Eh sì, quando io ero un ragazzino, erano altri tempi.
Passavo in strada la quasi totalità del pomeriggio, non c'erano, allora i pericoli che ci sono ora, ed i giochi erano quelli tipici della gioventù del primo dopoguerra.
Tornato da scuola, dopo il pranzo facevo alla meno peggio i compiti per il giorno dopo, e poi via, a scapicollarmi nella boscaglia che costeggiava il lungo Tevere, a caccia di lucertole, che allevavamo come oggi si allevano le tartarughe, oppure ad immergerci nelle acque del Biondo fiume che tanto biondo non era, prendendosi gioco della Polizia fluviale che vigilava le sponde con ben poche speranze di assolvere il loro compito.
La vita di noi ragazzi era veramente felice e spensierata, bastava una palletta per organizzare piccoli tornei di calcio in mezzo alla strada, dove le auto ancora passavano raramente, e, tra l'altro io vivevo in una zona a traffico canalizzato perche c'erano molte caserme ed enti pubblici nei paraggi, dove i fori dei tombini sui bordi dei marciapiedi, diventavano le porte del campo, opportunamente -attappati- per evitare che la palletta una volta entrata, finisse nelle fogne.
Oppure la fantastica "nizza", un gioco che consisteva nel colpire con un manico di scopa lungo circa 60 centimetri, uno dei vertici appuntiti di un legnetto lungo 12-15 centimetri, ed al volo mandarlo il più lontano possibile, praticamente una specie di baseball casareccio, c'era solo un inconveniente, che a volte la nizza lanciata troppo forte e nella direzione sbagliata, mandasse in frantumi qualche finestra dei piani bassi delle abitazioni intorno, ed a quel punto l'unica soluzione era la fuga, a cui seguivano le ovvie imprecazioni dell'inquilino "sfortunato".
Erano anni in cui la frequenza continua tra noi ragazzi portava ovviamente a screzi e litigi, ma non c'era comunque cattiveria o menefreghismo nei nostri comportamenti, l'amicizia era sacra, ed a quei tempi, in genere, vigeva ancora il rispetto reciproco tra le persone, eravamo semplicemente ancora degli incoscienti scavezzacolli, e passavamo il nostro tempo parlando e divertendoci a giocare alla cavallina, a sotto-muro con le figurine dei Calciatori, con le "lattine" i coperchietti delle bottiglie, al cui interno inserivamo i volti delle figurine dei corridori più famosi, su una pista disegnata sul marciapiedi con il gesso, al tiro a segno con cerbottane e cartoccetti, o magari a lotta con i nostri amici, anziché stare ore intere davanti al computer o ad inviarci messaggi col cellulare come fanno i giovani d'oggi, e penso che fosse tanto.... ma tanto meglio prima.
Il rispetto, soprattutto verso gli adulti, era ancora un dovere fondamentale nella nostra educazione, non ci si poteva rivolgere sgarbatamente verso persone più grandi, men che meno verso gli insegnanti, e se una professoressa metteva una nota per un comportamento scorretto, non rischiava, come avviene ora, di venire aggredita dai genitori dell'alunno, ed alla nota seguivano severe punizioni.
Ricordo ancora una volta, che mio padre, dopo avermi visto soltanto accennare il gesto di dare un calcio al papà di un mio amico, che mi aveva rimproverato per aver lasciato delle cartacce per le scale del palazzo, mi richiamò immediatamente in casa e dopo avermi stampato cinque dita sulla guancia e messo in punizione, mi disse perentorio: vai immediatamente dal Signor Menardi a chiedergli scusa.
Eh sì, erano sicuramente tempi diversi.
Ma i momenti più belli li ho trascorsi sicuramente con lo sport, ero letteralmente affamato di sport, quando non c'era la scuola, ero capace di dedicargli anche cinque o sei ore al giorno.
Allora non c'erano le tante palestre o piscine o club che ci sono ora, ma la ginnastica e lo sport, anche nella scuola, avevano la loro importanza, e fortunatamente praticarli non costava nulla, prima negli oratori della parrocchia, poi in qualche gruppo sportivo finanziato da qualche appassionato, in qualche maniera riuscivo sempre a coltivare questa passione.
Essendo assistito da un buon fisico, potei dedicarmi a tantissime discipline, al Ping- Pong, dove arrivai a disputare le finali dei campionati italiani juniores, nel mezzo-fondo di atletica, dove disputai i campionati regionali, nel tennis, nel calcio dove arrivai a militare in una squadra di Promozione, e poiché ero tra i più alti tra i miei coetanei, alla Pallavolo ed alla Pallacanestro con discreto successo.
Un'altra mia grande passione era la pittura, o meglio il disegno, e quando del mio tempo non se ne impadroniva lo sport, rimanevo tappato in casa, sordo anche ai richiami degli amici, a riempire fogli su fogli con i miei disegni, soprattutto in bianco e nero, ero maniacale nella cura delle zone di luce e d'ombra dei miei soggetti, volendo, con il chiaro-scuro esaltare le rotondità ed i rilievi delle immagini, ero quello che in gergo si chiamava: amante di uno stile "leccato", preciso e dettagliato, quasi fotografico, e mi sentivo esageratamente gratificato quando qualcuno mi chiedeva di fargli dono di una mia "opera".
Tutti questi hobby, sembrerà strano, erano coltivati con la disapprovazione, ed ancora più spesso, all'insaputa di mio padre, che non era, come potrebbe sembrare un uomo non sensibile o amorevole, tutt'altro, era sì, abbastanza severo, con principi saldi che non ammettevano deroghe, e probabilmente fuori dal tempo, come la maggior parte dei genitori di quella generazione, che avevano subito gli orrori e le privazioni della guerra, ma pieno d'un amore immenso verso la famiglia, solo che da buon impiegato para-statale, considerava tutte queste mie passioni delle deviazioni da quello che per lui era il fine ultimo: il posto fisso.
E nonostante le mie buone doti nel disegno e nella matematica, mi ritrovai iscritto in un istituto commerciale dove la massima ambizione era diventare "ragioniere", e quindi, volente o nolente, dovetti rinunciare ai miei sogni e appena conseguito il diploma mettermi a lavorare per aiutare la famiglia.
Eh già perché a quei tempi, come d'uso abbastanza generalizzato, solo una piccolissima parte dei miei magri emolumenti finiva nelle mie tasche, il resto entrava nel "tesoretto" di famiglia, almeno finché non mi fossi sposato e fossi uscito di casa.
Cosa che cercai di fare il prima possibile, ma questa è un'altra storia.