Mi sveglio all'improvviso con lo smarrimento di non sapere dove sono, forse un rumore o un pensiero mi hanno strappato da un sonno melmoso, senza sogni, nel quale sono annegata solo un paio di ore prima. Ho caldo, mi scopro, raggelo immediatamente, ho l'abitudine di dormire, anche ora, in pieno inverno, con la finestra aperta. Mi ricopro e cerco di compormi per facilitare lo scivolare lento verso il sonno, ancora. E' tutto buio intorno e fuori imperversa un vento feroce che porta con sé l'eco del mare in burrasca. Comincio a galleggiare verso l'incoscienza, sento che mi sto riaddormentando, è un istante e ritorno alla realtà di questa stanza buia e fredda e della voce del vento fuori. Mi domando cosa mi abbia trattenuta ad un passo del baratro del nulla, rincorro il pensiero che mi ha scosso da questo veleggiare calmo verso l'oblio del sonno. So che se lascerò entrare i pensieri, la notte si scioglierà poi nell'alba color cenere del nuovo giorno senza che io abbia ripreso il riposo.
Forse è il pensiero triste con il quale mi sono addormentata, l'eco che sembrava allontanata nell'istante nel quale ho spento la luce ed ho appoggiato la testa al cuscino, forse ancora le parole che ho letto, storie che si susseguono di un libro inaspettato del quale mi sto gustando ogni frase, ogni intreccio, o forse le storia che sto scrivendo... ecco, potrei raggiungere Eva nella sua stanza, l'attimo prima di uscire ed accompagnarla tra le stradine bianche ed assolate del suo paese, carpirne i pensieri, seguirla nella vicenda che si sta dipanando e della quale, da scrittrice, conosco i fatti salienti senza aver svelato, nemmeno a me stessa, l'approssimarsi di eventi ed incontri che la porteranno all'oggi. La vedo, sparisce. Vorrei alzarmi, andare in cucina ed aprire le finestra, cercare la luna che ho intravisto, quasi colma, poche ore prima, ma una pigrizia indolente, la pesantezza delle membra, il timore di svegliarmi completamente mi inchioda al letto. Ho caldo ancora, mi scopro, raggelo, mi ricopro, cerco di trovare una posizione dove le gambe e le braccia non facciano sentire la propria consistenza, di muscoli doloranti o di ossa che lanciano scosse ricordandomi che esistono ed io invecchio.
Forse potrei lasciarmi ammaliare dalla voce del silenzio, è quasi totale, se non per un leggero brusio che arriva dalla stanza accanto, immagino lo scorrere delle immagini come lampi di luce, più chiaro, più scuro, a seconda dell'inquadratura e poi la voce, un sussurro, dei protagonisti del programma. Non mi infastidisce, in questa notte anche la luce di un'auto solitaria che si attarda e che attraversa le persiane chiuse esplodendo in bolle di luce, mi tiene compagnia.
Forse non sono stanca abbastanza, forse sono troppo stanca, stanca di una domenica di parole, di cibo, di presenze.
Mi domando che ora potrà essere, forse una delle prime che annunciano l'inesorabile scorrere del nuovo giorno. Chiudo gli occhi, sento quella consistenza di sabbia fine sotto le palpebre che annuncia l'arrivo del sonno.
Cosa mi tiene ancora qui, sull'orlo sfrangiato tra la coscienza e l'incoscienza senza permettere di abbandonarmi? E' come una corda, pesante fardello, che mi tiene legata al suolo quando vorrei solo spiccare il volo verso l'oltre.
La chiacchierata con mia madre, la sua voce raffreddata, lo scorrere di parole tra racconti ed impressioni, le foto che ho guardato e che abbiamo commentato insieme, ora è quello che cattura la mia mente, ma passa velocemente, nulla sembra voler restare in questa pianura sconfinata che sono le ore della notte, prima di vedere la luce, prima di cominciare le incombenze ed i doveri che porta ogni giorno.
Ascolto la mia pancia, non mi sembra di avere preoccupazioni o ansie, mi rigiro voluttuosamente tra le dita questo tempo che tutto può essere, tutto può diventare. Ma vorrei dormire, forse è questo che mi tiene sveglia, il voler qualcosa che arriverebbe solo se non la volessi, se non ci pensassi.
Mi giro su un fianco, sto scomoda, sull'altro, non va, mi metto prona e lascio scivolare le braccia lungo i fianchi. Allargo le dita delle mani, rilasso i muscoli delle gambe, muovo le dita dei piedi. Respiro piano contando i respiri, uno due, inspira espira, sento le membra che diventano pesanti, mi sento completamente rilassata, eppure in questo contare entrano stralci di dialoghi, attese, parole che avrei voluto dire, discorsi che faccio a me stessa e che non pronuncerò mai, resteranno nella memoria raccolti in un file con una password segreta, forse la dimenticherò anche io e non li aprirò mai più, ma ora spingono, incombono. Oh, quanto è facile dire quando lo fai a te stessa, quando tutto è lineare, senza emotività, perfetto nella sua logica!
Forse era questo, questo che alle tre di notte mi tiene inchiodata, immobile, nel letto, ad occhi aperti a disegnare discorsi che raccoglierò nel file delle parole non dette.
Resto ancora lì per un po', tutto sfugge mentre mi immergo nel buio, sembra un istante ed arriva, querulo, il suono della sveglia.