Figlio di Daniele e nipote di Emidio, unico erede di una famiglia contadina, cresciuto e fatto studiare, si costruì una carriera da capo mastro; libertino e incline al fascino femminile, aiutato da un fisico sempre in forma, un viso angelico e una parlantina avvincente.
Conobbe Elvira una ragazza di buona famiglia, la quale ammaliò con i sui modi garbati e generosi, sposandola prima possibile. Un matrimonio dall’apparenza felice allietato dalla nascita di una bambina. La piccolina bella e paffutella nacque all’alba del secolo ventesimo con il nome di Clara.
La famigliola viveva nell’agiatezza, grazie al lavoro di Gelasio, chiamato per incarichi di ristrutturazione o costruzione in quasi tutta la vallata.
Con lo scoppio della prima guerra mondiale, non fu richiamato, forse per le conoscenze; oppure per l’età, l’obbligo iniziava dalla classe 1885. E lui era anche l’unico figlio di un anziano padre.
Non andando al fronte, si diletta nei suoi svaghi preferiti: dietro alle sottane di donne lasciate sole.
Elvira gelosa, ma nello stesso tempo impotente difronte a tanta sfrontatezza. In quegli anni si accorge che qualcosa non andava; una brutta malattia l’aveva colpita nella parte più delicata per una donna: il suo apparato riproduttivo. Quella tragedia l’aveva resa inerme al fatto dei tradimenti, non potendo più essere donna e moglie: chiudeva gli occhi e le orecchie per non vedere e sentire le mancanze di un marito troppo egoista.
Brutta storia! Soffriva due volte, ma aveva Clara: ragazza bella e intelligente era la cosa più pregiata che la vita le avesse concesso e con il suo pensiero affrontava tutto, anche la malattia che continuava imperterrita nella sua dolorosa ascesa.
Finito il conflitto mondiale e la vittoria risicata su un’Italia martoriata della sua gioventù migliore; molti ragazzi non ritornarono a casa, tanti gli invalidi e il popolo iniziò a leccarsi le ferite sperando in un futuro migliore. Il cambiamento, gli anni ruggenti, ma senza prima non fare i conti con la tremenda influenza che si abbatte sulla popolazione. Tantissimi furono i morti, molto di più giovani donne e non mancò all’appello: Clara, diplomata da poco maestra.
La “Spagnola” l'influenza o morbo blu, dovuto alla cianosi che generava. (Il nome ha avuto origine da una pubblicazione, il primo in assoluto fu un quotidiano spagnolo e per questo chiamata “spagnola”.)
Clara morì lasciando nello sconforto più profondo i genitori. Elvira aveva perso l’unica ragione di vita, ormai non le rimaneva che morire per ricongiungersi con sua figlia. Non si sentiva più donna e non aveva più un marito, ora con quella figlia mancata, il loro legame si era sciolto; non le interessava neppure più tanto quell’uomo: un eterno ragazzo.
La vita andò avanti ancora per qualche tempo insieme. Gelasio non riusciva a lasciare quella casa, la coscienza gli rimordeva e il dolore vivo per la sua amata Clara. La sua piccola donna scomparsa all’improvviso dopo solo pochi giorni di febbre e quelle labbra blu che le coloravano il viso bianco pallido della morte. La morte che non fa sconti e non guarda in faccia a nessuno arriva prende e se ne va senza chiedere il permesso o in cambio qualcosa per la sua clemenza; non ha distingui, solo anime da traghettare in quella sponda dove il sole è sempre alto, e, il buio, un ricordo lontano, oppure dentro il nulla dove l’oblio fluttua senza fiato.
La vita continua e lo andare avanti è d’obbligo. A Gelasio maturò nella testa l’idea di tornare alla casa paterna. Quella casa che, quando bambino era stato un rifugio sereno. Il padre a differenza del fratello Emidio era buono e gentile e la madre: una donna aperta per l’epoca vissuta. Veronica Rossi ha avuto il figlio da nubile, il bambino nacque in una casa non lontano e sposò Daniele solo un anno dopo. 15 gennaio 1883. Insieme allevarono e viziarono un po’ quel figlio. I ricordi passano e restano, riaffiorano e tormentano la nostalgia di Gelasio. L’impellente desiderio di ritrovare quei tempi dopo la brutta vicissitudine era forte: prese la decisione di tornare in famiglia.
