Lo stesso vento di quella notte. Ha una voce diversa quando si insinua tra le travi del tetto e fischia al punto da svegliarti nel cuore della notte. Lo conosco e ne conosco il suono e l'odore, si insinua tra i capelli e li intreccia annodandoli in dolorose ragnatele, passa attraverso i vestiti e ti graffia la pelle, si insinua nella gola e ti spezza il respiro, non ha requie, crea mulinelli e spezza rami, non si ferma per giorni, è lì, incessante, che batte e batte, spalanca le finestre di colpo, sbatte le porte, strappa pezzi di cielo e crea mosaici di nuvole sfilacciate che sembrano anime perse nel nulla.
Lo stesso vento di quella notte, ne ridevi quando ti raccontavo il mio timore, mi dicevi che se lo imbrigli, questo vento, diventa tuo alleato, gonfia le vele e veloce ti porta fino al punto nel quale l'orizzonte fonde cielo e mare e tutto è di un abbacinante blu che non ha inizio e non ha fine. Quanta arroganza! Eppure ci ho creduto nel tuo saperlo dominare, nella tua spavalda sicurezza, nello sguardo limpido di chi conosce i propri limiti e sa di non averne. Si, ci ho creduto. E come avrei potuto fare altrimenti mentre mi baciavi gli occhi e con la lingua disegnavi la curva dei miei seni? Come avrei potuto dubitare del tuo essere invincibile mentre le tue labbra bollenti disegnavano un sentiero sulla mia pelle, un bacio, un bacio, un bacio ancora fino a fermarti al centro, fino a giocare con il mio ventre, fino a farmi impazzire di piacere? Questo eri, e la tua essenza si fondeva alla mia, i battiti diventavano unisoni, i fiati si mescolavano e formavamo un cerchio perfetto, uniti, fusi, eterni.
Quali sono i segni dell'ultima volta? Dell'ultimo bacio? Dell'ultimo spasmo di piacere? Perché devono esistere i segnali, il suono delle molle del letto mentre ti alzi, quel piccolo spasmo all'angolo dell'occhio, quel fermarsi improvviso come se si fosse colti da un brivido, l'incessante lamento del vento fuori dalla nostra finestra, un'improvvisa tristezza... nulla, tutto era languido e bello, tutto assomigliava al nostro essere uniti, tutto diverso e sempre uguale, noi, senza confini.
Mi sono girata su un fianco, ho abbracciato il cuscino, ho sentito appena il tuo bacio al sapor di dentifricio ed una carezza lieve sui capelli, forse ti ho detto “ ti amo”, forse, magari mi hai sorriso e poi hai chiuso la porta dolcemente perché non cigolasse.
Perché tu lo amavi questo vento, tanto quanto io lo temevo e lo temo. Perché distrugge, spezza, inclina. Piega l'erba dei prati che sembra calpestata dai piedi di un gigante, gratta le travi dei gazebo sulla spiaggia con il turbine della sabbia che raccoglie e scaglia con violenza. Anche stanotte. Sento il rumore delle tende strappate, dei rami spezzati, l'urlo della cresta delle onde che diventa nebbia e si disperde, quasi che al mare avessero strappato la pelle.
Lo stesso vento di quella notte, sei uscito con la tua barca, hai issato le vele ed hai riso mentre con uno schiocco si gonfiavano e ti hanno portato verso il confine del mondo. Tu che dominavi il mare come il mio corpo, tu che sapevi come muovere le mani, quando rallentare, quando diventare turbine.
Cosa è successo quella notte? Le travi spezzate e le vele strappate ci hanno raccontato una storia, ma io non ci credo, tu lo sapevi dominare questo vento che io tanto temo.
Mi tiene sveglia stanotte, non lascia che il sogno mi porti in quella terra dove ne esploro, ogni notte, il confine, per cercare il passaggio che mi porti a te. Vorrei sognarti, ritrovarti in quel mondo onirico dove sembra non esserci senso e rivedere ancora una volta i tuoi occhi. Lo so che prima o poi la troverò quella strada, ma questa notte insonne è un tempo perduto alla mia ricerca.
E questo vento. Ora sembra che batta alla porta, un colpo, pausa, due colpi. Era il nostro segnale quando, da ragazzi, aspettavamo che i miei genitori andassero a dormire per correre ad aprirti la porta e farti entrare.
Non cessa questo vento, fischia ed urla, sbatte contro le imposte chiuse, non rallenta la sua corsa suicida schiantandosi contro il muro.
Ecco, ancora. Un colpo, pausa, due colpi. Lo so che è il vento, lo stesso che ti ha portato chissà dove, stanotte con ferocia immane sembra voglia prendersi gioco di me.
Vorrei ignorarlo ma mi tiene sveglia, se chiudo gli occhi e mi copro le orecchie spalanca una porta, spezza un ramo, fa rotolare un secchio. Non resta che ascoltarne la voce, e stanotte sembra che ripeta il mio nome.
Stanotte mi sembra di sentire la tua voce. Ancora. Quanto impietoso è questo vento che conosce il vuoto che ha ingoiato il mio cuore. Mi chiama, mi illude, mi graffia la pelle dell'anima. No, non lo ascolterò, non scenderò ad aprire la porta per poi ritrovarmi gli occhi lacrimanti e feriti.
Ancora! Ora i colpi si fanno più decisi, si ripetono, sembra veramente che qualcuno bussi alla porta, che chiami il mio nome. No, non è possibile, questo vento, è colpa di questo vento...
eppure, forse, smettila cuore di spezzarmi il fiato in gola, scendo le scale ed il freddo della pietra mi penetra fin nelle ossa, ancora pochi passi nel buio della casa che attraverso come se fosse giorno, sento un respiro fuori e non è il vento, la mia mano trema... apro.