Il coraggio di amare, ahimè, latita.
Latita al punto che ci si accontenta di quanto notoriamente non ci appaga, generando l'assurda figura dell'amoramante.
L'amoramante è un'evoluzione dello scopamico, lo scopamico amato.
Di questa trasformazione, questo passaggio da scopamico a amoramante vi è tutta la tragicità derivante dall'uso della parola amore (non obbligata in scopicizia). Parola che per antonomasia dovrebbe essere celebrata con l'unione, l'appartenenza in totale unicità, condizione che all'amante non appartiene affatto.
Se lo scopamico null’ altro chiede che pari mercede, senza coinvolgimento alcuno, senza promesse.
L’ amoramante giustifica i suoi bisogni con nobile sentimento. Non è detto che non ami veramente, anzi,
il più delle volte si convince al tal punto di perdere cognizione di se stesso. L’ amoramante, solitamente vive la dualità del rapporto col coniuge e con l’ amore rappresentato dall’ amante.
Questi ha accanto un compagno, una compagna con cui la condivisione di tempo e di intenti, nonché di letto, ha generato prole, casa, amicizie e abitudini a cui difficilmente saprà rinunciare.
Se nella scopicizia, lo scopamico altro non è che una parentesi rossa in un’ esistenza grigia, l’ amoramante è presenza assidua al punto di diventare irrinunciabile ragione di respiro. Col lui (lei) si discute di tutto
e si condivide ogni pensiero, accadimento o esperienza. Si condivide ovviamente anche il corpo in amplessi a volte sfrenati (come per lo scopamico) ma più sovente di intensissima e appagante dolcezza.
Dolcezza sì, perché mentre con lo scopamico è la prestazione a farla da padrona, nell’ essere amoramante è l’ anima a condurre la scena.
Ebbene, se questa relazione avviene fra pari condizioni, ovvero fa due persone coniugate entrambi, nulla in loro screzia. Lui e lei seguitano a condurre la menzogna familiare, facendosi forza l’ un l’ altra con
quell’ amore che seppur non divenga nella completezza, appaga e lenisce le frustrazioni di una vita non perfettamente cesellata ai bisogni individuali.
I due amoramanti seguitano a vivere il pedissequo in ogni sua manifesta espressione, concedendosi, anche fisicamente ai loro rispettivi coniugi. Concedersi ai rispettivi coniugi, nota assai dolente quando si parla d'amore al punto che questo fare genera fastidio, vergogna forse, ma si fa perché s’è sempre fatto e smettere incrinerebbe l’ equilibrio famigliare. Sarà poi nel fare l’ amore con l’ amoramante che ci si monderà d’ ogni bruttura.
Ma se questa condizione di parità venisse meno cosa farebbero i due?
Ovvero, se uno degli amoramanti d’ un tratto diventasse libero, che so, si separasse, divenisse vedovo o venisse lasciato dal coniuge?
Qui, ahimè, comincerebbero a nascere problemi in quanto l’ amoramante libero si sentirebbe in diritto di avere di più, mentre l’ altro, ancora all’ interno della sua realtà familiare frenerebbe l’ impeto del primo che a sua volta incalzerebbe in ragione dell’ amore che fino allora li ha accompagnati.
Crisi, è questa la parola che accompagnerà le loro parole verso infinite discussioni, discussioni in cui in nome dell’ amore verranno chieste gesta da una parte e rispetto dall’ altra.
Intendiamoci, qui vado parlandovi di amoramanti innamorati e non di semplici scopamici.
Se costoro fossero semplici scopamici, la maggior libertà dell’ uno diverrebbe vantaggio per entrambi giovando il reciproco appagamento.
E’ l’ evoluzione della scopamicizia il tarlo che rode e il mulo che scalcia. Intendiamoci, non sarei in grado di stabilire chi fra i due sia in vantaggio e chi no. Ma per certo l’ amoramante libero vivrebbe la solitudine derivante dall’ essere votato all’ altro, mentre l’ amoramante ancora accasato vivrebbe il tormento di una scelta che sino a poco tempo prima o non era contemplata o era tiepidamente azzardata.
L’ unica certezza viene dal fatto che se entrambi, improvvisamente si fossero trovati liberi, l’ unione non avrebbe dovuto attendere che il mero tempo del compimento. Ma così non è, e i due si trovano ad affrontare, non senza difficoltà per entrambi, una nuova realtà, un disequilibrio.
L’ amoramante accasato, ora si trova a combattere con se stesso. Dibattendo freneticamente con l’ anima, che se da una parte spinge verso quel nuovo che l’ appaga e la riscalda, dall'altra spaventa di quella paura di svoltare pagina, di buttarsi nel vuoto rischiando il futuro nel gettare irrimediabilmente il vecchio. La stessa anima che frena in ragione di quel pedissequo che in fin dei conti non è poi così deludente. Quel pedissequo che acquisisce maggior forza dal vissuto, costruito, conquistato e generato, ma che, ahimè, non veste il colore e la gioia di quell’ impeto d’ amore che l’ hanno portata qui ed ora.
Non posso, in tutta sincerità affermare quale sarebbe la giusta conclusione alla quale gli amoramanti dovrebbero divenire, Una parte di me vorrebbe trionfasse l’ amore, ma l’ amore di chi è ancora accasato, non è detto che sia tutto destinato all’ amoramante, e poi se l’ amoramante libero amasse veramente, non sarebbe giusto da parte sua lasciare l’ amata nella sua attuale condizione, senza sprono o sollecitazione alcuna?
Stendhal affermava; L’ amore è un bellissimo fiore, ma bisogna avere il coraggio di coglierlo sull’ orlo di un precipizio.
Chiudo questa mia considerazione non con un fine, lieto meno che sia, in quanto non saprei azzardarne epilogo. Ma la chiudo con una frase del grande Gaber, una frase che amo moltissimo:
“ Senza cattive o buone azioni, senza altre strane deviazioni, che se anche il fiume le potesse avere, andrebbe sempre al mare. Così vorrei amare”. Ed essere amato… Aggiungo.