Lasciò la casa alla moglie e una rendita, la compagnia di una donna che si prendesse cura di lei. Egli sarebbe tornato dai suoi genitori: luogo vicino e, lontano e con le strade scomode, ma con il calesse e il cavallo si poteva muovere discretamente. Libero di transitare sia nei luoghi di lavoro oppure per far visita a Elvira; controllando così che non le mancasse nulla, zittendo la coscienza.
Alla casa natia le sorprese non mancarono; non si aspettava il cambiamento di sua cugina Ersilia, lasciata bambina e ritrovata donna, con un bambino piccolo e per di più vedova. Vedova della grande guerra, il marito ancora poco più di un ragazzo lasciò la moglie per andare incontro a quella tragedia voluta da chi non si conosceva e senza comprendere bene il motivo per un tale sacrificio. Richiamato, messo una divisa e dato un fucile per uccidere un nemico fino allora sconosciuto, si sa che le guerre trovano subito anche in sperduti casolari di montagna. La scuola no! Quella non ti viene a cercare a casa e cresci sapendo tutto sugli animali, di come nascono conigli, galline e i vitellini. Conosci e apprendi la ciclicità della terra per arare e raccogliere quella stenta che ti fa andare avanti, ma non sai perché scoppia una guerra, chi la vuole, e chi si arricchisce con lei, e si preserva una vita agiata al sicuro dai clamori e orrori.
Un nemico da combattere giovane, e sperduto, mandato allo sbaraglio per il solito egoismo di chi detiene il potere di chi si crede immortale, ma verrà anche per lui quella falce che miete e tutto pone nei cassetti della memoria. La giustizia che il tempo porta sempre, il ricordo di gente che furono, approda ai posteri e il romanzo della loro vita piano piano prende forma.
Ersilia: nome portato dalla moglie di Romolo, significa fresca come la rugiada e libera; libera era la sua mente, non imbrigliata dall’ottusità, ma purtroppo soggetta alla sottomissione. Doveva sottostare al volere di quegli uomini che detenevano il potere con la violenza e fomentata dall’ignoranza.
I cugini, si videro e rimasero in silenzio: attoniti e increduli, dimenticati e quel risveglio impensato aveva portato i loro cuori a battere all’unisono; insieme la mente andava a quei lontani ricordi di quando si erano visti l’ultima volta.
Fu Ersilia la prima a infrangere il silenzio con un semplice: “Ciao”. La bocca voleva rispondere, ma gli occhi erano ammaliati da quella figura alta slanciata con i capelli lunghi; sciolti fino alla vita e la fierezza nello sguardo e una bocca fatta apposta per baciare. La sua bellezza lo aveva colpito diritto al cuore e ora aveva sentito quella voce che gli sussurrava una piccola parola dolce come miele e sensuale come poche donne avevano. E di quest’ultime ne aveva conosciute molte, un emisfero a lui noto, ma questa volta era diverso ed era rimasto senza voce.
L’incanto si dissolse al richiamo del padre che lo fece tornare alla realtà, scrollandosi un po’ la testa per riemergere dal torpore provato s’incamminò dalla parte opposta senza dire nulla; nemmeno per rispondere a quel semplice saluto. Anche lei tornò su i suoi passi dentro casa sua. La casa era la solita divisa anni prima, diventati numerosi e la vita in comune complicata.
Gelasio domandò al padre se quella ragazza era Ersilia:
Nella mente di Gelasio affollavano mille idee, il pensiero di rivederla gli faceva venire i brividi, la bocca dello stomaco si stringeva come non gli era mai capitato, e sensazioni strane mai sconosciute lo disorientavano.
Anche alla ragazza quell’incontro aveva suscitato qualcosa di diverso, il ricordo del marito ormai si stava affievolendo, solo il piccolo frutto del loro amore glielo ricordava ogni giorno. Mosè un bambino che cresceva silenzioso e ubbidiente, timido e introverso, un carattere chiuso, s’intravedeva già dall’inizio. Sentiva la mancanza di un padre, non lo aveva mai conosciuto; concepito in una veloce licenza. Gli uomini come esempio, ne aveva, ma non erano modelli da seguire; solo Daniele, lo zio e fratello del nonno, l’unico che si perdesse a giocare con lui e raccontargli qualche storia inventata e tramandata da chissà chi, in anni lontani.
