Da adolescente sognavo di scrivere lettere a qualcuno, un essere speciale, un’ anima eletta, sensibile, capace di addentrarsi nel mio sentire, di percepirne le sfumature, di leggere oltre le righe. Nelle mie lunghe passeggiate solitarie nel viale cosparso di foglie e attraversato solo dal flebile lamento del vento, camminavo a passi lenti, immaginavo dialoghi. Le immagini diventavano vive, si materializzavano davanti ai miei occhi ed io mi trovavo, all’ improvviso, immersa in mondi diversi, a vivere esperienze incredibili, appartenenti ad epoche diverse dalla mia.
La gente comune era noiosa, parlava solo per fare pettegolezzi, per giudicare i comportamenti altrui, s’ impicciava delle storie extraconiugali di Tizio o di Caio, invidiava il prossimo per la sua fortuna o il suo successo, pensava a fare enormi abbuffate, o a trascorrere il tempo al bar oziando.
Volevo vivere la vita di uno scrittore o di un poeta, ad esempio di Leopardi, volevo pensare come Leopardi, interrogarmi come Leopardi, provare i suoi stati d’ animo, possedere la sua mente, entrare nelle sue opere, raccontare le vicende della mia vita come Leopardi. Scrivere un epistolario pensando ai posteri o magari indirizzandolo a un destinatario particolare, una persona d’ animo nobile e sensibile, degna di ascoltare la mia anima, di sentire le mie parole.
Conducevo la vita normale di tutti gli adolescenti ma sognavo una vita diversa senza i problemi degli adolescenti, i dubbi degli adulti, le paure dei bambini, i rimpianti dei vecchi, una vita, forse, senza età.
Immaginavo una vita parallela, misteriosa, segreta, intima, che doveva rimanere mia, che doveva apparire velata e lasciare gli altri in una specie di limbo, sospesi tra il sapere e il non sapere, il dire e il non dire. La mia vita, un libro aperto per pochi eletti, un codice per molti, un’ opera da interpretare per la maggior parte.
Non può tutto essere semplice e intellegibile, non c’è divertimento nella normalità, non c’è gioco, non c’è sfida. Non c’è follia. E la follia è il pepe della creatività.
Mi ponevo grandi interrogativi su temi esistenziali, sui valori della vita, sul bene e il male, sulla giustizia, sulla libertà e avrei voluto confluire col mio piccolo mondo nell’ universo, nell’ infinito.
Ma la gente comune e i miei stessi coetanei conoscevano solo bisogni come la sete, la fame, e non si domandavano dove l’ anima avesse il suo regno.
Ho trascorso tutta la mia vita a cercare di sopravvivere all’ inquietudine dell’ anima, a domandarmi di cosa avessi realmente bisogno per essere serena, allegra, gioiosa, in modo che la vita mi apparisse come dono o quotidiano miracolo, o sogno, invece che espiazione di chissà quale colpa.
Ho atteso gran parte della mia vita il giusto interlocutore, il destinatario delle mie missive, la mia parte d’ infinito.
Ho atteso senza sapere, che in qualche posto, chissà dove, dietro le quinte, c’ era qualcuno a suggerirmi le frasi giuste quando la mia mente andava in fallo, e c’ era qualcuno che illuminava il mio cammino per non farmi inciampare.
Ho atteso ogni volta illudendomi, non avendo chiaro in testa la mia meta.
Gli epistolari sono fuori moda, cose d’ altri tempi. Forse ci sono altre strade per lasciare traccia di sé, altri modi per trasmettere esperienze, emozioni, storie, verità. Finivo col pensare proprio questo.
Poi ho smesso di desiderare una vita diversa, una vita da scrittore o da poeta, una vita di epistolari, di destinatari speciali, di amori segreti, di follie, una vita senza tempo.
Poi ho smesso di vivere la mia vita. Sono rimasta in attesa.
Nessuno scrive più lettere, in nessuna occasione. Tutti vanno di fretta, scrivono in codice, sms stupidi e insignificanti, parole tronche, mutilate, castrate, inventate.
La prima volta. Ricordi? Una mail corta, magra, essenziale, un semplice messaggio. Una mail, mi dicevo, è una specie di lettera. Non ti dicevo granchè con le mie parole, troppo attenta a ciò che ti scrivevo. Ma già la prima volta, in poche righe, c’ era tutta la mia vita in chiaro, condensata, racchiusa, completa, un libro aperto, ed era per te, che eri stato in disparte, per anni, in silenzio, nell’ ombra, per te che avevi la mente sovraffolata di pensieri, per te che aspettavi da sempre qualcuno che sognava di scrivere lettere, per te che avevi desiderato, per tutta la vita, di leggere quel libro.