Se le avessi detto quello che mi rimbalza in testa, piegature mentali, quello che detesto ed odio, l'avrei spaventata. Sarebbe scappata a gambe levate tipo Carl Lewis.
Speravo solo che non si mettesse a parlare di politica, di religione e dei movimenti sociali o peggio dell’ ASL Livorno Calcio.
Avrei vomitato il cenone di Natale dell ‘ 92. Mi sarei trasformato in Sayan di centesimo livello e la mia onda energetica avrebbe fatto tabula rasa. Spazzando via tutto, compreso il parrucchino orrendo del signore davanti a me.
In un paio di occasioni la vidi prendere le distanze. Quasi intimorita dalle mie risposte.
Non approvava o non era del tutto in sintonia.
Forse non voleva sentire male o se ne fregava e basta.
Ma che dovevo fare? Fingere quello che non ero? Col caschio.
Piuttosto non mi presentavo ed avrei trovato una scusa per rimandare.
Già mi ero coperto i tatuaggi e tolto l’ anello con il teschio, troppi brutti ricordi.
Comunque non era sbagliata, si pensasse tutti allo stesso modo sai che palle? ?
Quando si guardava attorno, io le fissavo la scollatura.
Aveva un fascino curioso, ma come persona era prevedibile.
Sembrava impostata. Forse un po' di soggezione? Vergogna? Non credo, sto facendo di tutto per metterla a suo agio. Sto evitando pure di fare i rutti, che dovevo fare di più?
E' solo che aveva trovato sulla sua strada cloni, pupazzi e divi, con i quali te la puoi cavare a buon mercato facendo il minimo indispensabile senza bisogno di collegare i neuroni. Ma qui si giocava su di un altro piano. La serata aveva preso il via.
Rideva, flirtavamo, complice pure la birra. Mi toccava le mani, avevamo stabilito un legame.
Stava nascendo qualcosa. Sensazioni piacevoli, era tanto che non le provavo.
Poi per uno strano motivo, il dj, maledetto lui, decise di cantare "Breathe". Porca eva.
Tornai di botto sulla terra, ma a razzo partii per la mia galassia preferita.
Mi toccò il bracciò, forse si era resa conto, della mia distanza.
Mi chiese qualcosa. Risposi in automatico.
Fissai la candela isolandomi ancora di più.
Ci fu silenzio fra di noi, un silenzio scomodo.
Alzai il braccio per richiamare l’ attenzione del cameriere facendo segno di portarci il conto.
Pagai.
Si era alzato libeccio. Godevo come un riccio.
La presi per mano e mi diressi alla scogliera. Volevo vedere il mio regno.
Per paura che lo stivale la facesse inciampare le misi il braccio in vita. Si avvinghiò.
Era veramente bassa.
Un brivido mi percorse la schiena.
Erano mesi che non abbracciavo una donna. Croce e delizia di un solitario.
Il cuore si mise a ballare un ritmo che avevo scordato. Rapito da questo momento, la strinsi, le sfiorai il viso e la baciai.
Rispose al bacio ed gli ormeggi saltarono.
Le toccai i seni.
Per evitare di volare di sotto, sempre uniti, ci sedemmo per terra.
Il sangue fluiva e la menti erano calde.
Le toccai l'ombelico, girandoci attorno.
Scesi ancora, senza fretta.
Gemeva. Le sbottonai i jeans.
Per un secondo trattenne il respiro.
L'abbraccio divenne più intenso. Mi toccò gli addominali, giocando con le dita. Slacciò la cintura.
Sentendola vibrare ancora di più, le scansai le mutandine e con un tocco lieve, deciso ed attento cominciai a massaggiarle la clitoride.
I gemiti si facevano più intensi e ravvicinati. Ci stavamo eccitando.
Le mani, le dita, le voglie, la razionalità avevano lasciato il posto alla libidine.
Non era il luogo, nè il momento adatto, pensai fra un battito ed un sospiro, ma fermarsi avrebbe voluto dire far terminare questo concerto di emozioni.
I fari di una macchina ci illuminarono riportandoci alla calma, anche se non eravamo molto presenti. Tornammo alle macchine.
Un bacio e poi un altro, carezze ed abbracci.
Adesso che fare? Lasciarla e rimandare oppure proseguire questa strada per vedere dove portava?
Ero combattuto. Mi dispiaceva sciupare quel qualcosa che stava nascendo, finendo fra le coperte, ma non volevo darle nemmeno il due di picche.
Non avevo secondi fini, nè fretta anche se la voglia era intensa, non feci pressioni o stupide allusioni.
Ero talmente reattivo, che una doccia non sarebbe bastata.
Attesi un segno, ma speravo, di non passare l'ennesima notte da solo.
" Dai, fammi vedere il tuo universo? " mi sussurrò all'orecchio.
Sorrisi annuendo, ma ero fritto.
Entrai nella mia Opel, tremando, detti vita al motore.
Mi passai le dita sulle labbra. " Aveva un buon sapore "
I pensieri correvano più veloci delle luci delle automobili.
Imboccai il Viale Italia.
Tirai giù il finestrino. Il sale saturava l’ aria, il mare voleva raccontarmi una storia, ma ora non potevo. Detti gas lasciando ad altri le sue avventure.
La mia la affiderò al vento.