Si rividero il giorno dopo e le giornate seguenti, stava nascendo l’amore, forte come solo l’ardore sa essere. I tormenti per la loro vita passata erano tanti, ma deboli quando s’incontravano. La passione ardente sfociò in amore consumato sui prati intorno, nascosti dietro a qualche altura che li ripara dagli sguardi indiscreti. Volevano tenere nascosto quel sentimento, non riuscivano ad affrontare le famiglie, ignare e sicuramente non avrebbero capito; i tempi severi con le donne e lui: un uomo sposato.
Facevano progetti, andar via da quei luoghi e imbarcarsi in avventure fuori da quella regione, dove ancora era viva la potenza della Chiesa, di quando lo Stato era Pontificio e a comandare il Papa. Ora con lo Stato laico e la Chiesa relegata in Vaticano, la situazione non era cambiata e la relazione fuori dal matrimonio: un reato.
Si sa, che mettendo insieme il fuoco e la paglia, gli incendi scoppiano e così scoppiò quando Ersilia, si accorse di essere in stato interessante. Gelasio, quasi felice, gli anni erano passati velocemente, ormai sulla soglia dei quarant’anni e un bambino non gli sarebbe dispiaciuto, il ricordo di Clara era ancora forte. Ersilia invece molto preoccupata, temeva il babbo, rissoso e violento avrebbe fatto pesare la situazione con la mamma Maria; facendole presente che una figlia svergognata non la voleva più in casa e che la colpa fosse tutta sua.
Brutta situazione che, Gelasio doveva rimediare prima possibile, decise di mettere su casa insieme e di andare ad abitare in paese. Le chiacchiere volano molto più veloci della luce e la notizia si sparse per tutto il circondario. La vita non facile, Gelasio si occupava anche della moglie malata terminale e forse l’unica che lo capisse. Dolce e tenera con quell’uomo ancora un po’ bambino che cercava di trovare la sua dimensione nella vita affettiva e ogni volta, qualcosa gli sfuggiva di mano. Questa volta sentiva che Ersilia era quella giusta, ma la gente non la pensava uguale e le malelingue erano al lavoro.
Tutti quei pensieri foschi furono spazzati via in un attimo, come avviene al cielo nuvoloso quando soffia un’impetuosa tramontana. A Ersilia si ruppero le acque, decisione impellente da prendere: il bambino stava nascendo, come fare? La levatrice non voleva assistere quella donna concubina, l’ospedale non era previsto per lo stesso motivo. Le suore consigliarono l’istituto del “Gettatelli “situato a Sansepolcro. Uno spedale gestito dalla confraternita di San Bartolomeo, il monastero in seguito abbattuto e sulle sue fondamenta sarà edificato il convitto Regina Elena.
Anche lo Spedale dei Gettatelli in origine ubicato fuori le mura del paese, poi demolito e portato in centro. Qui, il personale avrebbe aiutato a far nascere il bambino e assistito la madre.
Fenomeno che travalica i secoli, bambini abbandonati, Gettatelli, Proietti, Innocenti, Esposti; ma anche, in termini dialettali imbruttiti dalla crudeltà di un involgarimento quasi al limite della barbarità, si trovano gli Iaccatelli, Gittatelli, Bastardelli, Bisci e purtroppo tanti altri modi. I termini sono tanti ma il fenomeno cui si riferiscono è uno soltanto, quello dell’esposizione e dell’abbandono dei bambini neonati.
Dietro l’abbandono ci sono uomini, bambini, figlie, famiglie, ma soprattutto donne: giovani, adulte, ricche, povere, colte, ignoranti, serve, padrone, mogli, amanti ma soprattutto e soltanto donne.
E i neonati? Purtroppo in percentuale bassissima sopravvivevano alla prima settimana di vita; pochi superavano il primo anno, ma tutti erano battezzati, vestiti e fatti entrare in Brefotrofio.
