Quando mi recai a Palermo per visitare la città, mi trovai un giorno, ad ora di pranzo, in una bella strada che scende verso il porto. Mi misi alla ricerca di un ristorante, e ne vidi uno con, sul marciapiede, una lunga fila di persone che aspettavano di entrare. Pensai che si mangiasse molto bene, e accarezzai l'idea di entrare lì anch'io, ma, poco paziente, rinunciai e m'incamminai per cercare un altro ristorante, più accessibile. Feci pochissimi passi, e lo trovai subito, adiacente al primo e dall'aspetto esteriore alquanto simile ad esso, se non uguale. Non c'era nessuno in fila, e pensai che fosse chiuso. Ma volli tentare ugualmente, e suonai il campanello: venne ad aprirmi un gentile cameriere, informandomi che il ristorante era aperto. Entrai, e con mia grande sorpresa vidi che non c'era nessun avventore. Fui condotto dal cameriere (era estate) in un bellissimo giardino pieno di tavoli eleganti, ma tutti vuoti. Mi ricordo che mangiai da re (per non dire di più) , assistito con grande gentilezza e attenzione da tre o quattro camerieri (tutti liberi, evidentemente!) , che si preoccupavano continuamente del mio gradimento. Non ebbi il coraggio di chiedere perché l'altro ristorante "gemello", a quattro passi, fosse invece colmo fino all'inverosimile, e me ne andai soddisfatto.
Questa esperienza mi è rimasta impressa. Ancora oggi mi piacerebbe conoscere i motivi di quell'affluenza estremamente diversa nei due locali così vicini e così simili.
L'ipotesi secondo me più probabile è che il ristorante dove mangiai fosse un locale per mafiosi, un posto nel quale si riuniscono, in determinate occasioni, i malavitosi per decidere i loro piani criminali, un esercizio che, comunque, deve risultare sempre regolarmente aperto, per non dare nell'occhio (e gli abitanti della Palermo bene, evidentemente, lo dovevano evitare con cura, per non destare sospetti; a questa ipotesi sono dedicate, riguardo ad un fantomatico locale di Milano, in modo piuttosto divertente e senz'altro più convincente e approfondito del mio, le pagine da 77 a 80 dell'ultimo romanzo di Umberto Eco, "Numero zero") .
Ma la spiegazione potrebbe essere un'altra, come una volta mi fece notare una mia ex collega di lavoro (della quale sono ancora presenti qui nel sito quindici sue poesie del 2010, e che è di parziale origine piemontese: il cognome di sua madre era quello del ben noto Conte di Cavour), palermitana ma da tempo residente nella mia cittadina: esistono dei posti sui quali, per svariati motivi, si riversano delle dicerie negative, dei locali ai quali la fortuna ha voltato le spalle...
In effetti, ciò succede anche in altri ambienti. In una stessa scuola, ad esempio, ci sono dei corsi richiesti per i propri figli da un numero esorbitante di genitori, e degli altri in cui nessuno vorrebbe andare, soltanto perché nei primi insegnano dei docenti che hanno acquisito una fama non si sa quanto davvero meritata... A volte, se si considerano due amiche, una è piena di corteggiatori e l'altra, non meno bella, ma magari un po' più timida e riservata, non ne ha neppure uno... Se in una libreria vengono affiancati due libri, poniamo un romanzo nordamericano e uno francese, il primo ha molte più probabilità di essere venduto, pur se di livello inferiore, perché il pubblico tende a trasferire anche alla letteratura la presunta superiorità di un popolo che ha conquistato la leadership mondiale in discipline che con essa non c'entrano nulla... E infine (ma si potrebbe continuare), in una città due strade simili e parallele, che tanto attraevano Jorge Luis Borges e che tanto attraggono anche me (ce ne sono molte a Torino), non godono della stessa fama e della medesima fortuna; per fare un esempio più vicino a me, in una piccola città ugualmente a scacchiera come Caserta, il Corso Trieste (che inizia dalla Reggia) è sempre molto frequentato, mentre la sua strada parallela, Via Roma (che inizia dal piazzale antistante la Reggia stessa), non meno lunga e diritta, è ben poco considerata...