del palazzo, si era guardata e riguardata più volte al grande specchio e si trovava decisamente bella ed affascinante.
La sua mini Cooper, un regalo di papà per il compleanno, era parcheggiata sotto casa, salita in auto si appoggiò al sedile tirando un sospiro di sollievo per rilassarsi, aveva l’ adrenalina in corpo e sentiva quasi come se le mancasse il respiro. Pensava che non poteva fallire, questa volta era troppo importante per il suo futuro.
Poi l’ apparizione quasi magica di quella figura, pensò fra sé che non poteva essere vero, sembrava il personaggio di Rosaura. Imboccò la lunga e trafficata tangenziale a velocità sostenuta. La donna accanto le chiese: ” Allora sei sicura di affrontare questa prova? Sai fingere come me? Sono stata brava a darla a bere a tutti per un lungo periodo”.
Alice non le diede retta, doveva avere le allucinazioni per l’ ansia ma ogni tanto guardava sul sedile accanto per essere sicura che fosse ancora lì. Rosaura si sistemò l’ abito sventolando il suo ventaglio.
Alice pensò che fosse una gran maleducata, si comportava come se l’ auto fosse sua ed intanto, lei continuava a guidare come una pazza. Guardò l’ ora era terribilmente in ritardo, doveva prendere una scorciatoia, altrimenti non sarebbe mai arrivata in tempo. S’ infilò in un vicolo stretto e non si accorse che era senza via d’ uscita. Il muro le apparve davanti all’ improvviso, mentre Rosaura continuava il suo monologo senza ricevere alcuna risposta da parte di Alice.
Le stava dicendo: ” Sai ti dò alcuni suggerimenti per interpretare al meglio…” Seguì l’ urto… fu terribile, Alice sbalzò prima in avanti sbattendo violentemente la testa al vetro e poi fuori l’ abitacolo… strano non sentiva dolore. Si vedeva a terra in una pozza di sangue, mentre era attorniata da un gruppo di persone, accorse dopo l’ incidente. Sentiva le loro voci che la chiamavano e lei ripeteva che stava bene ma sembrava che non la sentissero.
Poi riapparve Rosaura che le disse: ” Volevo avvertirti che non sempre i sogni si realizzano, dobbiamo mettere in conto il nostro destino…!”
E quella voce da dove proveniva? Ma certo chi poteva essere? Era la mamma e lei si trovava nel suo letto, nella piccola villa dove abitavano. Che spaventoso sogno pensò Alice, intanto… ” Alice, Alice sveglia farai tardi…” Aprì gli occhi a fatica chiudendoli nuovamente per la luce accecante che penetrava nella stanza. La mamma le tirò giù le coperte, spalancando ancora di più le tende. Alice borbottò: ” Si mamma, ho capito adesso mi alzo, stavo sognando ed era tutto così reale, un incubo terribile… La mamma cercò di mantenere la calma rispondendo: ” Dai… dai me lo racconterai dopo, adesso non hai tempo.”
Alice notò che la sveglia si era fermata alle dieci e trenta e non se n’ era nemmeno accorta. Si vestì in fretta, salutò la mamma e la sua cagnetta e scese per le scale. Si sentiva come se si stessero ripetendo le stesse scene del sogno. S’ infilò in auto e ripartì velocemente. Era concentrata a ricordare la parte, ma provava un’ indefinibile angoscia, come se le dovesse succedere qualcosa di brutto, forse era dovuto solo, al terribile incubo che aveva fatto…
Presto si trovò imbottigliata nel caos cittadino fra pedoni ed auto, così pensò di imboccare un’ altra strada molto più tranquilla. Senza riflettere s’ infilò in una stradina stretta ed in un istante, si schiantò contro il muro. Un rivolo di sangue scendeva dalle sue labbra, gli occhi sbarrati senza più sogni, non aveva fatto i conti con il destino appunto un ladro di sogni, intanto, il suo orologio s’ era fermato per sempre alle dieci e trenta.