Tornando all’imminente parto e alla decisione presa in fretta, tempo da perdere non c’era, entrambi si avviarono con il calesse all’istituto.
Le doglie ancora non erano arrivate, ma il parto sicuramente si sarebbe scatenato lì a poco.
Nell’istituto, l’assistenza fu adeguata, forte del fatto che Gelasio poteva pagare per il servizio, altrimenti non sarebbero stati troppo accondiscendenti. La piccola nacque la mattina dell’11 dicembre, un martedì, madre e figlia godevano ottima salute. Decisero di lasciare in quell’istituto la piccola Nada, un nome strano, come insolita la situazione creatosi. Amori concubini, forti, che volevano cambiare il mondo trasformarlo in qualcosa di nuovo, aperto verso un nuovo orizzonte. L’amore libero di attraversare qualunque soglia, lasciando intatto il sentimento senza sporcare nulla; e non trovando il male anche quando non esisteva. Amarsi senza doversi nascondere o giustificarsi con estranei che non la pensavano uguale. Oppure fabbricatori di triangoli dove il celarsi era naturale e bastava non far trapelare nulla e tutto andava bene; in più anche il perdono domenicale nella confessione di un parroco, a volte anche partecipe di un amore rubato.
Tornati a casa senza quel fagottino, i due innamorati erano tristi non sapevano decidersi: ” prendere o lasciare” ma come si fa lasciare un così piccolo “pezzettino” che non ha fatto nulla di male? Solo nascere troppo presto e non chiedere niente, se non quello di essere amato?
Il rimuginare di quei pensieri portava ha una profonda lacerazione interna di entrambi. Mosè viveva quei momenti dimenticato in un angolo dentro se stesso, non gli mancava nulla, da quando era apparso quell’uomo, la vita era migliorata. Una casa, una cameretta tutta per lui e frequentava la scuola; senza doversi preoccupare di lavorare ai pascoli con gli animali che anche lui aveva imparato a riconoscere dalle loro abitudini, ma come sempre quando si ha quasi tutto, poi ti manca qualcosa.
Gli mancava quella madre che era stata solo sua. In quei luoghi irti di miseria e lavoro, la mamma era tutta per lui. Ora quella nuova vita e quell’uomo gentile che gli sorrideva e qualche volta lo faceva ridere: non gli piaceva. La nostalgia per quei ricordi lo assaliva e lo faceva piangere la notte fino a che non si addormentava, sognando un mondo diverso.
I genitori, andavano tutti i giorni a vedere la bimba e attaccata al seno, si alimentava voracemente, come avvertisse quei dubbi. Voleva assaporare l’essenza della sua mamma, molto vitale fin dalle prime ore di vita e l’odore di Ersilia emanava tranquillità.
Ogni bambino sente il contatto della madre e ne trae forza e sicurezza, la mancanza di quest’ultima fin dai primi giorni: degenera una sofferenza innaturale e condurre alla morte.
Tornando verso casa con il cuore straziato per quell’abbandono, decisero insieme di cambiare vita, posero le prime basi per andare ad abitare in qualche luogo dove nessuno conoscesse la loro storia e all’apparire sembrassero una famiglia normale. Gelasio si mise in cerca di una città e di conseguenza di un lavoro e un’abitazione.
Dopo diverse scelte, optò per Belluno, città in espansione, bisognosa di personale qualificato. Trovato il lavoro giusto, partirono tutti e quattro, lasciandosi alle spalle i ricordi e il pianto di un padre.
Daniele rimasto vedovo e avanti con gli anni, vicino a un fratello scomparso, nessuno cercava quell’uomo, nessun figlio si era posto il problema di dove era, e con chi era; oppure se era vivo o morto. Morto no! Perché anni dopo venne la notizia della sua morte. Emilio morì in manicomio a Rieti e sepolto a spese del comune nel Cimitero Municipale.
Chissà perché era finito in manicomio? Di certo che, in quegli anni si faceva prima a entrare in manicomio che a uscirne. Chiunque, avesse qualche problema fisico di natura imprecisata; semplicemente attacchi epilettici, la destinazione era sicura. L’alcolismo un'altra causa d’internamento; Emidio con il suo carattere non era impossibile che ci fosse entrato per il semplice fatto di avere bevuto un po’ troppo.
L’avventura di Belluno si chiuse e nuovi orizzonti si aprirono portando la famigliola verso la Corsica; fatto i bagagli e arrivati a Piombino, imbarcati per l’isola e trascorso qualche tempo ad Aiaccio; soggiorno di qualche mese e poi il trasferimento a Nizza.
La casa era un’elegante palazzina nei pressi della passeggiata degli inglesi. Strada principale che ogni sera Ersilia e i bimbi percorrevano nell’attesa del ritorno del marito; per poi prendere qualche stuzzichino, a volta anche cenare in quei ristoranti dove l’eleganza e la raffinatezza creavano la differenza.
le aveva detto Gelasio; quando le aveva affidato la chiave della nuova abitazione. I palazzetti qui di fronte sono affittati o appartengono a persone di spicco; ora sei una vera signora e nessuno ti guarderà come la donna del peccato.
Ersilia felice, le sembrava un sogno; i suoi bambini erano vestiti bene, non soffrivano la fame. Il colorito gentile li confondeva con gli altri, quelli nati nel lusso, anche loro appartenevano a quella vita.
Vestiva elegante con scarpe dal tacco, il portamento fiero e la bellezza raffinata. I capelli dai riflessi ramato chiaro al biondo, gli occhi verdi sfumati di grigio, sembravano quelli di una gatta in attesa di ammaliare la sua preda, che, non era altro che il marito, entrambi simili nell’incarnato e nelle fattezze, dovute alla loro parentela di essere cugini di primo grado.
Trascorsero anni felici e spensierati, dimentichi di quello che si erano lasciati alle spalle, ormai il paese era lontano e la sofferenza, un ricordo. Le comunicazioni con la famiglia di Gelasio: qualche telegramma al padre. Il pensiero per quest'ultimo lo faceva sentire in colpa; un pensiero correva anche a Elvira, chissà come se la passava, se soffriva e se era ancora viva, nessuno lo aveva informato di qualche novità ma, ciò non toglie la possibile dipartita della donna.
A Nizza Gelasio aveva iniziato un progetto: un quartiere residenziale con dodici villette, una di queste sarebbe stata la sua; situata in collina, si poteva osservare il mare e la bellezza del luogo. La costa Azzurra incantevole in ogni stagione, un fiorire continuo anche d’inverno con le sue mimose a gennaio, gli aranci e limoni che davano un tono di colore vivace alle giornate a volte grigie.
Anche qui l’occhieggiare di Gelasio verso il gentil sesso era abitudine. Il lupo perde il pelo e non il vizio, più forte di lui e quando lontano da Ersilia diventava vulnerabile al fascino femminile e il luogo faceva il resto. Conobbe una ragazza non giovanissima, ma sempre una bella donna e la corte sfrenata di lui abbassò lo scudo difensivo, di lei. Divennero amanti e le scappatelle frequenti non destarono sospetti a Ersilia, forse anche lei presa da quella vita diversa non si accorse o non voleva sciupare quell’incanto. La ragazza dal nome di Marie scoprì di essere incinta e Gelasio di conseguenza fu molto preoccupato; non sapeva che fare l’aveva combinata grossa; le precauzioni inesistenti e le conseguenze non sempre piacevoli.
La nascita sarebbe avvenuta a breve, quando gli pervenne un telegramma; sicuramente brutte notizie, era solo lui che inviava le missive, riceverlo fu subito un pensiero negativo. Preoccupato, iniziò a leggere. Poche parole e chiare:< torna subito, tuo padre sta male e vorrebbe rivederti >.
Si organizzò per la partenza, ormai il lavoro era quasi terminato e liquidò tutto anche la villetta da lui costruita come compenso finale, una liquidazione. Lascio a Marie soldi che le bastassero per una vita decorosa e con la promessa che avrebbe provveduto al bambino.
Tornarono a casa in tempo per rivedere il padre, Ersilia apprese che anche il suo babbo era morto. La mamma mancata subito dopo la sua partenza.
Correva l’anno 1927 i ragazzi erano cresciuti, Mosè, dieci anni compiuti e Nada, quattro, le persone non sembravano ricordare la loro storia. Elvira era morta da due anni: un cambiamento notevole e Gelasio decise di stabilirsi in paese. Con il guadagno francese si comprò una casa e avviò un’impresa edile.
Tutto all’apparire poteva sembrare tranquillo, intanto in Francia era nata una bimba: Mara, ancora una bambina. Gelasio si preoccupava per quella piccola parte di lui lasciata e non si dimenticò mai fino a che fu in vita e provvide sempre al suo mantenimento.
Ersilia non sospettava nulla, impegnata con l’organizzazione della nuova casa: l’arredamento e tutto l’occorrente per una vita decorosa ma, ogni tanto le ritornavano alla mente le paure del passato. Il peccato è sempre femmina, Gelasio e Mosè rispettati. Ersilia spesso aggredita verbalmente da volgarità e senza prendere in considerazione quelle parole, poiché il pensiero andava all’imminente partenza.
Ora che era ritornata? Il comportamento dei paesani come sarebbe stato? Ersilia immagazzinava ansia. Gelasio la rincuorava dicendole che al momento nessun mormorio, silenzio intorno alla loro vicenda.
Non fu così! Dopo pochi giorni, e forti del fatto che l’unione fa la forza e, poi, quando si ritrovano diverse persone, tutto diventa facile e fare i gradassi: semplice. Ersilia camminava per strada con la piccola, Mosè tornato a scuola per finire gli studi elementari. Iniziano di nuovo le parolacce e la peggiore quella che non capiva e anche Nada non comprendeva e non comprenderà mai fu “Cionciana”; una stupida parola dal significato inesistente, incomprensibile come può essere la maldicenza. Additate tutte e due, sia la grande e la piccola. Nada una creatura dal carattere introverso, fragile, intelligente e con una forte timidezza; quelle grida di gente vestita di nero la terrorizzavano e la condizioneranno per tutta la vita.
Gli affari a Gelasio andavano bene, la ditta ben avviata e le commesse arrivavano da tutte le parti. Il lavoro non mancava, la famiglia se la cavava bene e Mosè finite le scuole elementari andò a imparare il mestiere dal patrigno. Ersilia aveva scoperto una nuova gravidanza, questa volta Gelasio fu contento, sperava in quel maschietto tanto desiderato e Nada la bambina nata e abbandonata, ripresa e amata, ma non registrata come figlia, ma solo con un cognome dato di prassi dall’istituto. VORANI. Una bella mancanza di entrambi i genitori, che marchiò per sempre Nada.
Nada non aveva nessuna colpa, ma la società dell’ipocrisia impone certe regole e se ne esci; sei una figlia o un figlio “bastardo”. Brutta parola che etichetta un essere umano che di bastardo non ha nulla, sola la bigotta mentalità di gente che all’apparire vorrebbe sembrare per bene. Scavando dentro di esse; si trovano abissi che il mare non colmerebbe mai.
Nel luglio del 1928 il giorno nove nacque una bambina, di nuovo una bambina: bella, piccola e con capelli neri, il nome, fu scelto quello del Santo del giorno: Santa Veronica, una santa locale che non dispiacque a Ersilia; poi, accorciato: in Vera. (Oppure in ricordo della nonna Veronica, madre di Gelasio.)
La bambina fu subito registrata, la differenza verso Nada era di essere figlia di NN da entrambi i genitori, una differenza vertiginosa. L’occasione per mettere in regola la figlia maggiore non mancò, ma dentro la mente delle persone, anche se queste sono nella più sincera buona fede; non si riesce a capirne il motivo.
Intanto crescevano in quella casa le sorelle e il fratello adolescente. Il lavoro di Gelasio s’ingrandiva sempre di più; gli affari: stipulati in strette di mano. La parola “data” valeva molto più di mille contratti.
Tutti prestavano fede a quelle strette di mano anche i frati della Chiesa del paese vicino, lo chiamano per costruire il campanile mancante. La villa dei marchesi Magherini e Graziani situata nella località Celalba, per la costruzione del torrino, ancora oggi la sua maestosità primeggia guardando tutta la vallata.
Arrivati agli anni ’30, l’ascesa del fascismo, la popolazione lo aveva accettato, i dissidenti non erano molti, anche Gelasio era simpatizzante per quel bell’imbusto del duce. La sua propaganda arrivava in ogni luogo, la cosa certa di entrambi; le scappatelle e gli amori che non gli mancavano. L’ultima fiamma di Gelasio una donna spagnola, bella signora amante del flamenco e dal sangue caldo, come piacevano a lui. Questa volta Ersilia non chiude gli occhi, si accorge che qualcosa le sfugge di mano, anche se per Gelasio Ersilia era la donna amata, ma a lei non bastava voleva essere l’unica e le altre dovevano allontanarsi da quello che era l’amore della sua vita.
Fu la determinazione di Ersilia a far scappare la donna, il suo appostamento fruttò la certezza del tradimento dell’uomo; senza avere dubbi e com’era in uso in quegli anni, si tende sempre a incolpare solo la metà femminile. Aspettando il momento giusto, mentre si prestava a tornare a casa, l’abitazione della donna, situata sotto una volta antica, il buio della notte confondeva l’ombra, potendo così passare inosservata. Ersilia aggredì la sua rivale, riempiendola di botte e facendosi promettere che non avrebbe visto più suo marito, altrimenti il resto non le sarebbe mancato.
Intanto Gelasio, rientrato a casa, non trovando la moglie si preoccupa, Mosè, preparato dalla madre, lo informa:< che era andata ad aiutare la levatrice per un parto difficile.>
Rilassato andò a letto, aspettando il ritorno di Ersilia che non tardò a venire.
Salutandosi cordialmente iniziò lei il discorso per sapere come gli era andata la giornata lavorativa e come mai tanto tardi fosse rientrato.
Riferì in poche parole il giorno trascorso e pieno d’impegni, la cena sorbita con i preti per definire il progetto del campanile e dopo di quello della casa in stile massonico che era sempre nelle vicinanze della chiesa.
, continua a lamentarsi Gelasio. Ersilia faceva finta di credere e nello stesso tempo riferiva un messaggio: l'aggressione di una giovane donna spagnola; malmenata da sconosciuti, con diverse contusioni e che, presto sarebbe andata via per la paura che il fatto si ripeta.
Gelo nella stanza e consapevoli sotto intendendo dei fatti svolti, fecero entrambi finta di nulla. Gelasio aveva capito che la corda si stringeva e doveva stare attento di non perdere la sua famiglia.
Il giorno dopo la donna: Carmen, fece le valige e prese il treno per Roma, dove le opportunità erano maggiori e avrebbe trovato una vita adeguata.
Il lavoro in aumento, portò Gelasio a sveltirsi con i movimenti, non poteva usare il calesse, ancora molto diffuso ma, lento. Un’automobile non poteva ancora permettersela: comprò una motocicletta che avrebbe sostituito la bicicletta, con quella moto la velocità era assicurata.
Il cantiere che seguiva più assiduamente, quello del campanile dei Servi di Maria; lo affascinava quella costruzione, una torre guelfa all’apparire, poi avrebbe messo la cuspide per chiudere in bellezza quel capolavoro.
Ersilia di nuovo in stato interessante e questa volta di sicuro un bel maschietto; entrambi vedovi, legalizzarono la loro unione sposandosi il 19 luglio 1930 e dimenticandosi ancora di Nada. In banca il gruzzolo aumentava e i crediti, tanti da riscuotere, l’avvenire non preoccupava, se non quel vizietto delle donne e la sorveglianza della moglie che controllava tutto; dopo la spagnola non aveva avuto nessun’altra avventura.
A marzo del 1931, nacque di nuovo una bambina, Gelasio deluso ma quando la vide tutto era scomparso, e il pensiero del maschio si allontanò subito. Chiamata Maria Giuseppina in onore alla Chiesa servi di Maria e Giuseppina fu aggiunta da Ersilia, Maria il nome anche della sua mamma.
La famiglia era consistente, Mosè un buon aiuto e guadagnava bene con il patrigno, Nada andava a scuola e il padre voleva che diventasse maestra come Clara, anche Vera avrebbe studiato, tutte le sue figlie dovevano andare a scuola e non mancarle nulla; esaudire i loro desideri come anche quelli di Ersilia; donna elegante e raffinata e soprattutto invidiata come tutta la famiglia.
Un brutto giorno di giugno, tornando a casa per il pranzo anche se a volte rimaneva in cantiere ma quel giorno, il desiderio di rivedere i suoi cari era forte. Prese la sua motocicletta, ad andatura abbastanza limitata proseguendo sulla statale che collegava le due cittadine; a metà strada, dove in passato e nemmeno troppo lontano, c’era la dogana dello Stato Pontificio. Nei pressi di questo edificio gli attraversò all’improvviso un carretto con dei ferri sporgenti; non facendo in tempo a frenare si scontrò con quest’ultimo e un ferro, si conficcò nella gola trapassandolo. Trasportato al vicino ospedale con i tempi che vigevano allora, fu operato, grave il danno subito; arrivata, la moglie al suo capezzale egli non riusciva a parlare. Subentrò il tetano e morì dopo tre giorni di sofferenze, sempre con Ersilia accanto. Morto senza rivedere le figlie.
Sconvolti e attoniti non si rendevano conto ancora dell’accaduto, mancando quel punto di riferimento, dovevano imparare a cavarsela da soli. Mosè prese le redini in mano, ma ben presto dovette abbandonare e chiudere l’azienda.
In banca sul conto corrente: dieci mila lire, tanti soldi; i debiti ammontavano a nove mila lire, questi ultimi saldati. Il campanile rimase incompiuto, ancora oggi una torre guelfa che dall’alto della sua mole ricorda quell’uomo ricco d’idee e di voglia di vivere.
I tanti crediti da riscuotere, fiducie condivise e sulla parola, sulla stretta di mano; molti onorarono e furono soprattutto la povera gente, quella che aveva poco da parte e viveva con quello che guadagnava. Gli altri, i marchesi Magherini Graziani che, il loro importo ammontava a ventidue mila lire, loro no, non si fecero vedere e non vollero saldare il debito. Forti della loro posizione e protetti dalla dittatura in atto che tutelava i ricchi e approfittandosi dei deboli.
Anche Gelasio un simpatizzante della dittatura, aveva amicizie, ma si sono dimenticate di lui appena se n’è andato, lasciando sconvolti chi gli voleva bene e non erano pochi; anche brava gente che subiva da quei poteri forti e che lui aveva protetto per il suo senso di giustizia.
Altre donne piangevano quella scomparsa, gli amori di Gelasio: uomo libero e dirompente che piaceva a molti per il suo carattere e la sua voglia di vivere. Poco dopo, si presentò a casa di Ersilia, l’unica sicurezza che le era rimasta: la casa e anche altre due che Gelasio aveva comprato investendo.
Arrivò a bussare il batocchio nero del portone per chiedere aiuto, una ragazza più grande di Nada. Maria appena adolescente, arrivata dai confini della Valle verso le colline che portano in Romagna; spaurita e sperduta con un fagotto pieno di stracci e una lettera che indicava quell’indirizzo.
La lettera era intestata a Gelasio, non sapendo che era morto, quella creatura aveva perso da poco la madre, una ragazza madre che non aveva nessuno, prima di morire indirizzò la figlia dal padre.
Ersilia incassò il colpo deglutendo a fatica e davanti a quegli occhi smarriti: si aprì il cuore; la fece entrare, sistemare e le disse che quella era casa sua. Il padre purtroppo era morto, ma non avrebbe fatto la differenza; il posto per lei c’era, bastava aggiungere un letto nella camera di Nada e tutto si sarebbe sistemato, (accanto a un uomo per bene, c’è sempre una donna migliore.)
Fu così, in quegli anni di violenza e proclami, di dittature e incertezze, di nuovi orizzonti e di progresso sfrenato, ma anche di bigotti e d’ipocrisie si formò la prima famiglia allargata formata da donne; di quelle che sanno guardare avanti con il cuore pieno d’amore e che non si perdono negli affanni e nei rimpianti, ma si rimboccano le maniche per cercare un nuovo mondo.
Questa è la storia di Gelasio un uomo che amò molto la vita e che la perduta precocemente, aveva il senso degli affari era innamorato dell’amore e metteva al mondo solo femmine. Pilastro di una società soffocata dal troppo maschilismo e di un potere che spesso era meschino.